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Grillo e il biglietto con la carta di credito: i Cinque stelle non capiscono Milano

Ivan Berni

“Sala vuole l’aumento del biglietto perché Atm è stata gestita male”, dice Violi. Peccato sia l’unica utility italiana del trasporto pubblico di una grande città a produrre dividendi per il suo azionista

Lunedì sera il feticcio di Beppe Grillo stava in tivù, chez Freccero, e malinconicamente raccoglieva poco più del 4 per cento di share in una serata celebrativa di quando era un molesto comico ruspante. Nello stesso momento il Grillo attuale, in generosa stazza e messa in piega della grigia chioma, intratteneva il pubblico al teatro Dal Verme di Milano, per il suo nuovo show “Insomnia” che sta girando l’Italia. Il guru genovese è un campionario vivente di difetti, ma non si può certo dire che gli manchi la consapevolezza del luogo e del sentimento della platea. Sicché, a Milano, si è astenuto dal dipingere la città come una fogna a cielo aperto, o una capitale del malaffare. Quando ha parlato della città l’ha definita “pulitissima” ed efficiente, ma cara come il fuoco e ostile ai poveri, nonostante la povertà sia stata sconfitta dal discepolo Giggino con il reddito di cittadinanza. E dunque per Beppe il guru fondatore, questa è “una città per multinazionali, dove il metrò si paga con la carta di credito”. Concetto che, a ben vedere, potrebbe andare a pennello anche al Beppe (Sala) sindaco, che di multinazionali sotto il Duomo ne vorrebbe sempre di più (portano denaro, lavoro e relazioni, pare…) e che ha fatto del pagamento del metrò con la card un fiore all’occhiello della città. Però il Guru intendeva un’altra cosa perché il suo cervello non funziona come quello del sindaco. Probabilmente intendeva, il Grillo, che qui senza una carta di credito non conti nulla e forse, anche, che siccome il biglietto della metrò fra poco crescerà a due euro ci vorrà per forza una Visa, una MasterCard o un’American Express per pagarlo.

 

Il punto è che Grillo ha un’orizzonte mentale fermo al dopoguerra. Pensa alla carta di credito come a un esotico privilegio da cumenda o da playboy. Roba da jet set anni Sessanta, da Ursula Andress in bikini o, tutt’al più, da bauscia milanesi in trasferta a Santa, pronti a farsi pelare un milione (di lire) a sera al Covo di Nordest. Il vecchio Grillo, quello della share imbarazzante su Rai2, è tornato se stesso. O forse non è mai cambiato. Del resto la modernità dei Cinquestelle si nutre, in realtà, del desiderio infantile di tornare a un vecchio mondo a due dimensioni, banalizzato quanto basta per far somigliare un grumo di frustrazioni a una politica della “gente” contro la casta, le elites, l’Europa, i vaccini obbligatori, i gasdotti e le carte di credito. Non è un caso che sulla paradossale vicenda dell’aumento a due euro del biglietto Atm, i pentastellati lombardi non abbiano trovato di meglio che schierarsi per il no con la stupefacente motivazione che “Sala vuole l’aumento del biglietto perché Atm è stata gestita male”, come ha balbettato Dario Violi, consigliere regionale ed ex candidato presidente del MoviMento. Il che fa ridere, o piangere, considerando che l’Azienda trasporti milanesi è l’unica utility italiana del trasporto pubblico di una grande città a produrre dividendi per il suo azionista (il Comune di Milano). E che funziona così bene da avere aumentato del dieci per cento i chilometri annui percorsi e i passeggeri trasportati. E che sul trasporto pubblico locale non è nemmeno immaginabile mettere a confronto Milano con Roma, ovvero Atm con Atac e Beppe Sala con Virginia Raggi.