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Discutere di “Urban Forest”. Coniugare scienza con buona politica

È in corso da ieri fino al 1 dicembre il primo World Forum on Urban Forests, promosso dalla Fao e organizzato dal Comune di Mantova

Mantova. È in corso da ieri fino al 1 dicembre il primo World Forum on Urban Forests, promosso dalla Fao e organizzato dal Comune di Mantova, dal Politecnico di Milano e dalla Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale. In città ci sono anche molti eventi piacevoli e istruttivi, ma non si tratta di deliziarsi con utopie versi, anche se Mantova è stata eletta per il secondo anno consecutivo come la città più verde d’Italia e non ha particolari problemi di vivibilità ambientale. Il problema – e il tema – sono le altre città. Che occupano in totale solo il 3 per cento della superficie del pianeta, ma ospitano il 54 per cento degli esseri umani.

 

E soprattutto, consumano il 70 per cento dell’energia globalmente consumata e producono il 75 per cento degli inquinanti e dei gas serra. Nel 2050, la popolazione urbana sarà il 70 dell’umanità. Dall’altro lato della barricata, come ricordava ieri sul Corriere Stefano Boeri (che con Cecil Konijnendijk della University of British Columbia ha diretto il comitato scientifico del Forum) ci sono gli alberi: ogni albero adulto che vive in città produce ogni anno 110 chili di ossigeno e ne assorbe 400 di anidride carbonica, oltre a contribuire ad abbassare l’effetto “isola di calore urbano”. Se fossimo semplicisti, si tratterebbe solo di fare incontrare domanda e offerta.

 

L’aspetto interessante del Forum sulle Foreste urbane è che non è semplicistico, così come il concetto di “urban forest” non è una trovata di marketing della comunicazione. È un concetto che da tempo si muove aggregando scienze e approcci multidisciplinari, dall’urbanistica alla misurazione degli effetti sulla salute, dalla progettazione di “infrastrutture verdi” all’utilizzo dei big data nella valutazione del loro impatto, allo studio dei materiali all’architettura e all’architettura del paesaggio. Si tratta di mettere a tema (e in “produzione”) l’idea di un nuovo approccio ai grandi sistemi urbani che sia sostenibile nei prossimi decenni. Sapendo che la scienza lo può permettere e la politica può decidere. Il contrario, se vogliamo, di certo ambientalismo d’antan, e dell’antisviluppismo che va per la maggiore in Italia oggi.

 

Quello del Forum, infatti, non è una cartolina ma un tema che andrebbe preso sul serio anche dalla politica, tanto più in un paese come l’Italia, in cui l’ambientalismo – salvo lodevoli nicchie ed eccezioni – è sempre stato trattato semplicisticamente e in modo strumentale. Gli esperimenti già in essere in ambienti urbanizzati, spesso in condizioni di criticità più difficili e non paragonabili alle nostre, dimostrano che serve un approccio scientifico, di progettazione e rigenerazione urbana, di studio dei materiali. Esperimenti di “riforestazione urbana” sono da anni in corso negli Stati Uniti, in Pakistan, in Perù, in Giappone o in Uganda. Luoghi diversissimi. I dati confermano il miglioramento della qualità dell’aria anche in territori molto inquinati ad esempio in India. Esistono politiche ambientali da mettere a confronto. Temi politici.

 

A Milano, in questi giorni, è in corso anche un forum del progetto internazionale “100 Resilient cities” promosso da Fondazione Rockfeller. Milano ne fa parte, in una rete che comprende città come Melbourne, Parigi, Manchester, Toronto, Atene, Quito, Buenos Aires, Tel Aviv, Lisbona che lavorano da tempo sul concetto di “Urban Forest”. Si parlerà di “Infrastrutture verdi per Città resilienti e biodiverse”. Il Piano di governo del territorio di Milano già oggi prevede la riduzione del consumo di suolo del 4 per cento, la nascita di almeno 20 nuovi parchi e del Grande Parco metropolitano attraverso l’integrazione tra Parco Nord e Parco Sud. Idee da concimare. 

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