Una scena tratta dalla serie tv "Handmaid's Tale"

La paura è anche bella, dice mia figlia. The Handmaid's Tale è di più

Annalena Benini

Tutte le volte che ho terrorizzato mia sorella: nulla in confronto al Racconto dell’ancella

La paura è anche bella. Ma io avrei voluto che mia figlia non avesse mai paura di niente: né dei mostri finti né di quelli veri, né dell’acqua profonda né dei temporali, né della scuola né dell’apparecchio fisso per i denti. Invece ha iniziato, mentre io mi impegnavo a non terrorizzarla, ad avere paura del buio, paura di scendere da sola le scale del palazzo, paura dei mostri. Non solo costringe suo fratello ad accompagnarla sempre fino al portone e ad andare a riprenderla, ma alimenta questa paura con i film più spaventosi che esistano. Mi dice: “Mi fanno tantissima paura, ma sono curiosa, non resisto, lo so che poi non dormirò ma adesso devo assolutamente vedere La bambola assassina”. Io gliel’ho vietato, però quando mi ha chiesto quali fossero i film che mi hanno più terrorizzato quando avevo la sua età, nel secolo scorso, in effetti sono stata io a rispondere con entusiasmo: La bambola assassina. Arancia meccanica, certo, Shining, ovvio, ma quella sono paure successive, solide, la paura più paura e senza filtri che io ricordi è La bambola assassina.

 

Avevo tredici anni, e quindi mia sorella cinque: confesso di avere costretto una bambina buonissima di cinque anni a vedere tutto La bambola assassina, a casa nel salotto buio con la porta chiusa per non farmi scoprire da mia madre: mi sembrava fantastico, per niente crudele, per niente sbagliato, le dicevo: sei fortunata ad avere una sorella come me, ti faccio fare un sacco di cose moderne. Lei annuiva, seduta composta, abbracciata al suo orsetto, e guardava il film in silenzio. Ancora adesso, quasi trent’anni dopo, mia sorella ha il terrore delle bambole con gli occhi che si muovono. Anche perché io gliele facevo trovare sul letto, sedute, la sera prima di andare a dormire, l’ho fatto per molti anni, e lei era così buona che non diceva nulla, non mi denunciava ai nostri genitori. Mia sorella comunque dice di avermi perdonato, e una delle nostre bambole spaventose adesso sta sul letto di mia figlia: lei ogni sera la copre con una sciarpa e le dà la buonanotte, dice che così, amandola, non diventerà mai un’assassina. La paura le piace molto, e piace anche a me, ma da quando ho i figli sono più fragile, non potrei più vedere La casa e La casa 2 (mia sorella dovrebbe ricordarsi anche quelli piuttosto bene, li abbiamo guardati varie volte insieme chiuse in salotto: non esisteva l’iPad, non esisteva YouTube, ma eravamo bravissimi a impiegare i pomeriggi nel peggiore dei modi: quanto era bello), e adesso però di nuovo sto morendo di paura, non una paura primaria, ma una paura più adatta e profonda: sto guardando di notte, quando i bambini dormono, The Handmaid’s Tale, la serie tv americana tratta da Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood (in Italia ripubblicato quest’anno da Ponte alle Grazie).

  

 

La guardo nel modo che amo: tante puntate insieme, di notte, ogni tanto piango, poi insonnia fino al mattino e di giorno appena posso leggo il libro di Margaret Atwood, che in copertina ha il disegno di un’ancella. Le ancelle sono le protagoniste di questo dramma terrificante, dentro un mondo distopico ma collegato così bene alla realtà, così pieno di riferimenti da sembrare possibile. Le ancelle sono ragazze e donne che prima abitavano a New York o altrove e avevano figli, mariti, amiche, un lavoro, facevano jogging nel parco, pagavano il caffè con la carta di credito, leggevano libri, poi un giorno, quasi senza accorgersene, sono state licenziate, i loro conti in banca sono stati bloccati. June è al telefono con il Servizio clienti della sua banca quando inizia il colpo di Stato. Le persone continuano a non capire mai davvero fino in fondo, finché vengono uccise, oppure sequestrate: le donne ancora fertili adesso sono schiave. Sono una cosa, di proprietà degli uomini e di Dio. Indossano tutte un vestito rosso e una cuffia bianca con le alette bilaterali che nascondano la faccia, se sbagliano qualcosa, se non sono abbastanza remissive vengono ammazzate, oppure mutilate. “Occhio per occhio” non è un’esagerazione. Devono mettere al mondo i figli dei Comandanti, perché le loro mogli sono sterili (spesso anche i Comandanti, ma non si può dire).

 

Quindi le ancelle vengono stuprate una volta al mese, tra le braccia della moglie del Comandante, in un rituale sacro perché questa è una dittatura religiosa: molti uomini penzolano impiccati lungo la strada. Le donne omosessuali sono considerate traditrici del proprio genere e condannate ai lavori forzati, ma se sono fertili hanno la speranza di diventare anche loro ancelle, e obbedire alle Zie, che controllano e insegnano l’ordine morale e hanno dei pungoli elettrici con cui puniscono le ragazze. Non possono truccarsi, guardarsi allo specchio, non hanno più il loro nome, ma vengono chiamate in riferimento all’uomo a cui vengono assegnate per procreare: Di-Fred, Of-Fred, perché il comandante si chiama Fred. Non hanno più niente, tranne il corpo, il ricordo del passato, i desideri. Hanno ancora, fortissimi, i desideri: la bellezza di questa paura è che non ha annullato i desideri, e quindi la possibilità di una ribellione. Ogni piccola ribellione è commovente, ogni desiderio in parte realizzato è entusiasmante. Le ancelle escono a due a due per fare la spesa, assistono tutte insieme ai parti delle altre, gridano: spingi!, e non possono parlare di nulla di vero, né fidarsi di nessuno. Devono assistere anche alle cerimonie di impiccagione, per sapere che cosa rischiano se disubbidiscono. Pochi mesi prima aspettavano la metropolitana, andavano al cinema,    rispondevano alle email, si innamoravano per strada (nel romanzo, il passato è il 1985, nella serie è adesso, oggi). “Esiste più di un genere di libertà – spiega Zia Lydia alle ancelle, con quell’orribile sorriso di compassione – La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatela”.

 

Ho detto a mia sorella che non può vivere senza vedere questa serie, le ho detto che anzi dobbiamo vederla insieme, in città separate ma contemporaneamente. Lei ha risposto che va bene, ma che devo prometterle di non spedirle a casa bambole mutilate vestite di rosso, dopo. Ho promesso. Non sono più una ragazzina crudele. E The Handmaid’s Tale (che ha vinto molti Grammy, si può vedere adesso su Tim vision) fa molto più che paura, perché è qualcosa a cui pensare, oltre che una storia appassionante. Quando mia figlia mi dirà che La bambola assassina le ha fatto così paura che non se la sente di andare a scuola, le risponderò che questo è niente, e la manderò a vestirsi. Usciremo di casa come sempre in ritardo, alle otto meno tre minuti, ma stavolta, e non è spoiler, avrò con me per tutto il giorno, e per i giorni a venire, la scritta che June ha trovato incisa dentro l’armadio della sua stanza: Nolite te bastardes carborundorum. Che i bastardi non ti schiaccino.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.