Il Camparino a Milano (foto di a_marga via Flickr)

La resistenza delle Botteghe Storiche si avvia a diventare sistema

Redazione

Passi avanti per conquistare un po’ di City

Quando l’antica farmacia di Brera, fondata da Carlo Erba nel 1837, apriva i battenti in centro a Milano, era ancora vivo l’eco in città del Congresso di Vienna che nel 1815 annunciava la costituzione degli “Stati austriaci in Italia”, con Milano capitale del Regno Lombardo-Veneto. Solo una decina di anni dopo, i clienti della farmacia avrebbero fatto a gara per aiutare gli insorti della rivolta popolare delle Cinque giornate (1848). Perché la storia, per forza di cose, passa dal tessuto cittadino, dalla sua gente e dalle sue botteghe. Oggi le chiamano Botteghe Storiche e il capo dei commercianti milanesi, Carluccio Sangalli, ha chiesto ad Alfredo Zini – nipote di una dinastia di ristoratori toscani (di Fucecchio) che nel 1933 avevano aperto una friggitoria in via Thaon di Revel oggi ristorante al Tronco – di fare da animatore del Club delle Botteghe Storiche. “Ho accettato con entusiasmo perché conosco lo spirito di questa città – dice Zini – e poi qui all’Isola (quartiere di Milano) è nato Luigi Veronelli, enologo e uomo del popolo, che ha saputo dare dignità al cibo e al buon bere”. E sarebbe interessante ripercorrere la storia e la cronaca di Milano dell’ultimo secolo, attraverso queste botteghe, che hanno molto da dire. Come l’Ada Cominotti, il cui padre ha aperto nell’aprile del 1943 un negozio di elettroforniture. E lei l’Ada, che ci lavora da quando era ragazzina, ha resistito a tutto, prima alla guerra, poi da protagonista alla rinascita di Milano, più di recente all’isola pedonale voluta dal comune che ha allontanando i vecchi clienti. E ora continua il suo lavoro tra i grattacieli e le griffe della moda, che hanno invaso il quartiere. Un pezzo di storia della città e del costume è il Camparino, aperto da Davide Campari nel 1915 in Galleria Vittorio Emanuele, poi trasferitosi altrove per tornare al suo posto il 3 gennaio 2012, con la firma di un artista originale e prestigioso: Ugo Nespolo. Ma spesso non basta essere titolare di un pezzo di storia del commercio milanese per vincere la propria battaglia. E’ il caso di Giuseppe Guenzati che fonda un’azienda (1768) col suo nome, trasmessa di padre in figlio fino al 1876. Poi sono i dipendenti a mandare avanti uno dei più apprezzati negozi di tessuti e abbigliamento del centro, al Cordusio. Ma Guenzati, come alcuni altri esercenti ha ricevuto lo sfratto, per fare posto a qualche grande marchio. E lo stesso problema si pone per alcune realtà della Galleria, perché il comune (proprietario) ha deciso di fare cassa. E così botteghe storiche come Borsalino hanno scelto o sono state costrette a lasciare. Ora è Pier Antonio Galli, presidente dell’associazione “Il Salotto di Milano” a battersi perché le grandi griffe della moda non sfrattino tutte le botteghe che hanno fatto la storia della città, in Galleria. Perché la memoria è una parte importante della natura di questa metropoli.

 

Il premier britannico Theresa May vuole tagliare tutti i ponti con l’Europa, e scommette su una globalizzazione finanziaria anche più radiosa per la City. Il sindaco di Londra, invece prevede disastri. La gara  per accaparrarsi pezzi di finanza in eventuale uscita è aperta, Parigi è piuttosto avanti nel lavoro. La faccenda è un pallino anche di Beppe Sala, e Milano (anzi l’Italia) ha incassato un primo risultato formale, cioè l’appoggio nazionale. La commissione Finanze della Camera ha finalmente votato una risoluzione che impegna il governo a far sì che Milano abbia le possibilità tecniche e formali per offrirsi come piazza finanziaria alternativa alla City in vista della costituzione un distretto d’affari “capace di svolgere la funzione di cittadella finanziaria europea”. I nodi riguardano soprattutto i servizi per il funzionamento del mercato dei derivati in euro (operazioni Euroclearing) su cui operano le Casse di compensazione e garanzia: un mercato da 570 miliardi al giorno, undicimila addetti, un genera fiscale annuo da 9 miliardi. Fra queste casse, la maggiore è LCH Clearnet che ha sede appunto a Londra ed è controllata dal London Stock Exchange, di cui è parte anche la Borsa di Milano.

 

L’uscita della petrolifera russa Rosneft da Saras, in cui era entrata nel 2013, ha mandato in rosso le azioni della società dei Moratti a Piazza affari. Ma l’addio (ah, le sanzioni) era previsto, e gli analisti di Mediobanca sono fiduciosi: sta ripartendo la Libia.

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