La Nazionale italiana (foto LaPresse)

Geopolitica del pallone

Roberto Arditti

Ma quale sconfitta: l’uscita dai Mondiali per l’Italia può essere una grande opportunità. Il calcio sta cambiando faccia, e Qatar e Cina lo dimostrano. Parla De Siervo (Infront)

Adesso è il momento di reagire, ci vuole uno scatto d’orgoglio. Anche perché non è vero quello che si dice o si scrive in questi giorni: nessuno sponsor vuole abbandonare la Nazionale, anzi. Tutti dicono che ora bisogna fare gruppo sul serio, prendendo però l’iniziativa. Stare fermi sarebbe pura follia”. Non è il tifoso che parla, ma è il Luigi De Siervo da pochi mesi amministratore delegato di Infront Italy, società leader a livello internazionale nella gestione dei diritti sportivi.

 

“Non c’è nessuna perdita da cento milioni, non c’è aria di disfatta. Semmai quello che accadrà sarà che chi vorrà aggiudicarsi i diritti per trasmettere le partite di Russia 2018 in Italia finirà per risparmiare qualcosa, a danno dell’agenzia che li detiene. C’è invece un’occasione da sfruttare, un nuovo ciclo da costruire. Per questo auspico una grande tournée della Nazionale italiana prima del Mondiale del prossimo anno, che potrebbe avere nella Cina il suo baricentro. Reagire, questo ci chiede il mercato, non piangerci addosso”.

 

Infront è advisor della Federcalcio sui diritti e quindi De Siervo non vuole andare oltre sui temi “nostrani”. Però questa conversazione con il Foglio serve a fare luce su un aspetto poco “visto” delle vicende calcistiche a livello internazionale e cioè la loro immensa rilevanza di carattere geopolitico. “Se non inquadriamo nel modo corretto l’acquisto di Neymar e Mbappé (agosto 2017) da parte del Paris Saint-Germain vuol dire che non abbiamo capito niente di quello che sta accadendo nel mondo del calcio, dove si gioca una partita che va al di là, ma molto al di là, del campo da gioco”.

 

"Xi Jinping sa che il ranking mondiale tra le nazioni passa anche per il calcio. Quello cinese è un investimento sul futuro"

“Neymar viene strappato a fine luglio al Barcellona per la cifra mostruosa di 220 milioni di euro e la sua presentazione ufficiale viene fatta personalmente da Nasser Ghanim Al-Khelaifi, che è sia il presidente del PSG che di beIN Sport, vale a dire il colosso dei diritti televisivi con canali sportivi di proprietà in moltissimi paesi del mondo (Francia, Spagna, Usa, Indonesia, Hong Kong, Australia, Canada, Brasile e così via). Poche settimane dopo arriva l’annuncio del passaggio dal Monaco al PSG anche di Kylian Mbappé per 180 milioni di euro, portando così a 400 milioni l’esborso più importante di tutti i tempi per due soli giocatori. Due campioni al centro della strategia del Qatar di affermazione su scala planetaria”. Tutto questo si spiega solo con la volontà di rafforzare una grande squadra? Pare molto difficile crederlo. “No di certo”, è la risposta di De Siervo. Gli chiediamo se basta aggiungere il business planetario dei diritti tv per avere un quadro veritiero. La risposta è netta. “No che non basta, se vogliamo capire davvero cosa sta succedendo. Per farlo dobbiamo aggiungere tre elementi almeno. Il primo è che i canali beIN Sport viaggiano in tutti i continenti nella stessa offerta televisiva di Al Jazeera, che certo non è amata da tutto il mondo arabo (per esempio dai sauditi) e che non fa mancare quotidianamente le sue critiche all’occidente e a Israele. Il secondo è che nel 2022 il Qatar ospiterà i Mondiali di calcio, primo paese del Golfo a ottenere l’evento televisivo di lunga durata (tre settimane) più ricco e visibile. Il terzo elemento da tenere presente è nei fatti accaduti all’indomani della visita di Trump in Arabia Saudita (maggio 2017): parte un’offensiva senza precedenti, che vede quattro paesi (Egitto, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita) accusare i governanti del Qatar di collusioni con il terrorismo, con relativa e clamorosa interruzione delle relazioni diplomatiche”.

 

Ecco che allora il quadro comincia a delinearsi. Continua De Siervo: “Dieci anni fa il Qatar decide di puntare sullo sport come formidabile driver di carattere geopolitico. Nasser, già maestro di tennis dell’emiro e giocatore classificato ATP, diventa il dominus della società che ha al centro della sua attività Al Jazeera. Il link tra il canale all news in lingua araba e gli investimenti in diritti sportivi è da subito fortissimo: in tutti i bouquet viene inserito Al Jazeera come complemento dell’offerta televisiva. L’idea deriva da un studio fatto da McKinsey su scala mondiale anni fa, che indica proprio nello sport il vero linguaggio planetario del presente e del futuro prossimo. Ecco allora dispiegarsi la strategia qatarina, che inizia dalla Francia, paese con forte comunità musulmana, antica e tutto sommato ben integrata. Nasser compra il Paris Saint-Germain, come primo avamposto della strategia d’influenza. In contemporanea nasce beIN Sport, che rapidamente diventa un protagonista di primo piano del mercato dei diritti sportivi, grazie a una disponibilità di denaro imponente. A quel punto inizia la seconda fase, quella della vendita, che avviene inserendo sempre Al Jazeera come condizione irrinunciabile per i distributori”.

