Il dibattito televisivo su France 2

Al primo dibattito in Francia c'era da spegnere la tv per lo spavento

Paola Peduzzi

La campagna elettorale per le elezioni europee

Milano. A sette settimane dal voto per le europee, inizia la stagione dei dibattiti elettorali, giovedì sera si è cominciato in Francia: dodici candidati che si sono parlati uno sull’altro per tre ore, la sinistra contro la sinistra, la destra contro la destra, l’estremismo con i suoi numeri sparati a caso, il centro monocorde. Se questo è il paese che fa da guardiano al progetto europeista, la centrale del liberalismo e dei valori comunitari, c’è da avere un po’ di paura. I commentatori hanno sintetizzato la serata con il termine “cacofonia”, che molto promettente non è, ma le minacce dei conduttori “vi chiudo i microfoni” e le lamentele del pubblico (piccino) travolto dalla confusione non sono niente rispetto a quel che invece si è capito.

  

Nathalie Loiseau, capolista della République En marche, è quel che t’aspetti dall’europeismo tecnocrate: sempre la stessa espressione, tutte cose giuste messe in fila, zero cuore. È vero che quel che deve dire la Francia sull’Europa è già ben articolato dal presidente, Emmanuel Macron, ma quel fervore europeista del 2017, l’Europa che protegge ma anche che ispira, che diverte, che commuove, sembra evaporato. Se si pensa poi che uno degli obiettivi principali di questa campagna elettorale è la mobilitazione – andate a votare, fate sentire che vi interessa il futuro dell’Europa – l’assenza di carisma fa ancora più spavento. E per raffreddare ancora un po’ gli spiriti già ghiacciati, il Figaro ieri ha pubblicato un sondaggio che è un dito negli occhi dell’europeismo. Soltanto il 29 per cento dei francesi considera l’Europa come una fonte di speranza per il futuro (nel 2003 era il 61 per cento, nel paese che due anni dopo avrebbe bocciato il Trattato costituzionale europeo), il 31 per cento come una fonte di paura e il 40 per cento – quasi metà degli intervistati – non decide, né speranza né paura, forse semplice, deprimente disinteresse.

  

Per lo meno la Loiseau ha superato quasi indenne il fact checking delle cose che ha detto – ci sono dubbi sul battibecco che ha avuto con il candidato ecologista, Yannik Judot, sul glifosato – il che non vale per Nicolas Dupont-Aignan, che di recente ha detto in un’intervista al Foglio: “Vedo molto bene il governo italiano, sarebbe un sogno averlo in Francia. Siete molto fortunati”. Dupont-Aignan ha detto che “ci sono 18 milioni di migranti in Europa” e, dopo le rimostranze, ha aggiunto: “Sono dati Eurostat”. Bisogna saperli leggere però, questi dati, come ha spiegato il Monde: secondo Eurostat dal 2013 al 2017 sono arrivate circa due milioni di persone ogni anno, 9,6 milioni in tutto, la metà di quel che dice il leader di Debout la France, partito sovranista che al Parlamento europeo siede assieme al M5s. Dopo il dibattito Dupont-Aignan ha pubblicato un grafico di Eurostat su Twitter, quello in cui compare questo numero, 18 milioni. Il grafico esiste ma in questo conteggio, oltre i migranti che arrivano da fuori le frontiere europee, compaiono anche i cittadini che tornano nel paese membro dell’Ue di cui hanno la nazionalità o che si muovono da un paese all’altro per svariate ragioni: sono cittadini europei. Dettagli e leader minori, si può dire, e in parte è vero. Ma il sondaggio del Figaro segnala che tra le preoccupazioni principali dei francesi c’è l’immigrazione (al secondo posto, dopo il potere d’acquisto) e che l’Unione europea è considerata efficace sui temi migratori soltanto dal 18 per cento degli intervistati.

  

Il simbolo del primo dibattito, a parte i numeri sbagliati e la cacofonia, resteranno le manette avvolte nella bandiera europea, che sono state portate in trasmissione da François Asselineau, presidente dell’Union populaire républicaine, l’unico partito che chiede esplicitamente l’uscita dall’Ue, dalla zona euro e dalla Nato. Siamo prigionieri, ha detto Asselineau, tutte le decisioni strategiche sono prese da Bruxelles e le regole sono fissate nei trattati, non c’è scampo, abbiamo le manette, e l’unico modo per liberarci è scappare. Anche questo è un leader minore, ma se tutti gli altri, di destra e di sinistra, passano il tempo a litigare tra loro, come è accaduto al dibattito, la grande sfida delle europee rischia di restare come questo primo assaggio di campagna elettorale: una doccia gelata.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi