Le riprese del film The International davanti alla stazione Centrale di Milano. Foto LaPresse

Hollywood sul Naviglio. Luoghi e numeri del boom del cinema

Gianluca Ferraris

Spot e film sono l’ultimo tassello rivelatore della rinnovata immagine di Milano, che negli ultimi cinque anni ha visto raddoppiare le autorizzazioni di ripresa in città

Lunedì scorso, di buon mattino, l’eclettico cuoco stellato Bruno Barbieri percorreva i corridoi dell’aeroporto di Malpensa adagiato su una pila di trolley per il lancio della nuova edizione di Masterchef. Nello stesso momento, incuranti del gelo, i protagonisti della pubblicità di un noto integratore al magnesio pedalavano in maniche corte lungo la passerella che sovrasta piazza Valle, al Portello, mentre a poca distanza da lì gli addetti parcheggiavano con cautela un Suv all’ombra dei grattacieli di Citylife, dove s’attendeva un regista molto in voga pronto a trasferire quell’immagine su pellicola. Intorno, furgoni carichi di materiale, casse d’acciaio, cameramen pazienti, qualche blanda transenna e un pugno di comparse felici di riscuotere diarie che vanno dai 50 ai 200 euro.

  

Per una raffica di istantanee così nell’arco di poche ore toccherebbe tornare indietro agli anni Ottanta, con tutto quel che ne consegue. In realtà spot e campagne di ogni tipo sono solo l’ultimo tassello rivelatore della rinnovata immagine di Milano, che negli ultimi cinque anni ha visto raddoppiare le autorizzazioni di ripresa in città. Solo nei primi sette mesi del 2017 (ultimo dato disponibile) sono state 376 le domande per trasformare in set qualche angolo del capoluogo: il 10% delle richieste è arrivato dall’estero, con Giappone e Gran Bretagna a guidare una miscellanea di 24 paesi diversi. Inclusa la Cina, dove a luglio andrà in onda un episodio di “So young”, serie molto moccesca con picchi d’audience da far tremare Montalbano, tutto girato fra il Duomo, via Sarpi e un paio di inquadrature foreste – i teen idols Yang Le e Zhang Danfeng frequentano una inesistente Milan University che in realtà è l’ateneo di Pavia con gli interni di una villa di Lecco, ma in Bocconi se ne faranno una ragione. Quel che si può ricostruire altrove si ricostruisce altrove, e le location più ambite dai creativi restano quelle classiche, dalla Scala (il top, con 129 richieste) alla Galleria passando per l’Arco della Pace e il Quadrilatero, ma sono in risalita anche Brera e diverse nicchie esterne all’area C, oltre a tutto ciò che ha a che fare con il nuovo skyline.

  

Commedie come “Sei mai stata sulla luna?” di Paolo Genovesi, dove il Samsung District diventa l’ambiente perfetto per muovere una squadra di workaholic pronta a cambiare vita. Fiction d’ispirazione bollywoodiana che allungano fino a qui il già consolidato asse Venezia-Lago di Garda. Film storici come “Caravaggio - L’anima e il sangue”, prodotto da Sky e Magnitudo, finito di girare lo scorso ottobre proprio mentre la città ospitava la più grande mostra dedicata al pittore: indotto intelligente, che vede Palazzo Reale comparire nei titoli di coda. Documentari di ogni tipo, il dato più in crescita con 29 produzioni censite lo scorso anno. Cortometraggi e web series che spesso sono la palestra per giovani registi e sceneggiatori formati a Milano e collegano universi anche molto distanti fra loro, dallo Ied alla factory di Zelig.

  

Tutto si tiene grazie al combinato disposto di tre fattori. Prima il restyling, che ha dato alla città un colpo d’occhio più internazionale. Poi la scelta della giunta Pisapia di semplificare le procedure burocratiche introducendo dal 2011 uno sportello unico e abolendo il pagamento dei diritti di sfruttamento dell’immagine della città per lungometraggi e documentari che promuovono Milano. Infine l’ennesima sfaccettatura dell’effetto Expo, che nel 2015 ha portato centinaia di troupe straniere in città e le ha sostenute con l’iniziativa Viaggiate leggeri, lanciata in sinergia con Lombardia Film Commission, l’ente di regia partecipato da Regione, Comune, Unioncamere e Fondazione Cariplo: prenotando telecamere e materiali online da noleggiare in città, oltre all’assistenza tecnica, era possibile risparmiare tempo e denaro. Da quell’esperienza è nato, a inizio 2016, il Cineporto di via Pergolesi, un hub attrezzato per le produzioni audiovisive ma anche l’assistenza burocratica e lo scambio di competenze. Così, se oggi un giorno di girato costa fino a 100.000 euro per Londra e New York e oltre 50.000 a Berlino, all’ombra della Madonnina raramente si sforano i 15.000.

   

Potrebbero sembrare soldi persi dal sistema cittadino, ma i numeri dimostrano che buona parte di ciò che le troupe risparmiano resta in città sotto forma di indotto diretto e indiretto. Il primo può contare su 2.219 imprese che hanno base nella regione, crescono al ritmo del 2% annuo e rappresentano il 12% delle aziende iscritte al comparto ma ben il 26% del giro d’affari, in un testa a testa con Roma che nonostante un paio di stagioni d’oro – Spectre, Zoolander 2, Young Pope, Suburra, parecchio indie italiano – ha visto ridursi il suo vantaggio. Il secondo sono bar, alberghi, ristoranti e shopping: in Lombardia significa 10,5 milioni nel 2015, 11,3 nel 2016 e un 2017 che dovrebbe essersi chiuso oltre quota 12 milioni, più di un terzo dei quali appannaggio del capoluogo. Senza contare, come ha ricordato pochi mesi fa il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che un film italiano di qualità o un film straniero girato in Italia vale molto più in termini di promozione turistica del paese di una campagna spot pubblicitaria a pagamento.

   

Lo sanno bene anche a Moscazzano, frazione di Crema, dove Luca Guadagnino ha girato Call me by your name, candidato a quattro Oscar. Le riprese sono costate poco o nulla, così come le trasferte, tutte limitrofe. Ma la villa cinquecentesca che ospita quasi tutti gli interni del film, parzialmente ristrutturata e arredata da Violante Visconti, pronipote di Luchino, dopo anni di oblìo adesso è in vendita a 1,7 milioni di euro.

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