Valerio Battista (foto LaPresse)

In cima al Prismyan

Redazione

Valerio Battista, il Ceo che ha trasformato i cavi Pirelli in una public company da applausi

Il business non è certo di quelli sexy, da copertina. Posare e gestire cavi e relativi sistemi per i settori dell’energia e delle tlc, magari facendoli passare sul fondale dell’oceano, è certamente un mestiere interessante, ad alto contenuto tecnologico ma non di quelli che rendono famosi, che ti fanno finire davanti alle telecamere. A meno che non si facciano operazioni industriali dalla portata fortemente strategica e simbolica anche per il paese d’origine, l’Italia. Per questo periodicamente il nome di Prysmian – nonostante il nome è italianissima, anzi sta a Milano: ha sede in Bicocca – e quello del suo amministratore delegato, Valerio Battista, conquistano le prime pagine dei giornali. Ci erano riusciti nel 2011 spendendo 900 milioni per comprare l’olandese Draka, battendo i cinesi di Xinmao e i francesi di Nexans. E ci sono riusciti ancora una volta, e ancora con maggiore enfasi, visto che hanno messo sul piatto 3 miliardi di dollari per conquistare l’americana General Cable, consolidare la leadership mondiale nel settore, costruire un agglomerato da 11 miliardi di fatturato e magari conquistare la fiducia del presidente Donald Trump.

 

Ma chi c’è dietro questa scalata, costante nel tempo, di quella che è la prima, unica e vera public company di Piazza Affari? C’è un ingegnere meccanico aretino classe 1956 che non ama i riflettori e che gira il mondo per conquistare clienti e contratti. E che ha dato vita a un progetto mai riuscito prima in Italia: mantenere la tolda di comando di un’azienda nata nel 1879 come Pirelli Cavi e Sistemi che collegò, nell’anno 1925, l’Italia al Sud America posando oltre cinquemila chilometri di cavi telegrafici sottomarini.

 

Le storie di Prysmian e di Battista, entrato in Pirelli nel 1987, procedono di pari passo da quando Marco Tronchetti Provera gli affidò nel 2002 la ristrutturazione della divisione Cavi & Sistemi, schiacciata da un fardello di 600 milioni. Lui in due anni ha completato il turnaround con una drastica cura dimagrante (i manager calarono da 240 a 122, gli operai da 10.500 a 6.500, chiuse poi lo stabilimento di Ascoli Piceno lasciando a casa 120 dipendenti), poi ha traghettato la branch al di fuori del perimetro del gruppo pneumatici – Tronchetti lo vendette a Goldman Sachs nel 2005 –, l’ha quotata in Borsa nel 2007 e di fatto ne ha preso il controllo e il comando. Soprattutto quando nel 2010 il fondo della banca Usa uscì dal capitale. Da quel momento, Battista ne è diventato il padre-padrone. Un principe illuminato che ha capito l’importanza della condivisione (manager e maestranze sono azionisti) che ha blindato l’azienda rendendola inscalabile nonostante non ci sia un solo socio di riferimento: se lui, messo sotto scacco da un pretendente, dovesse uscire di scena il giocattolo Prysmian potrebbe sciogliersi come neve al sole, o come un cavo sott’acqua. Perché tutto ruota attorno all’ingegnere toscano che da bravo uomo di mare e velista provetto i nodi li sa fare così stretti che nessuno riuscirebbe a slegarli.

 

Ma se in azienda e sul mercato, investitori compresi, gli riconoscono poteri, oneri e onori, la massa non lo conosce. E’ uno dei manager, per sua scelta, meno noti. Anche se nella primavera del 2014 finì sotto i riflettori per lo stipendio record di 6,17 milioni (l’emolumento medio poi è sceso a poco più di 1,3 milioni annui) che lo collocò tra su uno dei gradini più alti tra i manager di Piazza Affari.

 

Ma cosa fa questo manager-imprenditore che per annunciare il deal General Cable non ha di fatto dormito per tre notti volando tra l’Italia e l’America? Quando non è sulla tolda di comando di Prysmian (azienda presente in 50 paesi e con 21 mila dipendenti), si gode la famiglia e il mare, tornando spesso a casa, ad Arezzo, senza voli privati o treni in business class: chi lo conosce sa che preferisce rilassarsi guidando l’auto senza autisti. E magari andando poi a regatare. Perché come tanti toscani il richiamo del mare è troppo forte. Ma c’è, nella vita di questo ingegnere, anche un’altra passione antica: la produzione di olio d’oliva. E per mantenere saldo il legame con Arezzo e la famiglia condivide coi fratelli Alessandro e Angiolo l’investimento in una autofficina, la Autoricambi Parigi.

 

Ma siccome la regola del business is business vale anche per Battista ecco che dopo aver preso contatto, nel 2010, con il banchiere Gianni Tamburi promotore del veicolo Clubtre (con lui ci sono gli Angelini della farmaceutica e l’armatore Cesare D’Amico) che a lungo ha detenuto in portafoglio il 6% di Prysmian – oggi la quota è scesa al 4% – rappresentando di fatto il primo azionista della public company, l’alleanza si è consolidata in ambito finanziario. Perché il manager con la sua holding Vb Invest ha investito milioni in diverse avventure e diversificazioni ideate e realizzate da Tamburi. La finanziaria dell’ingegnere aretino ha seguito il banchiere in Eataly, comprando il 3,75% del veicolo Clubitaly, in Beta Utensili (business affine a quello della carrozzeria di famiglia), nel progetto Tip Pre Ipo ha partecipazioni in iGuzzini e nella biotech quotata a New York AAA, recentemente comprata per 4 miliardi di dollari dal colosso del pharma Novartis, e anche in Asset Italia, altro veicolo creato da Tamburi che ha investito finora 120 milioni in Alpitour il numero 1 del turismo nazionale. Insomma, Battista uomo meticoloso e puntiglioso pare non sbagliare un colpo. Almeno fino al prossimo, dato che ha già annunciato urbi et orbi che Prysmian per continuare a crescere deve comprare ancora.

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