Icardi e Wanda come due zibellini in tribuna e la fame di Pazzini

Alessandro Bonan

La coppia e l'orologio di Maurito come metafora della partita dell'Inter. L'inconcepibile scelta del Verona di liberarsi del Pazzo

El negher

La brigata, quattro persone, aveva appena lasciato il funerale dell’amico Azeglio, quando, per disperazione, noia, o chissà cosa, si è deciso di parlare del tempo che fu. E di quando c’era lui, il morto. E’ stato in quel momento che uno dei quattro, il più noto e anche il più alto, ha cominciato a disquisire di razza, politica e cammelli. Il tutto in diretta Facebook, come si usa di questi tempi. L’uomo più alto masticava caramelle allo champagne. La sua dialettica senza pensiero aveva un ché di già sentito, in qualche bar, per strada. Non è difficile ascoltare quel tipo di discorsi, provando per chi li fa una profonda tristezza e una gran pena.

Mauro, Wanda e Walter

Belli e impellicciati, due zibellini in tribuna a San Siro. Mauro con l’usuale cappello di lana, Wanda, sotto la proverbiale chioma illuminata, in perfetta sintonia cromatica con l’orologio al polso, il cui oro massiccio pareva molto pesante anche a guardarlo. Metafora della partita, quell’orologio giallo, con il suo inutile scandire dei minuti nei quali l’Inter giocava a rallentare il tempo. A pensarci bene, la coppia Mauro e Wanda, resta l’unico fatto degno di nota a San Siro, unitamente ad una lacrima cristallizzata sul viso da eterno bambino di Walter Zenga. Per il resto solo fischi, un gran Crotone, e il solito Spalletti a chiedersi perché

Leone Pazzini

Se n’è andato in Spagna per giocare. In cerca dell’esistenza, come tutti i bomber della storia. Non è ben chiaro il motivo per cui il Verona, che sembra tutto meno che una lancia appuntita, lo abbia istigato alla partenza. Resta il fatto che Pazzini, nella Liga, alla prima ha fatto gol. E nemmeno a una squadra normale, lo ha fatto al Real Madrid per essere sicuro che lo sapesse tutto il mondo. Ha raggiunto una palla sbucata alle sue spalle, ha allungato la zampa come fosse un leone, come un leone l’ha masticata, e poi l’ha risputata in fondo al sacco. Dicevano a Verona: il Pazzo non c’è più. Il Pazzo si era trasformato in un leone.

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