Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, e l'assessore all'Urbanistica, Agricoltura e Verde, Pierfrancesco Maran (Foto: Ansa/Matteo Corner)

Gran Milano

Imitare la Francia sulle case popolari? Buona idea, strada lunga

Daniele Bonecchi

L'assessore Maran è pronto a varare un nuovo progetto di ampliamento del patrimonio abitativo. L'esempio virtuoso di Parigi e Marsiglia però è di difficile attuazione

La frattura, al momento, è insanabile. Nonostante la buona volontà dell’assessore Alessandro Mattinzoli e i toni concilianti di Pierfrancesco Maran, tra Regione Lombardia e Comune di Milano sulle case popolari è scontro. La trattativa tra i due enti (che gestiscono le case popolari con Aler e MM) è andata a gambe all’aria. Esattamente come quella sul trasporto pubblico locale (Atm, Trenord) tentata, anni fa, da Bobo Maroni e Giuliano Pisapia.

Ma il Comune non ha intenzione di attendere tempi migliori e, con l’assessore Maran, si sta preparando – complice la brillante stagione nel campo dell’edilizia – a varare un nuovo progetto, disegnato sulla collaborazione tra pubblico e privato. Nel piatto l’amministrazione comunale può mettere i 39 mila appartamenti (Milano e hinterland) gestiti da MM spa su aree di grande interesse, tra le quali ci sono veri e propri gioielli, come quelli nelle zone centrali di Milano: nelle vie Bergamini e Laghetto, in corso Garibaldi e nelle vie Statuto, Palermo e San Maurilio, ma anche in via Anfiteatro, in via Mercato, in via Pontida e in via Madonnina, o in corso di Porta Ticinese e in via Scaldasole. Aree di grande pregio che possono essere “valorizzate”. Da questo patrimonio e dalle esigenze diversificate che si esprimono in città nasce l’idea di non limitarsi a ristrutturare o costruire solo case popolari ma estendere le attività all’edilizia a prezzi concordati per lavoratori e giovani, col concorso dei privati. Certo, se il patrimonio si allargasse anche alle 70 mila unità abitative di Aler (Milano e hinterland) il piatto sarebbe ricchissimo. Ma non è detto che, una volta partito il progetto, che in Regione non si affaccino dei ripensamenti. Anche perché l’ampliamento del patrimonio abitativo deve essere declinato con un sistema di welfare (leggi e regolamenti) che fa capo alla Regione.

Gli esempi in Europa non mancano. Nell’area di Parigi ci sono tre fasce di alloggi con relativi canoni. La prima, in regime Piai (Prêt locatif aidé d’intégration), è rivolta alle famiglie più disagiate; la seconda, per un alloggio in Plus (Prêt locatif à usage social) viene proposta a un livello intermedio e la terza per una casa in Pis (Prêts locatif social) è rivolto a chi, pur con un reddito medio, non trova un appartamento in locazione. Ma lo stato – in un paese dove le famiglie, diversamente dall’Italia, non hanno una gran propensione all’acquisto – ha varato anni fa un Programma nazionale di rinnovamento urbano, pesantemente finanziato, che prevede, tra l’altro: la creazione di un partenariato nazionale tra i vari enti interessati; la garanzia di un sostegno finanziario pubblico; uno stanziamento coerente, senza precedenti (12 miliardi di sovvenzioni), sufficiente per avviare progetti su 200 siti nello stesso tempo. Porte aperte alla collaborazione dei privati.

C’è poi il caso di Marsiglia, gestito dall'Agenzia nazionale per il rinnovamento urbano. Il piano ha previsto un investimento di un miliardo e mezzo e si è arrivati a realizzare quasi il 100 per cento delle demolizioni previste: infatti la quasi totalità delle costruzioni del patrimonio abitativo preesistente viene demolito e ricostruito con volumetrie inferiori e una migliore distribuzione degli spazi. Il prossimo step collocato nella Métropole Aix - Marseille-Provence (una sorta di città metropolitana), punterà alla realizzazione di undici quartieri a “priorità nazionale”. Milano potrebbe fare il primo passo verso questo modello, ma la strada è ancora lunga.

 

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