 

"Auspico una grande tournée della Nazionale italiana prima del Mondiale, che potrebbe avere nella Cina il suo baricentro"

A questo punto diventa essenziale comprendere come ha reagito il mondo a tutto questo. “Per lungo tempo non c’è stata consapevolezza. La svolta avviene quando beIN Sport entra nel mercato americano. Allora scatta un campanello d’allarme, di cui Nbc in particolare si fa interprete, anche per la storica vicinanza dell’emittente alla comunità ebraica. La reazione scatena una battaglia di mercato, cioè i prezzi iniziano a diventare sempre più elevati. La lotta è contro beIN, ma in realtà è Al Jazeera il vero obiettivo”. Tutto questo indipendentemente dalle dinamiche petrolifere? Pare difficile crederlo. “Infatti il nesso è profondo. Innanzitutto per lo storico rapporto che c’è tra Qatar e Iran, plasticamente dimostrato durante i duri anni dell’embargo imposto dalla comunità internazionale a Teheran. Doha non ha mai smesso di aiutare gli iraniani in tutti modi possibili. E qui torniamo al viaggio di Trump in Arabia Saudita. Subito dopo scatta l’offensiva contro il Qatar e quindi contro l’Iran, di cui tutto il mondo ha parlato”. Meno compresa però è stata la reazione qatarina, che si è giocata anche sul piano sportivo. “Esatto. Nasser decide la spettacolare operazione dell’acquisto di Neymar e Mbappé proprio dopo il viaggio di Trump in Arabia Saudita e viene scelto il calcio come strumento per rompere l’isolamento, mettendo Doha al centro della scena mondiale sul grande palcoscenico dello sport. Una prova di forza a tutti gli effetti del Qatar non solo per la rilevanza economica dell’investimento, ma anche per la caratteristica dei due giocatori, che sono autentiche star mondiali in campo e fuori: mi limito a ricordare che Neymar ha più di 80 milioni di follower su Instagram, con Kylian Mbappé che aggiunge i suoi 5 milioni”.

 

Chi può competere con la Cina per aggiudicarsi i Mondiali del 2026? Secondo De Siervo soltanto l'America, in evoluzione

In tutto ciò non possiamo dimenticare che nel 2022 i Mondiali di calcio saranno proprio organizzati dal Qatar. “Infatti questo è un altro pezzo della strategia di Nasser e dell’emiro. Il Qatar ha ottenuto la designazione, contro la quale gli americani si sono battuti in tutte le sedi, cercando in ogni modo spezzare il gioco. Lo scandalo che ha in parte travolto la Fifa è esattamente figlio di questa strategia. L’ipotesi americana è molto semplice e indica in una gigantesca operazione corruttiva l’elemento decisivo che ha portato i mondiali nel Golfo. Ecco allora la reazione sul piano sportivo: Neymar va al PSG e in più diventa il testimonial ufficiale dei Mondiali 2022. La controffensiva di Nasser passa proprio di lì”.

 

Parlando di Mondiali non possiamo evitare di gettare lo sguardo oltre la prossima tappa, perché sul 2026 e sul 2030 c’è già una certa tensione. O sbaglio? “Sì, è così. Ma qui entra in campo la Cina che vuole assolutamente una delle due edizioni. Il presidente Xi Jinping, che ha imposto l’insegnamento del calcio nelle scuole, sa perfettamente che il ranking mondiale tra le nazioni passa anche per il calcio, unico sport veramente globale del pianeta. In fondo è anche lo sport più democratico e di popolo, fatto com’è da ventidue persone che corrono dietro a una palla. Ecco allora l’arrivo in Cina di giocatori forti, ma soprattutto grandi allenatori e sapienti formatori. Quello cinese è a tutti gli effetti un investimento sul futuro. Ogni giorno infatti si aprono scuole calcio e si inaugurano nuovi campi da gioco. Ed ecco gli investimenti in Europa, di cui noi italiani sappiamo tutto visto che Milan e Inter hanno oggi proprietari cinesi”.

 

"Non abbiamo capito niente di quello che sta accadendo nel mondo del calcio, dove si gioca una partita che va al di là del campo"

Insomma una corsa con un solo partecipante, verrebbe da pensare, quella per i mondiali 2026. Chi può competere con la Cina? L’opinione di De Siervo però è diversa. “Dobbiamo comprendere che gli americani stanno cambiando atteggiamento sul calcio. Loro hanno avviato l’imponente operazione che ha decapitato intere falangi di dirigenti calcistici nei vari continenti, soprattutto in Sudamerica. Stanno sostenendo un nuovo modello di governance del sistema con nuove persone e metodi di gestione dei diritti televisivi. Anche perché la popolarità del calcio è in grande ascesa negli Stati Uniti, innanzitutto per la crescita esponenziale della comunità ispanica, ma anche perché il calcio interpreta meglio i gusti sportivi del momento, sempre meno inclini a discipline troppo fisiche come quelle tradizionalmente amate in nord America”.

Cina e America dunque sono pronte a contendersi i Mondiali di calcio per le due prossime edizioni. Ma cos’è questo nuovo amore cinese per il calcio? Secondo De Siervo un potente strumento di business ma anche una leva politica di prima grandezza. “L’opinione pubblica cinese ha una vastità che noi europei non riusciamo nemmeno a immaginare. Il Partito ha bisogno di immettere nell’immenso tessuto sociale cinese nuove forme di intrattenimento, di svago, di differenziazione degli interessi che portano con sé equilibrio e relativa serenità. Da qui i grandi investimenti sui parchi a tema, per esempio. Il calcio risponde a tutti i requisiti, serve in patria e serve per accrescere la reputazione in giro per il mondo. D’altronde le tensioni potenziali nel sistema cinese sono emerse con forza nelle tre ore di relazione del presidente Xi Jinping al Congresso da poco concluso. La mia previsione è comunque questa: l’America organizzerà l’edizione dei Mondiali di calcio del 2026, mentre alla Cina verrà assegnata quella del 2030”.

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