La marcia “insieme contro i muri” del 20 maggio a Milano (foto LaPresse)

Dopo la marcia #senzamuri, l'overbooking. Problemi e numeri

Cristina Giudici

Mancano 2.000 posti per l’emergenza. Il protocollo Minniti-sindaci funziona, sulla carta. Cas, Sprar, onlus

Dopo la marcia “insieme contro i muri” del 20 maggio, l’assessore al Welfare Pierfracesco Majorino ha annunciato un meeting in autunno a Milano su immigrazione e integrazione per affrontare i nodi della complessa gestione dei flussi migratori. Nel frattempo bisogna affrontare l’emergenza e migliorare il sistema di accoglienza perché si tratta di una corsa contro il tempo, vista la portata dei numeri dei migranti in arrivo dalla Libia. I dati: nell’area metropolitana ci sono 5.000 migranti da ridistribuire, in maggioranza concentrati fra Milano e l’hub di Bresso, ma per ora mancano all’appello 2.000 posti che ancora non si trovano (un dato che più di un “marciatore” evita di considerare). Anche per questo motivo è stato firmato un protocollo tra 76 sindaci (su 134) dell’area metropolitana e il ministro dell’Interno Marco Minniti, che pare abbia promesso di dimezzare la percentuale della presenza dei profughi alle amministrazioni che rispettano il patto di tre profughi ogni mille abitanti. Minnini inoltre chiede di favorire il sistema di accoglienza diffusa e di evitare grosse concentrazioni nella prima accoglienza dei Cas, Centri di accoglienza straordinari. Nel protocollo si prevede anche di allargare il sistema Sprar, il Sistema di protezione dei rifugiati che favorisce un processo formativo e di integrazione. Formalmente il patto sulla carta funziona, perché tiene presente la richiesta fatta dalle principali organizzazioni umanitarie e persino da Papa Francesco di evitare grandi concentrazioni di migranti e richiedenti asilo e optare per l’accoglienza diffusa.

 

Funzionerà? “Innanzitutto bisogna restringere e alleggerire i Cas, i centri di accoglienza straordinari”, ripete, come stesse recitando un mantra, Alberto Sinigallia, il presidente della Fondazione progetto Arca – uan delle principali onlus che gestisce centri d’accoglienza in città. E’ convinto che solo un percorso articolato possa coniugare legalità e solidarietà. “Il fattore sociale che più mi preoccupa è il disagio mentale di tantissimi migranti che sono stati a lungo nei campi-lager dei trafficanti in Libia. Soprattutto le donne violentate e seviziate che arrivano a Milano. Perciò non sottovalutiamolo: curare questo disagio sarà determinate per l’integrazione e va affrontato in modo tempestivo”.

 

Altro problema serio è rappresentato dagli immigrati senza fissa dimora perché, per legge, chi ottiene la protezione deve uscire dai Cas nel giro di pochi giorni e così si ritrova per strada, insieme a coloro cui è stato rifiutato lo status e sono di fatto solo immigrati clandestini. Per evitare questo rischio (migliaia di migranti senza dimora nella strade di Milano possono creare problemi di ordine pubblico e aumentare in modo considerevole la percezione della paura) l’assessore Majorino chiederà presto al Consiglio comunale di raddoppiare i posti Sprar di Milano: da 422 a 1.000. E gli altri? “Lo Sprar è una soluzione perché si può seguire con professionalità il percorso di integrazione, ma non è la panacea di tutti i problemi”, osserva Anna Maria Lodi, presidente della cooperativa sociale Farsi Prossimo della Caritas che gestisce alcuni progetti per rifugiati del sistema Sprar. “Bisogna che tutti, anche nei Cas, lavorino bene e non si limitino all’accoglienza”. Il comune di Milano gestisce gli Sprar e 1.100 migranti nei Cas, ma il resto è nelle mani della prefettura, dove i funzionari preposti passano le giornate al telefono per cercare posti per i nuovi arrivati. Perché Milano è in overbooking. Poi c’è il problema economico. I contributi che arrivano dal Viminale ai centri convenzionati attraverso le gare per gli appalti – sia attraverso il comune sia attraverso la prefettura – secondo una stima empirica sono rette dai 28 ai 35 euro al giorno, per oltre 100 mila euro al giorno. Il protocollo voluto da Minniti chiede un rigoroso controllo dei fondi e rendiconti per impedire storture, ma tutto andrà a regime nel 2018.

 

Nel frattempo Milano rimane un grande hub. Se Majorino riuscirà ad ampliare il sistema Sprar che offre accoglienza permanente e non segue logiche emergenziali, sarà un passo in avanti: ma solo per 500 rifugiati in più. E cosa succederà agli 4.000 migranti dell’area metropolitana che per legge, una volta ottenuta o rifiutata la protezione (il 40% delle richieste alle commissioni prefettizie vengono accolte, il 60% rifiutate) devono essere mandati via? Per evitare i problemi di sicurezza, come è successo con l’italo-tunisino Tommaso Hosni, il balordo che ha accoltellato un agente della Polifer e due militari e sarebbe stato radicalizzato da un libico passato, pare, da un centro di accoglienza, bisogna ripensare tutta la gestione dell’immigrazione, e non solo la sua zona emergenziale. Perché ora, al di là degli slogan e delle marce, tutti gli operatori umanitari annaspano. Per un semplice motivo: nessuno sa prevedere quanti ne arriveranno nel medio-lungo termine. Ma tutti gli addetti ai lavori sanno che resteranno in Italia. E l’epopea della buona gestione dei migranti siriani ed eritrei in transito verso il nord Europa, con cui si è costruito “il modello Milano” è finita.

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