Le vite degli altri: così Instagram ha incendiato la protesta in Iran

Alcol e feste, jet personali e abiti firmati, cibi di lusso e ville sontuose. L'account "Rich Kids of Tehran" mostra le immagini dei figli dell'élite che "si comportano come una nuova classe aristocratica"

Enrico Cicchetti

Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 ci sono state violente proteste in Iran dove l'inflazione è intorno al 12per cento e il 40per cento dei giovani è disoccupato. I manifestanti si sono mobilitati contro la corruzione, i problemi economici e la politica di austerità del governo di Rohani. Le proteste sono state infiammate dalle immagini del lusso in cui vive quell'élite benestante che ha raccolto i frutti del rigido regime teocratico. La rabbia è stata esasperata anche dai figli di quegli iraniani facoltosi che ostentano la loro ricchezza con foto e video sui social media. "Quando le rare Maserati ruggiscono attraverso le affollate strade di Teheran, tra gli autobus affollati e le squallide berline, alcuni pedoni lanciano maledizioni nella loro scia", scrivono Shashank Bengali e Ramin Mostaghim sul Los Angeles Times. Il LA Times ha usato il noto account Instagram "Rich Kids of Tehran" come esempio, dove "Attraenti ventenni ostentano sandali Hermes da 1.000 dollari a bordo piscina in lussuose ville nella capitale mentre, in un'altra parte della città, dei disperati si venderebbero un rene per nutrire le loro famiglie”. Il giornalista iraniano Amir Ahmadi Arian scrive sul New York Times: "I giovani ricchi iraniani si comportano come una nuova classe aristocratica ignara delle fonti della loro ricchezza".

   

   

Già dalla primavera scorsa l'Iran affronta un'ondata di proteste da parte dei clienti di diversi istituti di credito in bancarotta, che hanno perso i loro risparmi. I manifestanti arrabbiati si sono riuniti, quasi ogni giorno fino al novembre scorso, di fronte agli edifici governativi per reclamare azioni contro ciò che ritengono una frode su larga scala e chiedere risarcimenti. La crisi bancaria che ha colpito l’Iran ha le sue radici soprattutto nell'espansione di cosiddette cooperative che hanno funzionato per molti anni come mini banche, senza seguire però le leggi e i regolamenti standard. Queste associazioni, chiamate Ta'avoni, hanno potuto contare su sussidi governativi, usare il capitale investito dai propri membri per impegnarsi in attività commerciali, costruire o comprare case e fornire servizi finanziari. Alcune erano in grado di attirare centinaia di migliaia di risparmiatori, con la promessa di tassi d’interesse molto più elevati rispetto alle banche regolari. La mancanza di una corretta supervisione ha portato a corruzione diffusa e truffe. Nel 2013, circa il 25 per cento del flusso di cassa nel mercato finanziario del paese veniva gestito da questi istituti, ha spiegato a luglio Valiollah Seif, attuale presidente della Banca centrale iraniana. Ad agosto, Seif ha promesso che tutte le cooperative finanziarie “illegali” saranno chiuse entro la fine dell'attuale anno persiano (il 21 marzo 2018) e ha chiesto ai cittadini di non farsi ingannare dagli alti tassi offerti da queste istituzioni. Ma per molti correntisti era già troppo tardi.

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