La Prima della Scala, e altra musica, vista da casa Micheli

Paola Bulbarelli

Così il teatro milanese dovrebbe ritornare a pensare più in grande per recuperare il livello che l’ha resa unico al mondo

Parlare con Francesco Micheli, nella palazzina liberty che è il suo quartier generale lavorativo, ma dove c’è posto anche per la sua passione, la musica. Un grande spazio sotterraneo, con vista sul giardino: la “Sala dell’Ermellino”, da centoventi posti, realizzata dall’architetto Elena Borghi e inaugurata nell’ottobre scorso. Siamo nella cosiddetta zona degli Orti di Leonardo: “Mentre Leonardo a cinquanta metri da qui teneva bottega e dipingeva il Cenacolo, in Duomo c’era il grande compositore fiammingo Josquin Desprez che forgiava i migliori cantori della cattedrale”. L’occhio della Soprintendenza seguiva e controllava. La sala è tappezzata di libri, straordinari elementi di diffusione e assorbimento delle frequenze. Sistemati in un disordine divino dal fisico acustico Andrea Farnetani, i libri creano un’acustica eccellente, ottima anche per incidere. La musica nel sangue: un padre musicista, compositore, insegnante al Conservatorio di Milano per oltre 40 anni. “Mia madre era una sua allieva e la sposò”. “Mediamente cambio mestiere ogni sette anni come a volte succede agli ensemble musicali, dopo sei sette anni sempre insieme si vengono a noia”. Ma con la musica la noia non è mai arrivata. Micheli ha creato MITO, ne ha seguite ben nove edizioni, “merito della Moratti e di Sgarbi che hanno immediatamente accettato il progetto che avevo proposto in passato a diversi sindaci che mai avevano capito che Milano per essere Milano doveva anche avere un grande festival internazionale”. Fu un successo straordinario “ma dopo un po’ di anni mi sono reso conto che le cose assumevano direzioni che non mi piacevano più, allora ho preferito non trovarmi nella condizione del mugugno Meglio un salto a lato augurando cristianamente ogni bene a chi subentra”. La città è parecchio cambiata e, senza dubbio, vari sindaci ci hanno messo il loro. “Parte di quello che sta godendo oggi Milano è grazie ad Albertini e alla Moratti, su questo non c’è ombra di dubbio. Pisapia ha trovato le cose ben avviate da allora, Sala in questo momento sta affrontando anche parecchie incompiute, che ci sono, e lo fa in modo manageriale sano, con mano decisa e forte”.

  

  

Palazzo Marino affaccia sulla piazza della Scala: da una parte oggi ci sono le Gallerie d’Italia, dall’altra il teatro più bello del mondo. “La Scala fa parte delle cose che cambiano. Il peccato è quando le cose cambiano identità, ed è il motivo dei vuoti in sala, di abbonamenti che calano. La biglietteria aumenta perché aumentano gli spettacoli, ma diminuiscono percentualmente le presenze. Si dice che la Scala deve diventare uno dei cinque teatri più importanti del mondo dimenticando che è già stato il primo teatro al mondo anche grazie a grandi scelte artistiche da teatro di stagione qual è e non di repertorio; e grazie alla grandissima tradizione di finissimo artigianato, con la capacità di realizzare spettacoli meravigliosi perché nessuno ha gli scenografi, i falegnami, i tecnici di palcoscenico e l’alta dirigenza italiana che ha la Scala. Andare a visitare i laboratori all’Ansaldo è un’esperienza strepitosa. Ho fatto da giovane la comparsa alla Scala e non c’è come essere dentro per capire”. Però il livello e la superiorità della Scala, dice, “si devono vedere anche dalla programmazione. La prima della Scala ha sempre offerto spettacoli grandiosi, molto impegnativi, capolavori assoluti. Lissner, che criticavo in quanto lo consideravo un signore straniero che non ha mai amato il repertorio italiano, però ha fatto un grande Wagner con Lohengrin, un indimenticabile Mozart con Don Giovanni, e il Beethoven del Fidelio. Ora invece abbiamo avuto tre anni di aperture molto ben eseguite ma non all’altezza delle grandi prime della Scala. Il Verdi giovane della Giovanna d’Arco, la Butterfly dell’anno scorso, bellissima ma più adatta a far parte della stagione così come l’Andrea Chénier di quest’anno.

 

Ormai alla Prima manca l’emozione, quella grande partecipazione colta tipica del ’900 scaligero, un sintomo molto preoccupante di decadenza artistica. Insomma nella visione di Micheli il teatro dovrebbe ritornare a pensare più in grande per recuperare il livello che l’ha resa unica al mondo e non inseguire grandi numeri di spettacoli, meno preparati malgrado le grandi qualità dell’Orchestra Filarmonica. Come fa un altro gioiello musicale che Micheli ama molto, cento volte più piccolo, l’Accademia Pianistica Internazionale di Imola di cui è Presidente. “E’ la più importante Scuola di Alto Perfezionamento al mondo. Una delle eccellenze d’Italia che non si conoscono, ma è conosciutissima all’estero. Ha cento studenti stabili di pianoforte e d’estate arrivano duecento ragazzini selezionati direttamente tra i migliori talenti di quaranta paesi diversi per un concorso d’accesso all’Accademia. Dalla prossima fine gennaio presenteremo anche a Milano pianisti di 14,15 anni che suonano allo stesso livello che quelli della mia generazione raggiungevano non prima dei 25, 26 anni. Sarà molto interessante ascoltarli. Suoneranno nella nostra sala, alla Fondazione del Corriere, al Conservatorio, alla Verdi e vorrei concludere al Gerolamo, un teatro da favola che era rimasto nei miei ricordi di bambino”.

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