Maurizio Martina (foto LaPresse)

Il mediatore

Daniele Bonecchi

La Lombardia del Pd (sfida a Maroni compresa) vista da Maurizio Martina dopo le primarie

Nessuno ricorda di aver sentito Maurizio Martina alzare la voce. Riflessivo, poco incline alle decisioni d’impulso, Martina si è fatto strada nel Pd partendo da Bergamo, la sua città, e arrivando a fare il segretario regionale nella stagione di Bersani. Poi il balzo a Roma e col governo Renzi la responsabilità del ministero dell’Agricoltura. Nessuno tra i suoi detrattori ma anche tra i suoi amici avrebbe immaginato un percorso così brillante, prima alla guida di Expo e poi come nume tutelare degli agricoltori italiani (in primis Coldiretti) nella salvaguardia del made in Italy. Sarà per il suo carattere incline al dialogo che Matteo Renzi l’ha scelto per passare dall’io al “noi”. E’ così che, sulla scia delle vittoria alle primarie, Martina sarà il vicesegretario “inclusivo” del Pd.

 

Gli elettori Lombardi che si riconoscono nel progetto del Pd hanno scelto in larghissima misura Matteo Renzi alle primarie di domenica scorsa. Sta cambiando qualcosa nella regione che, negli ultimi decenni, ha premiato il centrodestra?

 

“In questi anni il Pd in Lombardia si è molto rafforzato. Governa oggi tutti i comuni capoluoghi di provincia e tante realtà del territorio. E’ diretto ovunque da giovani capaci e molto appassionati. Per me è un modello da seguire anche su scala nazionale. Partito giovane, aperto, inclusivo”.

 

La sua scelta di sostenere Renzi in questa competizione porterà a una guida del Pd forse più plurale. In sintesi resterà il simbolo “noi” sul logo della ditta? “Abbiamo proposto un lavoro di squadra e intendiamo andare avanti così. Ci sono tante persone che vogliono darci una mano: dobbiamo dare loro spazi di protagonismo e d'iniziativa. Sapendo che pluralismo delle idee e unità d’azione, con noi, stanno insieme.

 

“Sindacati dei lavoratori e associazioni imprenditoriali sono in crisi di rappresentanza, un po’ come la politica. Ma al momento non c’è niente di meglio in circolazione. La nuova stagione del Pd prevede un rapporto diverso, più dialettico con i corpi intermedi? “Ho scritto qualche settimana fa un articolo per Mondo Operaio dal titolo inequivocabile: ‘Elogio della mediazione’. Io ci credo. Penso che in questo momento noi dobbiamo essere al servizio di un progetto che coinvolga e includa tante realtà civiche e associative della cittadinanza attiva. Il tema centrale è battere la solitudine che spesso le persone avvertono di fronte ai cambiamenti che vivono ogni giorno. E costruire soluzioni di prossimità. Per fare questo serve certamente anche un nuovo rapporto forte e dialettico tra PD e forze sociali”. Lei, in qualità di ministro, ha lavorato con la giunta Maroni anche in occasione di Milano Expo 2015, dunque conosce il pragmatismo del governatore. Maroni ha costruito una rete di rapporti con la società civile lombarda per realizzare il nuovo modello di welfare e un sistema formativo destinato ad aprire le porte del mondo del lavoro ai giovani. Che giudizio si è fatto del governo Maroni e di queste esperienze? “Distinguerei il governo regionale dalla forza delle esperienze che lei ha evocato. In Lombardia il mondo delle imprese e quello delle reti del sociale hanno una forza intrinseca e autonoma che per fortuna non dipende dalle pieghe di una giunta regionale. Quello che io riscontro è lo scarto tra le attività dell'ente regionale e la società lombarda, che è molto più avanti di tutti i ragionamenti che si fanno al Pirellone. Un esempio concreto? La tribolata riforma sanitaria regionale che ha lasciato troppi temi aperti. Un altro? L’invenzione di un referendum regionale inutile del costo di 50 milioni, guarda caso proprio alla fine delle legislatura, per chiedere ai lombardi se trattare con lo stato ulteriori materie da gestire a livello regionale. Da cittadino lombardo la mia risposta è sì, già ora lo si può fare. E perché Maroni in questi quattro anni non ci ha lavorato? Perché non ha mai chiesto alla Stato di iniziare a discuterne nel merito? E’ un po’ come la bufala della sua proposta elettorale del 2013 di trattenere il 75% delle tasse sul territorio. Ricordate? Tutte chiacchiere”.

 

La Lombardia a primavera 2018 (al più tardi) andrà al voto, lei si è fatto un’idea delle linee programmatiche sulle quali consentire al Pd di cambiare l’orizzonte di governo della Regione? “Il Pd lombardo sotto la guida di Alessandro Alfieri sta facendo un buon lavoro di preparazione per il progetto Lombardia 2018. Per me la parola chiave è ‘"’prendersi cura’. Delle persone e del territorio, prima di tutto. Proteggere e promuovere le persone nella regione cuore del paese. Portare la Lombardia dove deve essere: tra le realtà più avanzate d’Europa e del mondo. Scommettere tutto, quindi, sui servizi alla persona: a partire dagli investimenti sul capitale umano”.

 

Il suo nome è tra i più qualificati ed evocati nella sfida a Maroni. La accetterà?

 

Decideremo e lavoreremo insieme a prescindere da chi sarà il candidato. Abbiamo tante energie che ci possono portare alla vittoria. Credo in questo lavoro e penso che il PD abbia preso il passo giusto”.

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