Carlo Bonomi (foto LaPresse)

Gli imprenditori di Assolombarda contro “il delitto del sovranismo”

Daniele Bonecchi

“L’Europa malgrado i suoi errori non è una costrizione o un ostacolo. L’Unione è e resta un valore maggiore della somma dei singoli Stati: è un valore aggiunto”

Gli imprenditori di Assolombarda – a modo loro – si schierano. Bellicosi. Carlo Bonomi, il presidente, non è mai stato tenero con la compagine di governo che ha sottoscritto il contratto, ma non era mai arrivato a dire che “il ritorno del sovranismo non è un errore… è un delitto”. L’occasione è la presentazione del libro “Il valore dell’Europa”, voluto dagli industriali lombardi e realizzato dalle università milanesi (più Lodi e Pavia). Un appello forte e la risposta sul perché interrogarsi, ancora oggi, sull’Europa, la dà Ferruccio Resta, rettore del Politecnico: “Stare ancora a chiedersi se siamo o no europei, a distanza di più di mezzo secolo dal trattato di Roma e di oltre 25 anni da Maastricht, è sinonimo di uno scollamento con la realtà e di un ritardo nelle istituzioni”.

 

“Essere europei oggi significa smettere di chiederci chi siamo e mettere in atto politiche di crescita comune che tengano conto dei bisogni delle generazioni future”. Lo conferma il tweet col quale Bonomi accompagna la presentazione del libro: “L’Europa non è un ostacolo ma il miglior rappresentante sullo scacchiere mondiale delle nostre idee e di ciò che sappiamo fare, perché ha quel peso che nessuno potrebbe vantare giocando la partita da solo”. Sono solidi gli argomenti del capo degli industriali di Assolombarda: “La risposta non è meno Europa e il ritorno nel nostro continente agli Stati nazionali, come se il Secondo conflitto mondiale e la guerra fredda fossero trascorsi invano. Bisogna invece far tesoro di quanto è avvenuto. E ripartire dal ricordare che l’Europa malgrado i suoi errori non è una costrizione o un ostacolo. L’Unione è e resta un valore maggiore della somma dei singoli Stati: è un valore aggiunto”.

 

Con spiegazioni economiche: “Le 11 regioni italiane che presentano oggi un tasso di interdipendenza a catene transfrontaliere del valore superiore al 20 per cento della loro manifattura – e ovviamente in posizioni di punta sono Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – valgono da sole l’80 per cento del valore aggiunto industriale italiano. E i dati ci dicono che le nostre medie e piccole imprese internazionalizzate, a parità di classe dimensionale, negli ultimi anni hanno fatto meglio delle corrispondenti francesi e tedesche”. Sul fronte degli scambi “in un mondo che torna a trattare di commercio bilateralmente tra grandi potenze, il commercio frena. Di questa frenata noi siamo vittime… Troppe volte dimentichiamo innanzitutto che cosa abbia rappresentato l’abbattimento dei dazi interni e dei vincoli quantitativi ai flussi commerciali tra gli allora paesi prima del Mercato europeo comune e poi della Comunità”.

 

Spiega ancora Bonomi: “La frenata in corso che vuole sostituire al Wto i grandi patti bilaterali tra potenze è un vero attacco all’Europa, alla nostra industria, alla nostra manifattura, alla nostra proiezione nel mondo e al nostro benessere. Chi crede di trarre vantaggio trattando al ribasso posizioni nazionali di benevolenza da parte della Cina, o della Russia, mostra di non aver capito molto di quanto sta avvenendo e di come l’interesse convergente delle grandi potenze è rivolto al nostro indebolimento, e al frazionamento dell’occidente cui anche gli Usa di Trump hanno mostrato di non credere”. Ma le imprese lombarde guardano anche al valore della ricerca: infatti “c’è l’Europa della scienza, della ricerca e delle tecnologie più avanzate. In un’Italia che stenta a destinare l’uno per cento del Pil alla ricerca pubblica, senza Horizon 2020 e i programmi straordinari realizzati anche al Piano Juncker la nostra capacità di attrattività di fondi aggiuntivi europei verrebbe meno, ed è invece esattamente ciò che le aree più avanzate del paese a cominciare dalla Lombardia in questi anni si sono attrezzati a fare. Sfide come quelle delle Life Sciences e della Precision Medicine, quella del full electric e del self driving nell’automotive, della cyber security, non sarebbero alla nostra portata come paese isolato dall’Europa”.

   

Ma come spiegare l’Europa che serve ai giovani che, dopo l’università, si affacciano al mondo del lavoro? “Dobbiamo decidere se dobbiamo essere stazione di partenza e di arrivo”, spiega Resta, “è fondamentale che l’Europa continui a investire in formazione per poter guardare lontano, puntando sulle competenze e sul pensiero critico, sull’interazione tra tecnologia e tradizione umanistica; in ricerca per anticipare le sfide tecnologiche di oggi e di domani, dall’intelligenza artificiale alle scienze sociali e della vita; in innovazione, per contribuire alla crescita delle imprese; in infrastrutture e cultura per uno sviluppo sostenibile”. Ora però serve “una maggiore integrazione politica, soprattutto perché l’Europa impari a parlare con “una sola voce”.

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