Foto da YouTube iSempreviv+Onlus

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La Crazy Week alla parrocchia Wagner di Milano: uno sguardo sulla salute mentale

Cristina Giudici

Nella società post pandemica il confine fra chi sta bene, chi meno bene e chi per niente è diventato più che mai labile. L'iniziativa del prete psicologo Domenico Storri

Il quadro di un ragazzo che ritrae la propria mente da cui escono fiotti di caos. Il disegno di una ragazza che vorrebbe essere un maschio, si firma Narciso e ha tratteggiato due figure per raccontare la doppia identità. Il ramo spezzato di un fiore. Un vortice. Punti interrogativi. E un mosaico di disegni colorati che invece descrivono come si sentono i ragazzi e le ragazze quando frequentano il centro diurno per adolescenti “Il sorriso di Lollo” in cui si intravedono i cenni della speranza. La mostra “Noi” è stata realizzata per la “Crazy Week” all’interno della parrocchia di San Pietro in Sala in piazza Wagner, dove è nata l’associazione iSemprevivi+onlus fondata da don Domenico Storri, che i parrocchiani chiamano Dondo invece che don Domenico. Lui si definisce prete psicologo per gli studi che ha fatto e che lo hanno portato a occuparsi di salute mentale. E dalle passeggiate terapeutiche in montagna vent’anni fa è arrivato a creare due centri diurni accreditati dalla Regione Lombardia sia per adulti con patologie croniche sia per gli adolescenti che cercano un punto di approdo per provare a non andare alla deriva.

Dal 2005 l’associazione si occupa dell’integrazione delle persone con malattia psichiatrica attraverso un lavoro di sensibilizzazione contro i pregiudizi e lo stigma del disagio mentale. Con un gruppo di psicologi, psichiatri, educatori e volontari, sviluppa percorsi riabilitativi che hanno l’obiettivo di potenziare l’autonomia dei malati psichiatrici che vivono in piccole comunità autogestite negli appartamenti di social housing. Offrendo anche supporto alle famiglie. Lunedì scorso nella parrocchia è cominciata la seconda edizione della “Crazy Week” che dura fino a venerdì con attività ludiche, concerti, spettacoli e una partita di calcio con la squadra dei giovani talent di Play2give e il Crazy Team “un goal per l’inclusione” all’Arena. E anche diversi momenti di incontro con testimonial come Ambra Angiolini, il poliedrico Nicola Savino e Paolo Ruffini che servono a offrire alla città uno sguardo sulla salute mentale. Ora che la crescita del disagio mentale, soprattutto fra gli adolescenti, ha più o meno mandato in soffitta il motto “Da vicino nessuno è normale” perché nella società post pandemica il confine fra chi sta bene, chi meno bene e chi per niente è diventato più che mai labile, è arrivata la seconda edizione della Crazy Week: orgoglio senza pregiudizio per chi soffre di disturbi mentali.

Ora che è scoppiata di nuovo la polemica in Regione perché l’assessorato alla Sanità vorrebbe inglobare le Uompia (Unità operativa di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza) dei quartieri Giambellino e Baggio nell’ospedale San Carlo, vale la pena di scoprire cosa accade nella parrocchia di piazza Wagner che si trova fra il mercato comunale e gli edifici di una Milano benestante. “Gli adolescenti soffrono di depressione, disturbi alimentari, compiono atti autolesivi, tentano il suicidio o hanno pensieri di morte”, spiega don Storri. “Il disagio cresce e bisogna dare risposte. I centri per gli adolescenti sono pochi e ogni giorno arrivano richieste, segnalazioni dalle Uompia”, dice don Storri che ha un oratorio dove ruotano mille ragazzi. Diverse ragazze parlano del loro arrivo in piena pandemia o subito dopo, raccontano di quello che fanno nella web radio, nei laboratori; dell’aiuto che hanno trovato nel centro diurno. “Io ho sempre attacchi di panico, non so prendere decisioni, mi blocco, mi faccio dei film pazzeschi e insomma qui riesco a smaltire un po’ di pensieri con lo psicologo”, dice una delle ragazze seguite dal centro diurno “Il Sorriso di Lollo”, mentre una sua compagna prova a sintetizzare il significato della Crazy Week: “Serve a spiegare a chi sta fuori che il mondo fa schifo ma noi, I sempre Vivi, possiamo migliorarlo”, racconta Ingrid che ha un sorriso potente. Anche perché fuori c’è il malessere, il bisogno a cui le istituzioni faticano a dare una risposta. E una medicina territoriale di cui si parla tanto ma si pratica poco.

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