Un Distretto finanziario? Si può, si deve. Se ne discute in Triennale

Redazione

E’ un tema di cui si parla da tempo, si tratta di favorire l’arrivo di stranieri, e investitori-operatori stranieri, in maniera strutturata

"Pensa a cosa puoi fare tu per far vincere il paese". Visto da Milano, al tempo della Brexit, lo slogan di sapore apertamente kennedyano oggi significa soprattutto un progetto, qualcosa di più di un sogno: fare di Milano la capitale europea della finanza. O almeno mettere le basi, giuridiche, fattuali, per trasformarla in un Distretto finanziario. Con le sue regole, spalancate all’Europa. E’ un tema di cui si parla da tempo, si tratta di favorire l’arrivo di stranieri, e investitori-operatori stranieri, in maniera strutturata. Significa dotare alcune aree del paese – e Milano in questo senso “è” il paese – di un profilo fiscale speciale e attraente (la famosa “flat tax per i ricchi”, che tecnicamente non è una flat tax) di un quadro normativo stabile. Ascoltando le idee e i bisogni della società civile e imprenditoriale. Se ne parla, c’è chi ci lavora. Maurizio Bernardo, presidente della Commissione Finanze della Camera, ha inaugurato da un anno una Consulta di esperti (120 personalità delle categorie professionali, del mondo economico e accademico) per affiancare la società al lavoro istituzionale.

 

 

E’ stato promotore del protocollo che impegna il governo italiano nel progetto di portare a Milano l’Agenzia europea del farmaco, in trasloco da Londra. Domani, assieme a Luigi Casero, viceministro dell’Economia, ha promosso in città un evento pubblico sul tema “Milano, capitale europea della Finanza - Il progetto, la squadra, le idee per il dopo Brexit”, coinvolgendo numerosi presidenti delle più importanti associazioni economiche – dalla big industria alle banche, dall’alberghiero alla ristorazione all’education. Spiega che il momento è strategico, e il tempo poco, a partire da Ema: “A mio avviso l’Italia in pole position, ma i competitor no mancano: Stoccolma, Amsterdam. Però Milano ha delle caratteristiche – ambientali, produttive, logistiche, di costo della vita per chi verrà qui, di agenzie educative, superiori a quelle di altre possibili sedi”. Si tratta di lavorare bene, tra istituzioni e lobbying privato.

 

Poi c’è la grande questione chiave, che verrà messa a tema, per creare consapevolezza anche fuori dalle istituzioni: “La Brexit è un’occasione reale promuovere il ruolo di Milano come prossimo distretto finanziario d’Europa, un laboratorio a disposizione dei progetti innovativi, in grado di raccogliere l’eredità della City”. Ma esiste davvero la possibiltà di varare un Distretto finanziario per Milano? Quale il percorso? “Ovviamente l’ambito decisionale non è la città, gli ambiti legislativi per decidere sono il governo, la regione. Ma l’idea è di prendere a modello le Zes, le Zone economiche speciali. E applicare un regime differenziato – dogane, fiscalità, ecc. – a un’area che non ovviamente non deve diventare una “regione a statuto speciale” sui generis. Basta l’area metropolitana, ad esempio. Come un tempo si parlava di “aree di sviluppo” per il sud, oggi Milano deve diventarlo per trainare l’Italia. La domanda degli stranieri per venire qui esiste”. Appuntamento oggi alle 10,30 alla Triennale.

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