Foto Goethe-Institut Mailand dal sito del Goethe-Institut

Affinità culturali

Andrea Affaticati

Quanto si trovano bene i tedeschi in città. 60 anni di Goethe-Institut

“La prima volta che sono venuto in Italia ho usato anch’io il ‘Viaggio in Italia’ di Goethe come guida. Con una piccola variazione però. L’ho fatto a ritroso, partendo da Palermo”, raccontava Klaus-Dieter Lehmann, presidente di tutti i Goethe-Institute sparsi nel mondo (sono più di 160) mercoledì nella Sala del Grechetto di Palazzo Sormani. Lehmann è venuto appositamente da Monaco per aprire l’anno della celebrazione per il sessantesimo compleanno del Goethe-Institut a Milano. Di questi istituti in Italia ce ne se sono sette, “Milano si è però sempre distinta per curiosità e vero interesse nei confronti della cultura tedesca. Curiosità dovuta sicuramente al fatto che è capitale dell’editoria e dei media”. Come si legge in un trafiletto del Corriere della sera del 29 novembre 1958, recuperato nell’immenso archivio del G.I., il giorno prima aveva aperto la “Biblioteca Germanica”, allora situata in alcuni locali della Scuola Germania di Milano in via Legnano. Il nome Goethe-Institut l’avrebbe assunto solo quattro anni dopo, con il trasloco in via dei Bossi.

   

Noto come la scuola per antonomasia, per chi intende imparare il tedesco, il Goethe è stato però molto di più per la città. Ha portato nel corso degli anni l’avanguardia culturale tedesca in senso lato a Milano. Da Hans Magnus Enzensberger a Günter Grass, da Peter Stein a Bruno Ganz, dal nuovo cinema tedesco alla prima rassegna completa di cinema yiddish, alle coreografie e alla danza di Pina Bausch. E ancora la Neue Musik di Karl Heinz Stockhausen e Hans Werner Henze. Un percorso culturale reso possibile sin dall’inizio da una ottima collaborazione con le istituzioni cittadini. Tra le più intese vanno citate quelle, tutt’ora esistenti con il Piccolo, la Scuola di teatro Paolo Grassi o, a suo tempo, quella con il cinema De Amicis che era diventato un luogo culto per il cinema tedesco più d’avanguardia.

  

Collaborazione resta tutt’oggi in elemento distintivo, come sottolinea Katrin-Oswald Richter, che da un anno dirige il Goethe di Milano. “Ho lavorato in molte parti del mondo, e devo dire di essere stata oltremodo sorpresa dell’affiatamento, della disponibilità delle istituzioni milanesi”.

   

Era il cancelliere socialdemocratico Willy Brandt che definiva i Goethe Institute il “terzo pilastro della politica estera tedesca” (i G.I. dipendono infatti dal ministero degli Esteri), che voleva essere una variazione di quando affermava Goethe, secondo il quale “chi comprende la lingua tedesca e la studia si trova nel mercato degli idiomi, dove ogni nazione offre il proprio”. Il mercato come lo intendeva Goethe era quello in cui si condividono esperienze culturali. Joschka Fischer dal canto suo, quando ancora era ministro degli Esteri, definì i G.I. come squadre di pompieri culturali da far intervenire ogni volta che nel mondo divampava un incendio. Ed è questo l’auspicio espresso anche da Lehmann per questo anno di celebrazioni e gli anni a venire. In un momento di crescente de politicizzazione “risulta ancora più importante rafforzare e allargare la collaborazione e gli intrecci culturali tra i nostri paesi”.

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