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Oltre il voto, l'allarme. Le imprese lombarde e il pericolo automotive

Daniele Bonecchi

Lo stop definitivo dell'Europa alle auto a benzina e diesel e le preoccupazioni per il mercato che verrà. "La stima per una transizione verso l’elettrico così rapida costa 15-20 mila posti di lavoro", ci dice il presidente di Confindustria Lombardia

Subito sul pezzo, e ci mancherebbe altro. È imprenditoria lombarda e non per caso. I rapidi auguri di buon lavoro del presidente di Assolombarda, Alessandro Spada, “il nostro auspicio è quello di rafforzare un modello vincente di collaborazione tra pubblico e privato tipico dei nostri territori”, e sotto con il grande lavoro che c’è da fare. Dentro le aziende, ma anche guardando le minacce che vengono da fuori, e persino da un’Europa avvertita come matrigna”. La pandemia e la guerra non sono riuscite a mettere in ginocchio l’economia della vecchia Europa, ma il Parlamento di Strasburgo, con interpretazione secondo molti discutibile della transizione ecologica, ci sta provando. Martedì ha votato l’ok definitivo per mandare dallo sfasciacarrozze le auto e i furgoni a benzina e diesel, entro il 2035. E con esse uno dei settori chiave anche come posti di lavoro (come sanno bene i sindacati).

 

“Nell’automotive abbiamo circa mille aziende in Lombardia, con 50 mila dipendenti. La stima per una transizione verso l’elettrico così rapida costa 15-20 mila posti di lavoro”, spiega al Foglio Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia. “Certo potrebbero nascere nuove opportunità di lavoro che tutte le transizioni portano in dote; ma una cosa è certa: come paese – compresa la politica – dobbiamo fare un po’ di autocritica, perché il tema mobilità è stato sottovalutato. Abbiamo trovato la questione sul tavolo quando in Europa i giochi erano fatti, le alleanze erano già delineate, e noi oggi siamo fuori partita. Quando i temi toccano da vicino il comparto industriale bisogna saper essere protagonisti, anche perché l’80 per cento delle normative nei nostri settori arriva dall’Europa e noi abbiamo snobbato l’Unione come paese, non siamo ai tavoli che contano: dobbiamo essere più presenti, l’Italia senza Europa non è niente”, spiega amaro il presidente di Confindustria Lombardia.

 

Gli industriali lombardi, con la Banca d’Italia, hanno promosso una ricerca per capire quanto è “condivisa” la transizione ambientale. I dati non sono esaltanti: solo il 12 per cento delle imprese riesce ad autoprodurre da fonti rinnovabili oltre il 10 per cento del proprio fabbisogno energetico e il 12 per cento delle imprese dispone di impianti di cogenerazione. È Alessandro Spada, presidente di Assolombarda, a richiamare tutti: “Per vincere la ‘partita’ della transizione ecologica è necessario che istituzioni, parti sociali, imprese, stakeholder del territorio lavorino insieme sul tema delle competenze per formare professionisti capaci di rispondere alle nuove esigenze dettate dalla sostenibilità. Allo stesso tempo, occorre agire per ridurre gli eccessivi oneri burocratici e rendere più stabili le norme nel tempo”. “Noi in Italia – riprende il ragionamento Buzzella – abbiamo un parco auto molto vecchio, di circa 40 milioni di veicoli, il beneficio ambientale dell’elettrico arriverà tra molti anni. Avevamo chiesto la neutralità tecnologica: se invece di porre l’obiettivo 2035 riferito al 100 per cento delle emissioni, si fosse puntato sul 90, avremmo lasciato la porta aperta a molte altre tecnologie. Oggi, con una soluzione così drastica, c’è solo l’elettrico sul mercato. L’Europa rappresenta l’8 per cento (al mondo) delle emissioni inquinanti e la mobilità vale il 10 per cento di questo 8. Parliamo dello 0,8 a livello planetario”. Buzzella fa capire chiaramente che si tratta di una forzatura con una matrice ideologica. Non sarà facile cambiare radicalmente il modello di mobilità anche nella moderna Lombardia.

 

“Al 2026 – prosegue Buzzella –  ci sarà una verifica sullo stato di avanzamento della mobilità elettrica e le infrastrutture necessarie. Le case automobilistiche sono pronte anche perché hanno evitato di investire sull’euro 7, motore endotermico straordinario. Va ricordato che l’auto elettrica non è a emissioni zero, costruirla costa tanta energia che, nel mondo spesso proviene da fonte fossile. Certo possiamo circolare con l’auto elettrica ma se l’energia viene prodotta col carbone (come accade di questi tempi in Germania e in Cina) ogni sforzo risulta inutile”. C’è poi l’incognita del traffico pesante che non può utilizzare le moderne batterie elettriche, “si sta valutando la soluzione dell’idrogeno che però ha bisogno di tempo per essere applicata. In Lombardia si stanno sviluppando anche dei bio carburanti molto interessanti, che potrebbero rifornire il parco veicoli esistente, con impatto ambientale immediato”. Inoltre, spiega, “in Lombardia abbiamo sempre avuto un forte indotto collegato al motore termico, ora alcune aziende stanno lavorando per i veicoli elettrici ma vanno cambiate tutte le filiere perché passare dalla marmitta alle componenti elettriche non è facile: le riconversioni sono spesso dolorose e richiedono tempi lunghi”. Gli imprenditori si aspettano un intervento robusto delle istituzioni, a partire dal governo. “Ma da noi mancano politiche industriali forti”.

 

Dal governo è stata depotenziata Industria 4.0 e oggi invece ci servirebbe un progetto Industria 5.0. È arrivato il momento di mettere sul tavolo gli incentivi virtuosi verso la transizione. Niente a fondo perduto ma incentivi sugli investimenti anche”. Anche a nuova giunta lombarda è chiamata ad un impegno straordinario. “Il Piano Lombardia da 5 miliardi certo ha aiutato”, ricorda Bruzzella, “se i grossi incentivi devono essere decisi a livello nazionale, alla Regione chiederei un impegno particolare sul capitale umano, per aiutare le aziende a trovare i profili di area tecnica assolutamente necessari al nostro lavoro. Quella che stiamo vivendo è anche una transizione tecnologica e per farla marciare servono giovani tecnici motivati”, conclude il presidente di Confindustria Lombardia.

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