Arabella Caporello

Il duro lavoro di essere Lady city manager e il vero rimpasto di Giunta

Fabio Massa

Arabella Caporello se ne va e forse al suo posto arriverà Cristian Malangone detto “Malanga” 

In certi bar, compreso a Milano che pure è capitale delle donne che stanno in cima alla piramide del lavoro, campeggia un bel cartello: “E’ difficile essere donna”. Sotto, la spiegazione: “Devi pensare come un uomo, comportarti come una signora, sembrare una ragazzina. E lavorare come un mulo”. Strappa un sorriso, la saggezza popolare. Distillato di saggezza popolare condannabile in tempi di #MeToo, ma gli assiomi restano difficilmente contestabili. Chissà se nel suo ufficio ha mai avuto un cartello di questo tipo, l’ormai quasi ex direttore generale del Comune di Milano, Arabella Caporello. Una che ai vertici della piramide professionale è abituata a stare. Lei, l’animatrice del circolo dem della Pallacorda, renziana doc e signora che sa spargere l’understatement come un profumo, gestiva fondi per un paio di miliardi di euro e lavorava come un mulo. Figlia di una commercialista ascolana stimatissima, Gabriella Agostinelli, ha raccontato al Corriere Adriatico di vestire Sergio Rossi e non Prada perché rispetto alla Miranda del Diavolo, “io sono più sorridente e meno caustica”. Si è sempre ritenuta un tecnico prestato alla politica. E alla tecnica pura ora ritorna, e precisamente al cda di Italiaonline, l’ex Seat Pagine Gialle.

 

Se ne va, Arabella, senza polemica. Anche perché i direttori generali, a Palazzo Marino, non durano quasi mai un mandato pieno. Davide Corritore lasciò a Beppe Tomarchio (poi sponsor di Stefano Parisi). Lo stesso Beppe Sala rimase un anno e mezzo, e non di più. Più o meno tanto quanto “Ara”. Ora lei se ne va, e qualcosa cambia, nei corridoi stretti stretti di Palazzo Marino. Perché lei, Arabella, ha sempre avuto un legame strettissimo, operativo, professionale, con l’assessore forse più potente di tutta la giunta Sala: Roberto Tasca, l'uomo del Bilancio. Motociclista incallito, alto, argutissimo, nomen omen Tasca bada ai conti. E lei lavorava in squadra con lui, uomo vicinissimo al sindaco. Al punto che mentre Beppe Sala scalpitava perché il livello tecnico, oltre a quello politico, aveva di fatto accumulato un ritardo innegabile sulle periferie, sui progetti, sui finanziamenti, Roberto Tasca la difendeva, addebitando le colpe alla pur cervellotica filiera di produzione compulsiva di carta di Cantone & Anac. Ma i fatti sono fatti, e hanno una loro durezza innegabile: sulla riapertura dei Navigli siamo al palo, sulle periferie quanti discorsi, e intanto il pavé si solleva e le buche sono mestamente ricomparse in città. Ema è un lutto infinito e ancora purtroppo non digerito. Expo un fasto lontano che ancora getta qualche bagliore (i conti, in attivo). Quindi, “Ara” va, e probabilmente arriverà Cristian Malangone detto “Malanga”.

 

Già vice di Sala ai tempi del city management (ma non si parlavano), poi direttore generale di Expo (e si adoravano). Poi a Digicamere dal fido Sangalli, e sotto processo (e assolto) per Sala con lealtà inaudita per i tempi moderni. Ma soprattutto, bravissimo. “Malanga” è un fulmine, lo esaltano. Di certo è uomo che parla con il sindaco, lo ritiene quasi un padre. Un punto di riferimento, da ascoltare ricambiato. Per lui Pierfrancesco Majorino, che oggi in Comune gode di grande credito, ebbe parole di durezza inaudita. Sarà contento del suo arrivo? Chissà. Per ora è stato aperto il bando. Rimane Hemingway, per tornare all’inizio: essere uomo è un mestiere difficile, soltanto pochi ce la fanno. Vedremo: per Milano questo e altro.

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