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Non sopporto più mio padre da quando ho capito di essere come lui

Alberto Schiavone

Abbiamo smesso di sopportarci, ci siamo detti le parole peggiori. Io ho scelto la vita e l’errore

Ho iniziato a non sopportare più mio padre quando ho capito di essere, accidenti agli dèi, come lui. Tutto è accaduto per gradi, come è ovvio che sia e come succede tanto spesso nei rapporti tra le persone. Ancora di più tra familiari, ancora di più tra padri e figli.

 

Non so se ho capito molto di quello che partecipa a deteriorare un rapporto così imprescindibile, sacro. Certo, ci sono i cosiddetti fatti concreti, ma ho il sospetto siano soltanto sintomi. In ogni caso succede. E’ successo a me e non sono il primo, non sarò l’ultimo. Tra gli scrittori poi, la fila e la bibliografia è lunga e variegata. C’è chi si porta dietro per tutto il segmento di vita e di carriera quel grumo decisivo, chi lo getta spudoratamente nei propri scritti. Chi lo aggira.

 

Ho capito, questo sì, che alcune persone possono semplicemente, anche se è tremendo dichiararlo in un argomento simile, smettere di avere voglia l’uno dell’altra. Anche amori riusciti si guardano ormai attraverso vetri opachi. Sorridendo, nel migliore dei casi.

 

L’essere adulti l’ho inseguito subito con ferocia, andando via presto di casa, autodeterminandomi attraverso il lavoro e una casa mia. Soprattutto l’agognata indipendenza economica che volevo mi emancipasse all’istante, mi ha costretto a fare i conti con due persone che fino a quel momento avevo soltanto trattato per sentito dire. Io e lui.

 

Abbiamo smesso di sopportarci. Fingendo complicità negli anni a venire, anche a distanza di chilometri, prolungavamo soltanto uno straziante abbandono. Doloroso, certo. Tutti quanti avrebbero bisogno di un padre e di carezze. Ma si può camminare nel mondo anche senza, relativizzando la propria sventura. Aspetto che, sia messo agli atti, non avviene mai. Inesorabilmente tutte le persone vicine a “colui che ha un rapporto pessimo con il padre” finiscono con l’avere a che fare con, appunto, il padre. Spesso senza nemmeno averlo mai incontrato. Si può passare tanti anni tentando di individuare colpe, andando (o meno, come nel mio caso) in analisi, bevendoci sopra. Piangendo. Nel momento dell'età adulta succede di osservare spesso le attività umane alla maniera degli scienziati, tirandosi fuori da un percorso egosolidale e imbracciando la ragione. E’ un buon metodo.Un mondo in cui prima passeggi perfettamente, con inquietudini, paure gioie banali. E che piano invece si sposta, quasi si sgancia da te. Lo raggiungi facendo un giro largo e con lo sguardo esterno, e inizia a guardare anche te stesso che si muove all’interno. Un personaggio in più.

 

Quello stesso personaggio a cui ti eri abituato durante gli anni, e al quale adesso non perdoni un passo senza doverlo sottolineare. I perché. I come mai. Gli indizi che dicono che sta sbagliando. Come fa a non rendersene conto! Se fosse un tuo amico, o un interprete di un film, sapresti esattamente cosa dirgli e consigliare per metterlo in guardia. Ma sei tu.

 

Certo, si possono dare le pagelle. Dove ho forse sbagliato, io? Di fronte ai tanti errori suoi! E questo è un esercizio rassicurante, perché ti porta sempre più velocemente verso la direzione voluta, cercata, verosimilmente più definitiva e fors’anche comoda. L’addio.

 

Come quando all’interno dei matrimoni che iniziano a sommare gli anni insieme si viene raggiunti da quei pensieri sferici e perciò perfetti, seppur inafferrabili: lascio tutto. La vita è altrove. Può darsi. Il bivio tra il decidere di macerarsi insieme o macerarsi ognuno nel suo metro quadro è fondamentale. Io ho virato sull’individualità. La mia e la sua.

 

Ci siamo detti le peggiori parole e vomitato addosso rancore e frustrazioni reciproche. Abbiamo poi smesso di fare anche quello, in rumorose solitudini che aspettano di avere ragione. Io sono convinto che lui sia uno stronzo, lui probabilmente altrettanto. Due posizioni che si sarebbero potute risolvere con l’intento reciproco di raggiungersi a metà. Dirsi: ok, sei stato (o “sono stato”) uno stronzo, ma da adesso in poi basta, comportiamoci come il mondo e la Storia ci chiedono. Non ne abbiamo avuto necessità, voglia. Può sembrare strano, ma è così. Si può decidere di partecipare a una disperazione, faticare per raggiungere un traguardo. Oppure no e vivere nell’imbarazzo.

 

Bisognerebbe scrivere un libro dei rimpianti in cui riaffrontare ogni bivio dalla parte giusta, che poi è quasi sempre quella che non abbiamo deciso quando potevamo. Ma sarebbe un libro scritto senza l’anima e il furore, quindi debole. Ci sono libri deboli che arrampicano le classifiche e vincono premi, è vero. Ma si sceglie la vita e si sceglie l’errore, che è cosa più difficile di amare oppure odiare un padre, perché con i sentimenti semplici e definitivi è tutto più veloce. Nelle zone grigie si insinua sempre la letteratura e la vera letteratura non si posiziona mai dove si rimane troppo comodi. Che è quello che chiediamo alle vite vere. Compresa la mia.

 

Alberto Schiavone

Il suo ultimo romanzo è “Ogni spazio felice” (Guanda)

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