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Che ci fa il sindaco di Cerveteri a caccia di “civici” al Nord?

Fabio Massa

Alessio Pascucci di Italia in Comune (Pizzarotti team) in cerca di alleati “prog”. Sala? “Mi piace”

Europeista, garantista, per le grandi opere “ma ascoltando i territori“. E dal Lazio parte spesso e volentieri per creare una rete di livello nazionale. Alessio Pascucci è il sindaco di Cerveteri. Ingegnere informatico, capelli arruffati, è il fondatore di Italia in Comune, alla cui presidenza c’è Federico Pizzarotti. Giovani forze della sinistra alla ribalta? Forse. Sicuramente il civismo cerca una nuova collocazione: anche e soprattutto a Milano e in Lombardia, visto che dopo l’esperienza di Giuliano Pisapia e quella di Umberto Ambrosoli, attualmente non c’è un collante. Potrebbe essere proprio Italia in Comune. Qualche segnale c’è. Come quello avvenuto a Verbania, dove un gruppo di amministratori locali ha colloquiato con i movimenti civici. C’era anche Beppe Sala. E c’era anche Alessio Pascucci.

 

“Ci siamo visti di sfuggita, ripromettendoci di incontrarci. Certo, lui è il prototipo di quello che vorremmo nel nostro partito”. Parola usurata, il partito. Oggi va di moda movimento, o rete. “Ma noi non vogliamo mica prendere in giro i cittadini. Vogliamo essere un partito. Che partecipa a tutte le elezioni. Abbiamo lanciato, tanto per dirne una, la candidatura di Zedda alle regionali sarde”. Pascucci ha 36 anni, la prima volta in Consiglio comunale ci è entrato nel 2003. “Ho sempre militato nel centrosinistra. Anche se poi mi sono pure dovuto scontrare con il Pd, nei miei territori. Ho vinto in alternativa a centrosinistra e centrodestra. Solo che dopo un anno che facevo il sindaco avevo il governo sempre contro, e mi sentivo davvero solo a combattere. Così, insieme a una decina di amministratori abbiamo fondato L’Italia in Comune. Ci siamo scambiati le buone pratiche. La precondizione per entrare in questa rete era questa: portare delibere e fatti concreti, perché di idee ne abbiamo tutti. Ma fatti, molti meno. Per due-tre anni incontro sindaci e consiglieri, tutti si sentono soli e abbandonati. Nel 2017 decido che Italia in Comune sarebbe dovuto diventare un partito”.

 

E Pizzarotti? “Lo avvicino a una riunione dell’Anci. Mi dice che ha un’idea simile alla mia. Allora al lancio lo invito. Lui arriva, si convince, e decide di partire con noi. Alla fondazione davanti al notaio lui viene nominato presidente, il sindaco di Latina Coletta vicepresidente e io coordinatore nazionale”.

 

A Verbania, una decina di giorni fa, c’è lo sbarco a Nord. L’animatore di quel gruppo, tra gli altri, è Franco D’Alfonso, storico ideologo arancione di Milano. “Abbiamo un orizzonte nazionale. Ma crediamo nella territorialità e quindi diamo la precedenza a quello che si decide nei territori. L’unico vincolo che gli amministratori locali hanno è quello di essere nell’alveo della carta dei valori. Poi se vogliono aderire a Italia in Comune possono anche tenere il loro nome, se lo desiderano. Vogliamo aprire, in base ai valori inderogabili dell’europeismo, dei diritti e della solidarietà un dialogo con i civici di Piemonte, Lombardia, Liguria”. Il fatto che non siano il Pd, è chiaro. Ma anche il fatto che siano assolutamente all’opposizione del governo: “Siamo assolutamente divergenti da questo esecutivo e dalle sue politiche”. Il partito dei sindaci, però, non è mai stato di particolare successo in Italia: “Vero, ma noi non siamo il partito dei sindaci. E non siamo neanche un conglomerato di gente contro qualcosa, come il M5s. Siamo un partito con dei valori”.

 

E Beppe Sala? “Sarebbe il prototipo di amministratore locale, che si trova all’interno di un partito politico tradizionale ma in modo autonomo e originale. Spero di poter costruire un percorso con lui”.

 

Torniamo ai valori: “Sono europeista convinto, anche se l’Europa va un po’ riformata. Ma certo quelli che si sono fatti eleggere senza mai andarci non possono parlare. L’antifascismo? Imprescindibile“.

 

Giustizialista o garantista? “Assolutamente garantista. Ho un grande numero di rinvii a giudizio, come tutti i sindaci. Ritengo però che essere garantisti non voglia dire essere ingenui. Io ho denunciato un tentativo di corruzione. Mi avevano portato a casa 375 mila euro, sono stati registrati e ho collaborato con gli inquirenti. E’ ovvio che in casi del genere bisogna essere durissimi. Punizioni esemplari. Essere garantisti non vuol dire essere buonisti”.

 

In questo momento a Milano c’è una battaglia sui diritti, con polemiche sulla registrazione di figli di coppie omogenitoriali. “Faccio un esempio concreto: l’altro giorno ho registrato tre figli di due coppie omogenitoriali, dovendo fare un atto di disobbedienza civile, perché la seconda mamma non ha diritto di riconoscere il figlio. Noi giuriamo sulla Costituzione, e quando ci sono le leggi che contrastano, noi abbiamo il diritto di dare un segnale. Anche esponendoci a sanzioni per la nostra disobbedienza“. E gli avvisi di garanzia? “Non importano“.

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