(foto LaPresse)

Chiamare l'estrema destra con il suo nome

Guido Vitiello

Il laboratorio italiano trabocca di politici che stanno a destra di Almirante ma che a differenza sua non devono neppure fare la fatica di comprarsi un doppiopetto: glielo cuciono addosso opinionisti e politologi

Lo dico a rischio di sembrare snob: c’è stato un tempo in cui, non capendo un tubo del retroscenismo dei nostri giornali, seguivo l’attualità italiana sulla stampa spagnola. Lo ripeto oggi con la certezza di sembrare snob: il solo libro sulle nuove destre che valga davvero la pena leggere è stato pubblicato qualche mese fa in Spagna e si intitola “Patriotas indignados” (Alianza editorial), ma se elencassi i nomi dei suoi molti autori consumerei metà del mio spazio. Basterà citare il titolo di qualche capitolo per invogliare il lettore: “Alleanze nazionali di classe. Simbiosi tra l’ultradestra e la sinistra radicale”; “Consultazioni di combattimento. La politica referendaria come strategia, 1972-2017”; “Il ’68 capovolto. Il parassitismo ideologico della nuova ultradestra”; “Il laboratorio italiano. La grande sintesi europea”. Tra le molte cose notevoli stipate in quattrocento pagine fittissime, spicca il rifiuto polemico della categoria di populismo – non perché imprecisa, ma perché pavida. E’ quello che l’ungherese Tamas Dezso Ziegler, citato nel testo, chiama “inganno populista”: l’atteggiamento comune a molti osservatori della politica, a metà tra una singolare idea del bon ton e una ancor più singolare idea della neutralità, che fa sembrare sconveniente chiamare l’estrema destra col suo nome. Meglio annacquare i termini e dire populisti. E così, tornando a noi, il laboratorio italiano trabocca di politici che stanno a destra di Almirante ma che a differenza di Almirante non devono neppure fare la fatica di comprarsi un doppiopetto: glielo cuciono addosso opinionisti e politologi.

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