Milano, controlli di sicurezza in piazza Duomo (foto LaPresse)

Shopping e new jersey

Daniele Bonecchi

Le difese anti terrore, la città che vive di moda, commercio e turisti. Aree pedonali e polemiche

Milano non è una città sotto assedio, e soprattutto non vuole esserlo, seppure con la nuova invasione di barriere di cemento e moltiplicazione delle camionette cui le autorità stanno provvedendo alacremente. Milano vuole continuare ad essere ciò che è. Eppure: la capitale mondiale del design, della moda (il primo settore a tornare in scena dopo la pausa estiva) e dello shopping può permettersi di vivere dietro cento barriere di cemento armato? Dopo Nizza, Parigi e Berlino, l’assalto del terrore jihadista sulla Rambla di Barcellona ha lasciato il segno. La preoccupazione, palpabile, non è per questo scorcio d’estate ma investe direttamente il core business della città: la moda. A settembre (dal 20 al 25), come ogni anno, la città si trasforma in un grande spot per ospitare stilisti e buyer da tutto il mondo: traffico caotico da corso Como a Brera, grandi eventi ad ogni angolo del centro e nelle fabbriche dismesse di via Savona. Per amplificare l’effetto spot comune e regione – istituzioni divise dalla politica ma unite dall’orientamento al business cittadino – hanno aderito alla sollecitazione della Camera della moda e hanno organizzato una serie di eventi, il primo dei quali (26 settembre) alla Fabbrica del vapore, per favorire la collaborazione tra le imprese, le scuole di moda e le professioni creative del territorio nel settore del tessile abbigliamento e accessori.

 

All’inizio, dopo Nizza e Berlino sono arrivate le prime barriere di cemento anti sfondamento, in piazza Duomo, ma a debita distanza dai negozi. Ora dopo l’attacco sulle Ramblas il new jersey sta invadendo le zone dello shopping e della movida. Non solo in Galleria, ma sulla Darsena, in corso Como, alle colonne di San Lorenzo, all’Arco della Pace e si sta pensando anche al quadrilatero della moda, a corso Buenos Aires e corso Vercelli. Ed è già guerra con i commercianti. 

 

 

Andrea Painini, presidente di Confesercenti lancia una proposta – tra sicurezza e arredo urbano – per allargare le aree pedonali, spiega che “la sicurezza può diventare una occasione per rendere più fruibili intere zone della città, lungo i percorsi dello shopping e della movida, per restituire spazio vitale ai milanesi ma anche alla cultura. Un modo per trasformare un’emergenza in una opportunità, offrendo anche a chi è in città per lavoro o per turismo nuove occasioni per conoscere la storia e le tradizioni di Milano. Penso a via Vigevano ma non solo, perché l’area dei due Navigli deve essere oggetto di una riqualificazione complessiva. Ma anche corso Buenos Aires, con gradualità, può imboccare la via della pedonalizzazione, almeno parziale”. “Totale contrarietà a ipotesi di pedonalizzazione del corso”, risponde però Gabriel Meghnagi, presidente dell’influente Ascobaires. E Confcommercio si schiera contro col vicepresidente Mario Peserico, che insiste: “Per quanto riguarda vie più ampie dello shopping come, ad esempio, corso Buenos Aires la soluzione di barriere deve, invece, essere meno invasiva mirando a rallentare il flusso, non certo a bloccare il traffico di un’arteria essenziale per la mobilità cittadina. Su strade così importanti è fondamentale, agli accessi principali, un presidio di forze dell’ordine”.

 

Ciò che appare chiaro è che riempire la città di barriere anti sfondamento – benché segnali l’impegno delle istituzioni per garantire maggiore sicurezza – non risponde alle esigenze di una città che ha fatto della moda, dello shopping e del design il proprio credo. L’archistar Stefano Boeri ha proposto di sostituire il new jersey con degli alberi, scatenando una polemicuzza mediatica. Ma la domanda che molti iniziano a farsi in città è: la sicurezza di una metropoli come Milano può essere affidata a un centinaio di plinti in cemento armato o serve fare di più? Ad esempio filtrare le decine di migliaia d’ingressi di clandestini, mettere sotto controllo le moschee improvvisate e i gruppi di islamici pronti a radicalizzarsi, che vivono borderline da tempo nei quartieri ghetto della città (vedi altro articolo in questa pagina). Ma queste risposte – alla faccia del municipalismo d’accatto – spettano alla intelligence italiana ed europea, certamente non ad un umile quanto efficiente assessore alla sicurezza.

 

Una cosa è certa: la città non può vivere a lungo in promiscuità con le barriere di cemento e allora (oltre all’insostituibile lavoro dei servizi) torna d’attualità la proposta di ridisegnare le aree dello shopping dentro una logica pedonale, senza penalizzare i commercianti ma evitando l’immagine pericolosa che potrebbe, alla lunga, portare all’equazione: Milano come Beirut (o Raqqa).

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