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Come mai nel Sala II riprende quota il partito “San Siro o niente”?

Maurizio Crippa

Nella nuova giunta milanese ha ripreso a soffiare un venticello contrario a qualsiasi nuovo stadio. Che fine farà il Meazza?

Ultimo venne il Corbani, nel senso di Luigi, storico vicesindaco del Pci tra il 1987 e il 1990, la giunta che disse sì al terzo anello di San Siro. Ancora se ne pente, Corbani, mentre rivendica come una vittoria del Progresso l’aver bocciato un’altra richiesta allora avanzata da Inter e Milan, quella di costruire anche “suite, box, aree commerciali”. In pratica, la modernità trent’anni fa. “Dissi che se li sarebbero dovuti pagare loro. Potevano acquistare lo stadio, e a qual punto l’amministrazione avrebbe dato l’autorizzazione per quelle opere”. Che l’amministrazione di sinistra di Milano non avesse nessuna intenzione di vendere il suo bene, come non l’hanno mai avuta le giunte successive, ovviamente Corbani omette di ricordarlo. San Siro doveva restare pubblico, tanto per mantenerlo c’era l’affitto obbligato pagato dalle squadre. Corbani è stato intervistato dalle pagine milanesi del Corriere. Un po’ perché è una voce storica, un po’ perché, dopo le elezioni, ha ripreso a soffiare un venticello contrario a qualsiasi nuovo stadio. Le società, se vogliono, mettano i loro soldi per ristrutturare il Meazza, che però non sarà mai loro.

Sulla convenienza del nuovo stadio, mandando in pensione il vecchio, si discute da anni. Ma che San Siro non sia adeguato, nonostante le dichiarazioni internazionali, a garantire un business paragonabile a quello prodotto dagli stadi del Barcellona o del Tottenham, e che quindi due grandi società che sono anche degli asset importanti della città abbiano diritto a investire in un nuovo impianto di proprietà, sembrava ormai pacifico. Ma l’aria sembra cambiata, complice anche la crisi finanziaria del sistema calcio. Così Corbani, alla domanda “Il sindaco Sala dovrebbe dire di no a un investimento privato da 1,2 miliardi di euro?”, può rispondere come se fossimo nella Prima Repubblica: “Certo che dovrebbe dire di no. Se proprio vogliono un impianto di proprietà, le squadre comprino il Meazza e presentino un progetto per farne uno stadio-business come ha fatto il Real Madrid. Ma non si può pretendere una operazione immobiliare-finanziaria di quelle dimensioni, che nulla ha a che fare con la questione sportiva”. Dimenticando ovviamente che il Bernabeu è già del Real, e che i soldi per costruire a Milano, e rivitalizzare un’intera area ora malmessa, da qualche parte bisogna trovarli: li mette Palazzo Marino?

Il Comune ha davanti a sé solo una via, e un po’ tortuosa: costringere in qualche modo Inter e Milan a restare a giocare in affitto, rinunciando ai possibili e legittimi proventi derivanti da uno stadio di proprietà. Oppure mettere in capo alle squadre un qualche progetto per “salvare” il vecchio Meazza o per inventare una trasformazione d’uso pubblico di tutta l’area. (Va detto che il moncherino + parco + impianti sportivi finora partorito non sembra una gran soluzione: forse sarebbe davvero meglio abbattere il glorioso impianto e chiuderla lì: del resto è accaduto pure a Wembley. Inoltre neppure la Sovrintendenza, in questo caso, è riuscita a trovare un motivo per porre un vincolo).

 

Beppe Sala ha sempre mantenuto, in passato, una posizione mediana: se le società presenteranno un progetto accettabile e sostenibile, e se il Consiglio comunale darà il suo assenso, l’operazione si farà. Ma di certo non potrà essere la città (e il Comune) a rimetterci. Ora i due club hanno accettato un downgrade del progetto, in termini di volumetrie e costi. Secondo Sala, l’accordo potrebbe essere più vicino. Eppure, paradossalmente, rischia di allontanarsi. Perché i margini di (ipotetico) guadagno dei club si assottigliano. E perché a Palazzo Marino c’è oggi una maggioranza più ostile all’operazione stadio di quella procedente. Tanto nel Pd, quanto soprattutto nei Verdi – ufficialmente, il partito di Sala. L’assessora all’Ambiente, Elena Grandi, ha esordito piantando un baobab in mezzo al campo: “Sappiamo che ci sono progetti di ristrutturazione di San Siro che possono essere recuperati e integrati. Noi pensiamo che un intervento di questo tipo sia eccessivo in quel quartiere”.

Più tranchant  Carlo Monguzzi, storico pasdaran della sinistra écolò: “Su San Siro Sala sbaglia. Si può ristrutturare il Meazza senza consumare il pratone e non possiamo dare un quartiere in mano a fondi speculativi”. Dimenticando che si tratta di aziende, non di “fondi speculativi”. E di porsi la fatidica domanda: perché i club dovrebbero mettere i soldi per mantenere un bene che a loro non renderebbe nulla? 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"