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Le sfilate-iban. L'altra faccia (con sciure) della moda milanese

Fabiana Giacomotti

Oltre alla gente che la moda la crea, la osserva e la descrive esiste una moda che vive secondo regole sue proprie, perlopiù ignote alle riviste e ai fotografi dei social network

L’idea, molto diffusa, che la moda raccolga le emule di Chiara Ferragni e un manipolo di omosessuali calzati di ciabatte di pelo e avvolti in scialli di seta, è piuttosto errata e certamente parziale. Oltre alla gente che la moda la crea, la osserva e la descrive, e che a prescindere dagli orientamenti sessuali è vestita in prevalenza di nero e con un rigore sconosciuto fino a qualche tempo fa perfino in Parlamento (Luigi Di Maio e Giuseppe Conte sono vestiti benissimo, bisogna ammetterlo e, by the way, grazie infinite ministro per aver garantito la continuità del sostegno economico alla moda. Al netto dell’idea dell’“Amazon del made in Italy”, che già immaginiamo pieno di ceramiche campane, è davvero una bella notizia), esiste infatti una moda che vive secondo regole sue proprie, perlopiù ignote alle riviste e ai fotografi dei social network ai quali interessano appunto le chiareferragni. Ad eccezione di uno. Se volete capire l’altra faccia della moda milanese che oggi attende con ansia la sfilata di Prada e il colossale evento dell’Emporio Armani all’hangar di Linate, aprite l’account instagram “lepiùaffascinantidimilano” e scoprite i volti di chi guarda, vive e compra moda esattamente come dieci, venti, cinquanta o cento anni fa, fra champagne, camerieri in guanti bianchi, giardini, colazioni all’ombra di quattro portate e durata varabiale fra le due e le tre ore, perché nessuno aspetta da loro la consegna del pezzo, la relazione, il piano vendite. E bisogna pure tirare sera. Le nostre “ladies who lunch”.

 

Martedì se ne sono avute due folte presenze presenze all’hotel Carlton Baglioni, per la presentazione dei delphos modello Fortuny di Giuliana Cella, ma soprattutto da Raffaella Curiel, “la Lella” come da nick meneghino, rigorosamente preceduto dall’articolo determinativo. La moda milanese avrebbe aperto poche ore dopo le sfilate di presentazione delle collezioni primavera-estate 2019: lei ha presentato la haute couture per questo inverno, cioè per domani. Ventotto abiti sublimi (“adesso voglio proprio vedere chi ti vestirà quest’anno alla Prima della Scala”, ti squadrava alla fine, quando correvi a baciarla perché certi pizzi non si vedono dalla metà dell’Ottocento, e infatti i suoi erano autentici) e chisseneimporta se gli altri sono costretti a produrre in serie per l’anno prossimo: lei venderà tutti i suoi pezzi unici alle cinesi che ormai sono i suoi partner, alle americane che alternano i suoi agli abiti dell’omologa Carolina Herrera e anche alle milanesi che, commentava divertito uno dei manager più in vista dell’editoria, erano state invitate a questa “straordinaria sfilata-iban”. Mentre i giovani stilisti si affannano a cercare ogni stagione location inedite e possibilmente poco costose, “La Lella” ha organizzato passerella, ricevimento e colazione per cento comodamente chez soi, cioè dal nipote Piero Maranghi, nella Casa degli Atellani che appartenne a Leonardo da Vinci e che affaccia su un meraviglioso giardino, con vitigno originale recuperato e reso oggetto dell’ammirazione estatica di pochi e selezionatissimi turisti. Fra i saloni e il cortile resi successivamente fascinosi da Piero Portaluppi e Piero Castellini, entrambi a loro volta “famiglia”, c’era il tout Milan al femminile, che sono sempre pochi nomi, perché la città è piccola, e tutti debitamente registrati sull’account “delle affascinanti” che è geniale e trasversale definizione dello styler Mattia Boffi per accogliere anche chi ha esagerato con botox e ritocchi. Todos caballeros, todas fascinose. Dall’uniforme mix di abiti fascianti e tacchi a spillo, ché tanto non si deve correre, emergevano quelle davvero divertenti, come Fiorenza Locatelli ed Elsa Gardenghi, quelle come Marta Brivio Sforza da cui mai sentirai uscire di bocca una critica perché mai si metterebbero in urto con qualcuno in una città piccola come questa, quelle che attendono nuove luci e riflettori, come Laura Fossa, le d’Urso nate e acquisite, e poi le Andrée Ruth Shammah un po’ in disparte, a cercare di capire. Per le altre, flan di spinaci.

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