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Il modello per un'immigrazione buona c'è. In Lombardia

Daniele Bonecchi

A Milano e dintorni gli stranieri arrivano e rimangono: lavorano, producono e si integrano. Che ne dice Sala

E’ una notizia di quelle destinate a spezzare il cuore a Matteo Salvini: a Milano l’uomo nero c’è e – al netto di qualche migliaio di pusher, un piccolo esercito di accattoni e i capi bastone del racket delle occupazioni abusive nelle case popolari – ha voglia di lavorare. Perché, come scriveva Alda Merini: “Milano benedetta. Donna altera e sanguigna con due mammelle amorose pronte a sfamare i popoli del mondo”. A sfamarli a patto che rispettino la regola che fa marciare la capitale morale: lavorare. Ed è proprio il sindaco Beppe Sala a certificare il fatto: “A Milano gli immigrati sono il 19% della popolazione: senza l’immigrazione l’economia della nostra città si bloccherebbe. Siamo una città internazionale che crede nell’apertura”, posta in rete il primo cittadino. E poi al Foglio spiega che “Milano mantiene una forte capacità di attrarre gli stranieri perché sa offrire lavoro, la cosa positiva è che non si tratta solo di lavoro dipendente. Gli stranieri da noi sono anche piccoli imprenditori”. La Camera di commercio conferma: a Milano sono 48.000 (+4 in un anno, +37% in cinque anni) le aziende gestite da imprenditori nati all’estero e in Lombardia sono 101.000. In Lombardia: 1,2 miliardi le rimesse degli immigrati valgono 1,2 miliardi, il 23% del totale italiano. “C’è un punto peculiare che riguarda Milano – insiste Sala – la capacità di prendersi cura e assistere i lavoratori stranieri, che attraverso le rappresentanze sindacali possono inserirsi meglio nel mondo del lavoro. Il tema delle nostre relazioni con gli stranieri, se passa attraverso il lavoro, diventa tutto più facile”, conclude. Crescono anche i lavoratori stranieri che si iscrivono al sindacato (Cgil, Cisl e Uil), ad oggi, nell’intero paese, sono 975.000, con una crescita dell’8,5 per cento.

 

Parlano chiaro i dati della ricerca del Centro studi Idos, in collaborazione col Centro Confronti e l’Unar, presentati dalla Cisl milanese, che raccontano di una controtendenza, senza sorprese per chi conosce Milano. Se nel resto del paese gli immigrati, anche di seconda generazione “emigrano”, cioè vanno all’estero, in Germania, in Inghilterra, nei paesi del Nord a cercare un lavoro, a Milano chi arriva si ferma, perché la città offre possibilità. L’idea poi che gli immigrati rubino il lavoro agli italiani è smentita dalla realtà: dei 2.423.000 occupati stranieri in Italia nel 2017 (il 10,5% degli occupati) ben due terzi svolgono professioni manuali, come operai, operatori dei servizi, dove gli immigrati rappresentano il 67,4% dell’insieme. Ma anche nell’industria (25,6%) e nell’agricoltura (6,1%) trovano occupazione gli stranieri. E’ straniero il 71% dei collaboratori domestici e familiari, la metà dei venditori ambulanti, il 18,5% di chi lavora negli alberghi e ristoranti, un sesto dei manovali edili. In media, a pari funzioni, un dipendente italiano guadagna il 25,5% in più di uno straniero (1.381 euro mensili contro 1.029). I disoccupati stranieri sono solo 406.000, un settimo di tutte le persone che cercano occupazione. Complessivamente il tasso di disoccupazione degli italiani è del 10,8% mentre per gli stranieri è del 14,3%. La ricerca parla di un’invasione che in Italia non c’è, perché se la percezione “dell’uomo nero” è assai diffusa in Italia, la realtà è un’altra. Con circa 5 milioni di residenti stranieri (5.144.000) l’Italia viene dopo la Germania che ne conta 9,2 milioni e il Regno Unito con 6,1 milioni ma davanti a Francia e Spagna che ospitano 4,6 milioni e 4,4. Va detto che le politiche di chiusura dei porti italiani ai migranti hanno ridotto radicalmente, nel corso di quest’anno, gli arrivi. Oggi, secondo l’Unhcr sarebbero 354.000 i richiedenti asilo in attesa di un responso e quelli che l’hanno ottenuto. Mentre tra gli stranieri non comunitari presenti in Italia 2 su 3 (2.390.000) sono in regola, titolari di un permesso permanente di soggiorno. Tra i dati più interessanti, i figli di genitori entrambe stranieri sono in diminuzione: dagli 82.000 del 2012 ai 68.000 del 2017.

 

Poi ci sono gli stranieri che non arrivano a bordo di un gommone. Sono i 13.000 studenti delle facoltà universitarie di Milano. La maggior parte – spiega Assolombarda – è iscritta a corsi di laurea di I e II livello e ciclo unico (90,5% degli studenti internazionali), mentre il restante (9,5%) è impegnato in corsi post laurea. Per quanto riguarda la provenienza geografica, il 42,6% arriva dall’Europa e il 38,4% dall’Asia ma in termini assoluti la nazionalità più rappresentata è quella cinese con 2.017 studenti, seguita dall’Iran (876 studenti), dall’India (752 studenti) e dalla Svizzera (751 studenti). Rispetto ai colleghi lombardi, inoltre, gli studenti internazionali scelgono più frequentemente corsi STEM (50,1% contro 40%) e, in misura ancora maggiore, corsi di arte e design (6,1% contro 1,4%). Un risultato probabilmente legato anche al prestigio del made in Italy e all’elevata reputazione internazionale di Milano nel settore del design e creativo. Dallo studio emerge, infine, come le università lombarde e in particolare quelle milanesi, se confrontate con il resto degli atenei italiani, si distinguano per il numero di corsi offerti in lingua inglese: rispettivamente il 24,2% e il 28,7% del totale contro il 16,3% italiani. La stessa tendenza si osserva riguardo ai cosiddetti corsi «double degree», rispettivamente il 24,7% del totale dei corsi negli atenei lombardi e il 29% in quelli milanesi, contro un 13,4% a livello nazionale. Milano, città ospitale, vuole bene a chi lavora.

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