Foto di Serena Cremaschi, via Ansa 

Gran Milano

Vittoriale e altro, l'assessore alla Cultura di Milano fa un bilancio e rilancia

Paola Bulbarelli

“La regione non viene informata, non sappiamo nulla di dove vanno gli investimenti, se non per gentile concessione di qualche sindaco. Se ne fossimo a conoscenza potremmo integrare con risorse regionali”, ci dice Stefano Bruno Galli

Sta bene dov’è, Giordano Bruno Guerri. “Me lo avrebbero portato via dal Vittoriale”, dice sornione Stefano Bruno Galli, a proposito delle voci che avrebbero voluto il presidente della Casa di D’Annunzio come ministro della Cultura. Del resto il Vittoriale è un amore per due: “Abbiamo fatto delle belle cose insieme. Il Vittoriale, quando sono diventato assessore regionale, navigava intorno al decimo posto sui 603 musei lombardi, ora è stabilmente al secondo posto, a un’incollatura dalla Triennale”. Merito non ultimo della revisione storiografica di D’Annunzio “troppo confinato a destra come complice del fascismo mentre con i suoi studi e le sue ricerche Bruno Guerri ha dimostrato che così non è. Per lo storico, l’impresa fiumana è stata il trionfo della libertà e della democrazia”. Soddisfatto, Galli, leghista d’antico impianto federalista, anche del discorso di Meloni alla Camera sull’autonomia. “Sono ottimista e in più con due ministeri chiave come gli Affari regionali e il Mef ci sono garanzie”. 

 

La classifica stilata per visitatori non mente. Il 2021, quando si risentiva ancora dell’onda lunga della pandemia, la differenza tra i visitatori della Triennale e del Vittoriale era di ventimila unità, 171 mila contro 191 mila, “tenendo anche conto che i paganti alla Triennale sono il 42/43 per cento degli ingressi, mentre al Vittoriale sono il 98 per cento. In un anno ordinario il Vittoriale può arrivare a 500 mila visitatori”. Sotto il profilo del turismo culturale, è un anno cruciale anche in Lombardia. Inoltre, per la cultura è il momento dell’attivazione dei piani nazionali e del Pnrr. Come si muove la nostra Regione? In generale, i musei della Lombardia sono molto frequentati, circa 7 milioni di visitatori.

 

“Due settimane fa il rapporto della Fondazione Symbola ’Io sono Cultura’, ha certificato che il primo sistema culturale in Italia è quello lombardo, siamo nettamente davanti a Lazio e Toscana, dato confermato anche da Federculture”. Fondamentale la nascita delle imprese culturali e creative, le Icc: “Siamo arrivati ad averne il 30 per cento a livello nazionale, una su tre è lombarda: realtà private, dinamiche, aggiornate rispetto ai criteri espositivi e culturali”. In pratica, danno il loro contributo allo svecchiamento dell’offerta museale tradizionale, lavorano per informatizzare il museo, dal sito alla prenotazione elettronica. Per questo, nel 2019, dice Bruno Galli, “avevo investito 4 milioni e mezzo sulle startup delle Icc ritenendo che il sistema museale lombardo ne avesse un gran bisogno”.

 

Da lì è partito il bando Innova musei con Fondazione cariplo e unioncamere, seguito da una manifestazione d’interesse: 121 i progetti arrivati da varie realtà e “16 i musei che hanno accettato di farsi rivoltare come un calzino per incrementare il tasso di nuove tecnologie applicate alla rappresentazione museale”. Il pericolo, altrimenti, è quello di avere nel giro di vent’anni i musei vuoti. “Se andiamo avanti con i criteri adottati fin qui e che sono quelli degli anni ’60, ’70, ’80, ’90 nei musei non ci va più nessuno”. Stoccata al ministero? Non è tanto o solo quello, è che in questo modo si stringe sempre più il rapporto pubblico-privato e la possibilità di sfruttare al meglio l’Art bonus. “All’inizio del mio lavoro, il 34 per cento degli investimenti in cultura arrivava dall’Art bonus. Sono riuscito a portarlo al 51. Durante il Covid gli investimenti in cultura sono aumentati da 187 milioni a 213 milioni, una cosa straordinaria. In totale, sono 300 milioni di euro, il 16 per cento di Regione, il 33 dello Stato insieme a provincie e comuni, e il 51 per cento dei privati”. 

 

Ma nasce un problema: le regioni non sono coinvolte nella filiera decisionale dell’Art bonus. “La regione non viene informata, non sappiamo nulla di dove vanno gli investimenti, se non per gentile concessione di qualche sindaco. Se ne fossimo a conoscenza potremmo integrare con risorse regionali studiando strategie pubblico-privato virtuose”. Non solo. “Bisognerebbe allargare l’Art bonus anche a musei, teatri, cinema privati e non solo a beni pubblici. Su 603 musei in Lombardia solo 12 sono statali e con i musei civici arriviamo sui duecento e rotti. E sono quelli che fanno più fatica, non per colpa loro, perché manca il personale. Le incisioni rupestri in Val Camonica, con il 2023 alle porte quando Brescia sarà capitale della cultura, il sabato e la domenica sono chiuse perché sono spesso in difficoltà. Tante le lamentele che ricevo, ma è al ministero che ci si deve rivolgere”.

 

Con il comune di Milano? “Buona cordialità dal punto di vista personale, l’assessore è arrivato da poco e io tra poco me ne vado, quindi non c’è il tempo tecnico per fare cose insieme”. Ma le fratture ci sono. “Siamo distanti anni luce sul tema del Piccolo teatro. Due anni e mezzo fa in occasione della nomina del nuovo direttore avevo fatto una battaglia politica. I soci del Piccolo sono il comune, la regione e la Camera di commercio. Non volevo ingerenze rispetto a questo schema eppure c’è stata da parte del ministero”. Ma i soci sono tre, e Stefano Bruno Galli rivendica un a responsabilità paritetica: “Il presidente dobbiamo trovarlo tra di noi, e di fronte al mio ostruzionismo si erano inventati di aumentare il numero dei membri del cda”. Mai mulà.