Tommaso Nannicini (foto LaPresse)

Milano, la città che dice no al decreto dignità, spiegata da Nannicini

Daniele Bonecchi

Il provvedimento del ministro Di Maio è stato accolto dal mondo dell’impresa lombarda con un secco “no”

Nella stagione della politica urlata, anche la grande metropoli ha bisogno di riflettere. Gli stereotipi, vecchi e nuovi, perdono significato e la locomotiva d’Italia, così come il “modello Milano”, non bastano più. Anche perché il Pantheon dei modelli milanesi è molto affollato, solo per ricordare alcuni “padri fondatori” basta pensare al sindaco Greppi, a Giovanni Pirelli e Alberto Falck, a Carlo Tognoli e Gabriele Albertini, senza dimenticare i mostri sacri della moda e del design. Se la sinistra vuole tornare protagonista deve pensare di più alle persone, ai loro bisogni e al futuro della città – avverte Massimo Ferlini, già presidente della Cdo, ora guida di Formaper (Camera commercio) – partendo da un sistema di welfare diffuso e improntato alla sussidiarietà. Per realizzare questo obiettivo va rafforzato il dialogo tra mondo dell’impresa, organizzazioni sindacali e istituzioni, al quale la politica non può rimanere estranea”.

 

Lunedì prossimo, al circolo Pallacorda del Pd, si confronteranno sul tema “Lavoro e welfare: il pane e le rose” Marco Bentivogli, segretario della Fim Cisl, e il senatore Tommaso Nannicini. Il decreto dignità del ministro Di Maio è stato accolto dalla Milano dell’impresa con un secco “no”. Dagli artigiani ai commercianti, ma soprattutto da Confindustria Lombardia e dagli imprenditori lombardi grandi e piccoli: bocciata la prima fatica del ministro del Lavoro. “Mi sembra più che altro un decreto inutile quello voluto dal ministro del Lavoro – spiega Nannicini, anticipando al Foglio qualche spunto del dialogo con Bentivogli – Non c’è né un disegno e nemmeno delle priorità, è molto lontano dai problemi del mondo del lavoro. Introduce alcune rigidità che possono scoraggiare alcune assunzioni ma non mi sembra ci sia una vera preoccupazione per le ricadute occupazionali. Sono sbagliati gli strumenti utilizzati”, taglia corto. E se la sinistra Pd (Orlando & Co), che si candida a non essere più minoranza, strizza l’occhio a Di Maio pensando al futuro, Nannicini ci prova: “Noi proveremo ad emendarlo, per rendere il tempo determinato più costoso ma solo per chi lo usa in maniera ripetuta e continuativa, introducendo magari una buonuscita per il lavoratore, per queste persone che devono affrontare il mercato”.

 

Il vero problema, spiega, “non è il tempo determinato ma il dumping salariale, le partite Iva, le cooperative spurie: sono queste le aree da aggredire. Non c’è la carota, c’è solo il bastone e mal indirizzato”. Sulle antiche polemiche che hanno diviso a lungo i governi targati Pd e le organizzazioni sindacali, il senatore toscano (ma radicato in Bocconi) spiega: “C’era stata una polemica sui rischi della concertazione, liturgia che aveva smesso di essere fattore propulsivo. A un certo punto si era inceppata, perché una politica debole finiva col dare ragione a chi sedeva a quel tavolo. Verso la fine della legislatura (governo Gentiloni, ndr) abbiamo provato a riaprire tavoli di dialogo sociale. La politica ci mette la faccia, indica le priorità, usa il dialogo per discutere con le parti sociali, e poi prende le decisioni. Nel rispetto dell’autonomia e della responsabilità di ciascuno. Dialogo sociale sì, liturgia della concertazione anche no”, sillaba Nannicini che non ha abbandonato le frasi ad effetto di renziana memoria. E sull’impegno di certi sindacalisti dice: “Con Bentivogli – senza tirarlo per la giacca – vedo un sindacato che si mette in gioco nel governo del cambiamento. Un momento di riflessione (quello di lunedì alla Pallacorda, ndr) con l’obiettivo di guardare avanti, il mercato del lavoro, l’economia che cambia. Serve una riflessione coi piedi per terra ma con lo sguardo rivolto in avanti”. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha parlato, anche di recente, del “modello Milano”, aprendo una discussione tra i dirigenti del Pd e lanciando un’opa sul gruppo dirigente prossimo venturo. “Non ha particolare senso parlare di modello Milano – insiste Nannicini – l’hanno chiarito anche esponenti del Pd locale. Esiste un partito che sta facendo bene e delle amministrazioni che stanno lavorando bene. Dal mio punto di vista il Pd milanese non è stato molto diverso dal resto del partito nazionale. Qui un certo messaggio ha trovato terreno più fertile. Vedo più una specificità di Milano e del suo tessuto produttivo che non della politica”. Per concludere il senatore Pd lancia un messaggio che sembra proiettato nella prossima stagione congressuale: “La politica va anche oltre le amministrazioni locali, se Milano vuol dare una mano a ricalibrare il messaggio del Pd deve guardare oltre i suoi confini”.

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