Il giudice Mel Coffey in "...e l'uomo creò Satana" (Inherit the Wind), film del 1960 diretto da Stanley Kramer

Il bi e il ba

La logica inquisitoria è a un passo dalla paranoia

Guido Vitiello

Reclutare giudici sani non basta, serve controllare periodicamente che non scivolino nel delirio sul piano inclinato della routine professionale, e serve soprattutto un sistema giudiziario congegnato in modo tale da non accompagnarli su quella china

Dice Carlo Nordio che per l’accesso in magistratura manca l’esame fondamentale: quello psichiatrico. È vero, ma non basta. Tutti nascondiamo nell’armadio interiore, tra gli abiti mentali a disposizione, quelli foggiati nello “stile paranoide”. Ma ci sono mestieri, formazioni, abitudini, metodi di lavoro che spingono più di altri a indossarli. La logica inquisitoria è costantemente a un passo dalla paranoia, e nella storia ha compiuto innumerevoli volte il salto.

  

L’inquisitore, scriveva Franco Cordero commentando l’indagine sul caso Marta Russo, “concepita un’ipotesi, vi edifica cabale induttive; l’assenza del contraddittorio apre un vuoto logico aperto al pensiero paranoide; trame lambiccate eclissano i fatti”. È il suo stesso modus operandi a stanare quel lato in ombra della mente. Del resto, Freud edificò la sua teoria della paranoia sul caso di un magistrato di corte d’appello.

 

Sto dicendo forse che i giudici sono matti? No di certo. Dico però che reclutare i sani non basta, serve controllare periodicamente che non scivolino nel delirio sul piano inclinato della routine professionale, e serve soprattutto un sistema giudiziario congegnato in modo tale da non accompagnarli su quella china. Il problema, insomma, non è l’inconscio individuale, è la persistenza di quello che la storica del diritto Loredana Garlati chiama l’inconscio inquisitorio.

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