Milano, città risparmiosa

Gianluca Ferraris

E’ qui la leadership nel risparmio gestito, quasi un terzo dei portafogli. L’hub di Amundi, la Consob (forse)

Buon ultimo è arrivato Giuseppe Sala, che nel suo libro “Milano e il secolo delle città” ha elogiato la propensione meneghina al risparmio e all’investimento come uno dei fattori distintivi e insieme acceleratori dello sviluppo. Visto che si finisce sempre lì, ai dané, mettiamo in fila un po’ di fatti e cifre buoni non solo a confermare gli adagi su operosità, oculatezza e lungimiranza dei milanesi ma anche a ribadire la centralità finanziaria della piazza su scala nazionale e non.

 

Primo: nel 2017, anno record per raccolta e rendimenti, Milano ha incrementato la sua leadership nel risparmio gestito. Sotto la Madonnina, come rivela l’ultimo rapporto di Assogestioni, operano 41 delle 46 Sgr autorizzate da Bankitalia, per un totale amministrato di 1.100 miliardi di euro, ossia tre quarti abbondanti dell’intero patrimonio investito da famiglie e investitori istituzionali italiani (poco meno di 1.400 miliardi a fine 2017). Il legame sempre più stretto fra gli uffici di banche e fiduciarie milanesi e i nostri risparmi non è certo cosa nuova: correva l’anno 1965 quando, con quasi vent’anni di anticipo sulla legge che avrebbe dato il via all’istituzione dei fondi comuni, in città l’Ambrosiano, la Rasini e la Comit facevano già circolare telex carbonari in cui offrivano alla clientela più facoltosa “le migliori possibilità d’investimento in prodotti gestionali di Svizzera, Germania e Lussemburgo. Un ottimo antidoto alla svalutazione!”.

 

Altri tempi. Oggi la propensione a investire, rintuzzata dai rendimenti degli ultimi diciotto mesi, è più trasversale che mai e in Lombardia, anche questo lo dicono i numeri, è più accentuata che altrove: la regione conta il 16,5% degli abitanti d’Italia e genera il 22% del Pil, ma a livello gestionale detiene quasi un terzo dei portafogli. Lo sguardo privilegiato degli operatori sul panorama locale è dunque assicurato, soprattutto se si considera che attorno al capoluogo e alle sue aziende ruotano anche molti degli asset collegati ai Pir (i piani di risparmio focalizzati sulle pmi, esentasse per chi resta posizionato almeno cinque anni) e degli investimenti in fintech, che a detta di tutti gli operatori saranno le stelle polari del 2018.

 

Non è un caso se Amundi, la società di asset management di Crédit Agricole che a luglio 2017 ha acquisito da Unicredit le attività di Pioneer Investments, farà Milano il suo sesto hub di gestione fondi, dopo Parigi, Londra, Tokyo, Boston e Dublino. “Per maggio è pronto il trasloco in via Cernaia, dove passeremo dagli attuali 400 dipendenti a 600”, ha dichiarato qualche giorno fa il ceo di Amundi Yves Perrier.

 

E a confermare che il futuro manterrà la piazza milanese molto attraente per i risparmiatori privati ci sono altri due trend: il primo riguarda la scelta degli investimenti, a queste latitudini più complessa, maggiormente propensa al rischio e con un peso della componente azionaria più alto (siamo passati in sette anni dal 27% al 33% medio dei portafogli). Caratteristiche che spiegano in buona parte anche la contemporanea stagnazione del mercato immobiliare. “Qui non ci sono Paperoni che accumulano ricchezza per starci seduti sopra, ma rimettono capitali in circolo contribuendo all'innovazione” ha sintetizzato poche settimane fa Antonella Massari, ex Unicredit e da meno di un anno segretario generale della milanesissima Associazione italiana private banking. Anche in questo caso i fatti confortano le teorie: gli ultimi dodici mesi sono stati da record sia per quanto riguarda i debutti in piazza Affari sia sul lancio delle nuove startup.

 

Ovviamente, a Milano più che altrove, il project financing a regia pubblica e capitale misto resta un’alternativa di investimento validissima, soprattutto per gli investitori istituzionali e per i fondi con ritorni attesi nel medio-lungo periodo, come si augura lo stesso Sala. L’agenda in questo caso è ricca e variegata, comprendendo singoli progetti e realtà partecipate da rilanciare: dal post Expo (che vede già in campo grandi nomi come Landlease, Intesa e gruppo San Donato) all’edilizia convenzionata, dagli scali ferroviari ai grandi snodi infrastrutturali.

 

Tutte priorità che potranno essere rimodulate e rimescolate dopo il voto del 4 marzo. Così come dopo il 4 marzo si rifarà avanti il convitato di pietra di questa situazione: Consob. Sala non ha rinunciato all’idea di far traslocare la vigilanza borsistica sotto la Madonnina: i numeri, come abbiamo visto, sono dalla sua parte e anche le sponde politiche non dovrebbero mancare, quale che sia l’esito delle regionali. Un milanese doc come Mario Nava alla guida dell’authority e la necessità di un profilo più market-oriented che istituzionale potrebbero fare il resto.

Di più su questi argomenti: