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il bi e il ba

Non sarebbe dovuto accadere

Guido Vitiello

Hannah Arendt lo ripeteva a proposito di Auschwitz. Anche a me capita di dirlo spesso. L'ultima volta è successo ieri, quando il leader del mondo libero ha detto a un gruppo armato di suprematisti bianchi di “stare fermi e stare pronti”

C’è una frase enigmatica che Hannah Arendt ripeteva come un mantra quando le capitava di parlare di Auschwitz: “Non sarebbe dovuto accadere”. La pronunciò o la scrisse, con piccole varianti, almeno quattro volte nell’arco di due decenni. Dire di un evento accaduto che non sarebbe dovuto accadere significa considerare la storia al lume di un’impuntatura morale, quasi di una ripicca verso l’irrevocabile, di una riluttanza ad accettare che certi orrori siano passati dalla potenza all’atto, dall’immaginazione letteraria dell’inferno alla cronaca, obbligandoci a misurarci su di essi. I mali dei nostri tempi sono microscopici a paragone di quel male, lo dico prima che qualche lettore distratto o attaccabrighe mi rimproveri di accostarli, ma confesso di aver fatto mio il mantra di Hannah Arendt.

 

 

Non sarebbe dovuto accadere: non so neppure quante volte mi sono ripetuto quella frase negli ultimi anni sfogliando i giornali, torturato da un sottile stillicidio dell’irreparabile. Goccia dopo goccia, come attraverso una conduttura mal saldata e distrattamente sorvegliata, piccoli orrori trasmigrano dal campo del possibile a quello del reale. E si sta come cavie di un perverso esperimento in cui ogni giorno qualcuno sposta più in là, impercettibilmente, la soglia di ciò che si può dire e di ciò che si può fare, imponendo un nuovo orizzonte della normalità. L’ultima volta che mi sono sorpreso a ripetere il mantra è stato ieri, quando il leader del mondo libero, davanti alle platee di mezzo pianeta, ha detto a un gruppo armato di suprematisti bianchi di “stare fermi e stare pronti”. Non sarebbe dovuto accadere.

 

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