Giovanni Bazoli (foto LaPresse)

Il nuovo che non avanza a Milano

Redazione

Il risiko (assai stabile) dei Grandi Vecchi: oltre ai Bazoli e ai Guzzetti ci sono i nuovi arrivi

Dici, il nuovo che avanza. Nella città all’avanguardia che cerca di strappare a Londra banche, banchieri, potere e istituzioni. Ok, perfetto. Ma dov’è? Dove opera? Dove si nasconde visto che Milano, nonostante gli osanna, vive sempre di ricordi, di nomi che si rincorrono da decenni. E loro, sempre lì. Inamovibili. Inattaccabili. Basta fare un rapido check. Un volo a planare tra le vie del Quadrilatero della moda e piazzetta Cuccia, dal Duomo a Monte di pietà.

 

Partiamo dalla finanza, da più di mezzo secolo terra di conquista, felpata, dei due grandi vecchi per antonomasia: Giovanni Bazoli, bresciano, classe 1932, potentissimo signore di Intesa Sanpaolo, “La” banca italiana di sistema, nonché supervisore e mentore di Ubi Banca, quarto polo nazionale del settore. Con lui, a braccetto, va da sempre Giuseppe Guzzetti, comasco di Turate, di due anni più giovane del professore bresciano, e a capo da sempre della Fondazione Cariplo, l’ente più importante del paese e del mercato nazionale nonché nume tutelare dell’Acri, l’associazione di categoria. Entrambi cattolici seppure di sfumature differenti, hanno fatto del lavoro e dei conti correnti, oltre che del potere, la loro ragione di vita. Non c’è nulla, a tutt’oggi che si muova in città e a Roma che loro non lo sappiano. Anzi, che non abbiano in qualche modo deciso, indirizzato. Come la legge di riforma del sistema delle banche popolari o il via libera al fondo Atlante servito per salvare banche in dissesto come la Popolare Vicenza e Veneto Banca, i cui asset sani, guarda caso, sono finiti a Intesa Sanpaolo. Anche se Guzzetti, dal canto suo, negli ultimi tempi si prodiga soltanto per il welfare intelligente con la Fondazione Cariplo. Da anni si cerca l’identikit del successore di questi due top player (Guzzetti lascerà anche Fondazione Cariplo, tra non molto tempo). Ma nessuno li ha mai sostituiti. Anzi, un altro banchiere che “da buon cristiano cattolico”, come ama definirsi lui, aveva provato a fungere da delfino, Fabrizio Palenzona, non è riuscito. Per anni, il politico democristiano, già sindaco di Tortona e presidente della provincia di Alessandria, ha dominato ai vertici dell’altro grande istituto di credito nazionale, Unicredit, salvo poi essere fatto fuori dal cda dal nuovo capo azienda, Jean-Pierre Mustier, e ora è lontano dalle stanze del potere e chissà se mai ci tornerà. Sempre in fatto di longevità bancaria, che dire del ricambio, in nome dello svecchiamento epocale, alla presidenza della banca col grattacielo più alto d’Italia? Al posto dell’82enne Giuseppe Vita è arrivato da poco il 75enne ex ministro ed ex direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni. Mustier, che ha voluto fortemente il nuovo presidente, innamorato della sua alce di pelouche, Elkette, pensa solo ai conti dell’istituto e a un futuro in chiave europea, magari a Parigi o, chissà, Francoforte. Neppure il suo omologo di Intesa, ovvero Carlo Messina, adora la ribalta e i giochi di potere. Preferisce far di conto e presentare al mercato bilanci in crescita. La politica, gli intrecci, e in fin dei conti neppure la “vision” milanese, la passione dei Grandi Vecchi, lo attraggono poco.

 

Chi potrebbe o vorrebbe o avrebbe potuto giocarsela fino in fondo è Alberto Nagel, dal 1991 in Mediobanca e da 13 anni a capo di Piazzetta Cuccia. Ma pure lui, concentrato sui numeri della merchant, ha già comprato casa nella City. Come a dire: cara Milano, non fai, politicamente, per me. E che dire del redivivo Paolo Scaroni, vicentino, classe 1946, già a capo dei colossi di stato Enel ed Eni che a Milano ha trovato l’elisir di lunga vita (finanziaria) diventando dapprima vicepresidente della banca d’affari Rothschild e poi sedendo nel cda del nuovo mondo di Milano targato cinese come uomo di fiducia del fondo Elliott? E se si guarda al mondo della finanza tout-court, sempre a lui si torna e si fa riferimento: Francesco Micheli, 80 anni ben portati, amante del mare e della musica che non manca mai di far sentire il suo peso. Facendo un passo laterale e guardando ai cavilli legali e fiscali in città regna ancora e sempre Piergaeatano Marchetti, classe 1939. Mentre, il più anziano di due anni, 1937, Giudo Roberto Vitale continua a masticare affari e relazioni.

 

E se si passasse alla moda, la rigogliosa attività che mezzo mondo ci invidia? A Milano ovunque ti giri, con chiunque parli non puoi non tirare in ballo Giorgio Armani, piacentino, classe 1934. L’icona delle passerelle alla quale la città ha chiesto, anni fa, di farsi carico di quella zavorra sportiva ed emozionale che risponde al nome di Armani Basket, croce (in Europa) e delizia (in Italia) del popolo baskettaro.

 

In questa generale canizie di potenti king che non mollano, forse un tocco di relativa gioventù arriva dal nuovo proprietario del Corriere della Sera e di Rcs Mediagroup. Urbano Cairo, piemontese, classe 1957, ormai è ovunque, lo chiamano ovunque, lo cercano dappertutto e lo accostano a tutti i progetti: anche al Sole 24 Ore. Lui che milanese non è prova a conquistare la città con il Premio Cairo, ma fa ancora fatica a imporsi. A meno che non scenda in campo: che dopo l’editoria, la tv e il calcio ormai non gli manca più null’altro per assomigliare al suo primo datore di lavoro, Silvio Berlusconi.

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