Un carroarmato turco a Sanliurfa, al confine tra Turchia e Siria (foto LaPresse)

La Turchia vuole entrare di nuovo in Siria con il favore dei russi

Daniele Raineri

Perché tutti parlano di un nuovo intervento militare di Erdogan in territorio siriano contro i curdi

Roma. Il collasso progressivo dello Stato islamico in Iraq e Siria crea conseguenze e reazioni in tutta la regione. In questi giorni la Turchia ammassa mezzi militari pesanti vicino al confine con la Siria e tre giorni fa un quotidiano turco molto vicino al governo Erdogan, lo Yeni Safak, ha chiesto con un titolo cubitale un intervento militare in territorio siriano contro i curdi del cantone di Afrin, nella provincia di Idlib. Non sono che le ultime battute di una conversazione sempre più forte e fatta di indizi, speculazioni e indiscrezioni a proposito di un imminente intervento della Turchia in Siria. L’esercito di Erdogan entrò in Siria con i carri armati, migliaia di uomini e forze speciali – appoggiati dai bombardieri – già l’anno scorso ad agosto, un mese dopo il golpe fallito del 15 luglio. Il punto da cui i turchi entrarono era sopra Aleppo. Lo scopo dichiarato dell’operazione era combattere contro lo Stato islamico e anche frenare l’espansione dei curdi, che come tutti sanno Ankara considera come nemici temibili. Prima di continuare serve una precisazione: Afrin, il luogo che ora è al centro dell’interesse, è un cantone curdo isolato che sta nel nord-ovest della Siria e se fosse collegato agli altri cantoni allora i curdi godrebbero di una continuità territoriale ininterrotta lungo tutto il confine turco. In pratica, nascerebbe una regione autonoma curda che si estenderebbe dall’Iraq fin quasi alla riva del Mediterraneo. La Turchia punta a bloccare la nascita di questo Kurdistan siriano. Il presidente Recep Tayyip Erdogan l’ha scritto su Twitter: “Lo dico davanti a tutto il mondo. Non permetteremo mai la costituzione di uno stato curdo nel nord della Siria, costi quel che costi”. Afrin inoltre è nella provincia di idlib, dove si concentrano i gruppi armati anti Assad. Si creerebbe una situazione nuova. 

  

Di questa operazione si parla molto, anche se per ora è soltanto una congettura. I gruppi armati siriani sono certi che avverrà davvero e provano a descriverla in anticipo: i turchi avanzeranno su tre assi per prendere una zona larga circa 35 chilometri. Gli ambienti filogovernativi turchi fanno allusioni. A fine giugno una televisione e un giornale, entrambi vicini al governo di Ankara, hanno prodotto reportage da dentro la Siria in cui affrontavano l’ipotesi della costruzione di una base militare dell’esercito turco su un monte preciso dentro la Siria, da cui si controlla bene il territorio circostante. L’articolo diceva che “la maggioranza della popolazione di Idlib vedrebbe bene l’intervento dei soldati turchi, se provvedessero sicurezza e mettessero fine al terrorismo”. Il luogo è stato identificato da un sito inglese specializzato in indagini giornalistiche, Bellingcat. Considerato che attraversare il confine siriano è quasi impossibile per i giornalisti non autorizzati dal governo (vedi per esempio il caso dell’italiano Gabriele Del Grande, arrestato soltanto perché era nella zona di confine), si può dire che la storia della base militare turca in Siria avesse l’aria di un’anticipazione concordata, perché il grande pubblico familiarizzasse con l’idea.

 

Il governo Erdogan per questa operazione ha un partner, la Russia, e un oppositore, l’America. Con Mosca si parla di uno scambio, negoziato durante un incontro recente avvenuto il 4 luglio tra Erdogan e il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu. I termini di questo ipotetico scambio sarebbero questi: Mosca concede il suo assenso all’operazione della Turchia contro il cantone di Afrin e la Turchia aiuta Mosca a negoziare un cessate il fuoco con i gruppi armati di Idlib, una tregua che poi dovrebbe evolvere in operazioni contro le frange estremiste e infine – ma chissà quando – in accordi con il governo siriano (Mosca inoltre in questa campagna vorrebbe coinvolgere truppe delle ex repubbliche sovietiche centroasiatiche, come il Kazakistan). L’America si oppone, perché se i turchi attaccano Afrin tutti i curdi che in questo momento stanno assediando lo Stato islamico a Raqqa lasceranno quella zona d’operazione e andranno a respingere l’intervento turco. Questa è la situazione: bisogna cominciare a pensare alla battaglia di Mosul in Iraq non come a una scena finale, ma soltanto come alla scena d’apertura di una nuova fase in medio oriente.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)