Anche nei modi per uccidere una suocera si può riscoprire la paternità, la fine dell'essere figli

Giulio Perrone

C’è sempre bisogno di un padre, questo mi sono trovato a pensare, su questo ho riflettuto mentre scrivevo il libro

Nell’immagine di Enea che, in fuga dalla sua città, si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise tenendo, allo stesso tempo, il figlioletto Ascanio per la mano c’è un’iconografia classica divenuta fondante, archetipica nel nostro immaginario. Il figlio, che è padre a sua volta, sente il preciso dovere morale di salvare il padre. E’ nell’ordine naturale delle cose che lo faccia, è nel richiamo profondo del sangue che ne trova la forza. Probabilmente non si tratta nemmeno di scomodare chissà quale profondo eroismo, c’è forse un altro modo di dimostrare il proprio amore a un vecchio padre? C’è forse un’ alternativa, se si è adulti e consapevoli delle proprie responsabilità? Enea è un figlio che fa quello che a un figlio viene naturale. Ma i problemi nascono nel momento in cui questa triade di ruoli non sta più al suo posto originario. Se sfumano i contorni tra padre e figlio, se si perde questa rassicurante successione di ruoli e sfuma ogni statuto di maturità. Che succede infatti quando il figlio non ha le spalle abbastanza robuste per caricarsi il vecchio padre e la presa abbastanza salda per trascinarsi dietro il proprio figlio? E se quel padre, oltretutto, ha del padre solo l’età anagrafica ma non la credibilità del ruolo? Cosa ne è di un padre se padre non lo è mai stato? Ecco qui Dustin, il padre del protagonista del mio ultimo romanzo. E’ un uomo di mezza età, ostinato a rimanere ancorato a una parvenza di gioventù, che si presenta alla porta del figlio Leo dopo trent’anni di assenza. Anche questo padre e questo figlio saranno costretti a scappare, meno eroici e meno solenni, più fragili e goffi ma soprattutto meno pronti, entrambi. Leo si è già caricato sulle spalle il peso di quella assenza, tutti quegli anni di domande e di mancanze e ora questo tizio non può davvero chiedergli di più. O invece può farlo?

 

Dustin, al secolo Ernesto Migliorini, si fa chiamare così perché sostiene di aver fatto da controfigura a Hoffmann nel film “Il laureato” e gira su un Duetto rosso che dice di aver vinto a una mano di poker in America, paese che ha girato in lungo e in largo mentre il figlio cresceva a Roma, da solo, con la madre. Arriva come se non se ne fosse mai andato via, con una insolenza e una leggerezza che non possono che scompaginare la già precaria esistenza di Leo, in bilico tra due donne e impelagato in una relazione clandestina con quella che, fino a qualche tempo prima, era stata la moglie. Tecnicamente ex moglie e attuale amante. Ora quindi, a complicare le cose, dopo i compleanni mancati, le partite a pallone senza che lui stesse lì a incoraggiarlo, dopo tutte le volte in cui lo ha maledetto, ovunque si trovasse, ora anche Leo ha un padre, ce l’ha lì di fronte, in carne e ossa. E’ sgangherato, inverosimile ma finalmente c’è, e oltretutto è anche un affabulatore, un anti-eroe a suo modo eroico, con una sua mitologia sbilenca ma affascinante. Leo lo guarda ora con diffidenza, ora con ammirazione, persino con qualche ottuso e infantile sprazzo di fiducia. 

 

C’è sempre bisogno di un padre, questo mi sono trovato a pensare, su questo ho riflettuto mentre scrivevo il libro. Un padre che ci insegni a tenere la schiena dietra e che ci aiuti a mantenerla dritta per tutti i pesi che verranno. Un padre che attenda a questo esercizio alla resistenza. Il libro ha un registro ironico, spesso amaro e beffardo, e non può di certo risolvere la questione. Narra questo crinale tra l’età giovanile e quella adulta, ne racconta gli inciampi e i ritardi, che sono quelli di tutta la mia generazione, probabilmente di ogni generazione. L’escamotage di cercare dei modi per uccidere una suocera, nella fattispecie la suocera protagonista del libro che l’editore per cui Leo lavora sta scrivendo, innerva tutta la narrazione. La suocera allora è solo un’altra faccia di quella maturità che pare essere al tempo stesso tanto agognata eppure tanto respingente. La suocera è il correlativo oggettivo della necessità di svestire i panni di figlio. E se Dustin tutto è meno che un eroe, o un padre modello, quando augura al figlio di essere più coraggioso di lui compie una piccola rivoluzione, vince nel momento stesso in cui ha capito d’aver perso. “E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica: E’ molto più forte del padre” si augura l’eroe greco Ettore quando abbraccia il figlio prima di andare incontro al suo destino. Anche Dustin si toglie la sua armatura, si sveste di ogni corazza e si scopre padre, per la prima volta. Insieme vengono al mondo, simultaneamente, un padre e un figlio. Questa è la vera sfida che mi interessava nel libro, perché è quella che pure nella vita mi dà piuttosto da pensare.

 

Giulio Perrone ha pubblicato “Consigli pratici per uccidere mia suocera” (Rizzoli)

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