(Foto Pixnio)

Camillo e Corrado nell'Italia del vino - 10

Brindisi finale

Camillo Langone e Corrado Beldì

I vignaioli sardi, la sicilianità e il lusso che manca da morire. È tempo di ritrovarsi al Tabarro

Corrado, il nostro viaggio ormai è finito, l’estate agonizza ed è tempo di ritrovarci al Tabarro o ancor meglio a casa mia perché ho comprato due bottiglie da litro e abbisogno di aiuto per berle. Non ho ancora capito se il formato litro mi piace oppure no, forse sì per via della sovrabbondanza, forse no per via della pignoleria decimale: lo scopriremo solo bevendo.

 

Camillo,  l’estate sta finendo, comincia a mancarmi la mia casa e mi è venuta una gran voglia di nebbiolo. Pensa che oggi al MAN di Nuoro, dove c’è una mostra curata da Luca Scarlini sull’influenza del Piemonte sulla Sardegna e viceversa, ho potuto ammirare dei disegni naturalistici di Alberto La Marmora, cartografo biellese da non confondersi con i più bellicosi fratelli. Alberto amò la Sardegna al punto da girarla in lungo e in largo per scrivere il suo monumentale “Voyage en Sardaigne” in cui tratta di storia, geografia, archeologia, geologia, antropologia e soprattutto di ornitologia. Amava così tanto gli uccelli sardi, disegnati e arrostiti, che alla fine gli venne la gotta e saggiamente, per accompagnarli, decise di portare in Sardegna l’uva nebbiolo, di cui esiste una confraternita a Luras, in Gallura, dove intendo dirigermi appena possibile.

 

Tutto questo parlare di Sardegna mi ha messo voglia di parlare di Sicilia. Non che sia un sicilianista, quando da padano mi rifaccio meridionale resto comunque un meridionale moderato: per intenderci, a me sotto Maratea risulta difficile scendere. Ma il vino fa miracoli e grazie al vino oggi mi attira una Calabria d’eccellenza, quella che produce un paradisiaco Cirò rosa (azienda agricola Scala, Cirò Marina), e grazie al vino sono entrato in contatto con una Sicilia leggera, il contrario dell’insopportabile Sicilia pesante definita “luttuoso lusso” da Gesualdo Bufalino. Bevendo il Voria Rosso di Porta del Vento che sembra una spremuta di arancia sanguinello: nessun lutto, è frizzante e divertente, e nessun lusso, costa poco.

 

Camillo,  oggi invece il lusso mi manca da morire, questo rientro dalla Sardegna è di certo il momento peggiore del mio viaggio. Se Gianni Boncompagni sul suo biglietto da visita aveva scritto “mai stato in Sardegna”, io vorrei scriverci “mai stato in traghetto”. Troppo tardi, ormai sono prigioniero di questo enorme ferro da stiro galleggiante e non so dove stare, fuori c’è un caldo boia e un vento così caldo che immagino venga dal Sahara, dentro c’è un’aria condizionata da mettersi il tabarro e attorno bambini che pensano soltanto alle loro patatine fritte, ai popcorn, agli smarties, ai cornetti, alle noccioline e altre orribili merendine pensate per fare utili cospicui e probabilmente non tassati nel nostro paese. Camillo, se lo 0,01 per cento di quel mancato gettito fosse impiegato per aiutare i piccoli vignaioli sardi, io tornerei in Sardegna su questo stesso traghetto e ci resterei per sempre.

 

Finalmente ti sento peculiarista, finalmente puoi capire la mia ira contro i pugliesi nemici del vino pugliese, contro i parmigiani nemici del Lambrusco Maestri, contro i trevigiani nemici del Raboso rifermentato, e il mio considerare i ristoranti Krug Ambassador traditori della patria, meritevoli dell’inferno dantesco. Dunque finisco in bellezza brindando con un piccolo produttore del tuo Piemonte, Domenico Capello dell’azienda La Montagnetta (Roatto, provincia di Asti), che è specialista di un piccolo vitigno, piccolo solo per numero di ettari, la Freisa. Anzi specialista della versione più autentica e minoritaria, la Freisa frizzante. Piaceva a Gianni Mura, piace a me, piacerà a chi, domani, stufo dei vini uguali e inerti sceglierà la varietà, la vivacità, la vita.

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