(foto Ansa)

GranMilano

Effetti opposti del voto ztl sul capitano Matteo e sul sindaco Beppe

Fabio Massa

Le regionali hanno dimostrato la propensione degli elettori per la riconferma dei governatori in carica. Che effetti avrà sulla corsa a primo cittadino di Milano?

Il vecchio Mario Alicata durante un dibattito nella redazione dell’Unità, che dirigeva, rivelò a Gianni Cervetti, l’uomo del Pci a Mosca, l’esistenza di una “sinistra di via Montenapoleone” che a volte riusciva anche a ingaggiar battaglia con la sinistra degli operai e delle fabbriche. Tempi andati, ma non troppo. Perché la sinistra detta oggi “Ztl”, a guardare i dati del No al referendum, esiste ancora e sta anche bene: se nel resto d’Italia il Sì è arrivato al 70 per cento, a Milano si è fermato al 56 e in Zona 1 il No ha persino vinto, per 6,5 punti percentuali. Che cosa vuol dire? Forse che Milano ha un voto di opinione e meno di pancia più marcato? Oppure che il centro storico di Milano è qualcosa di diverso, con le sue idee? Del resto, qui vinceva forte anche Matteo Renzi. Di certo, dopo il referendum e soprattutto le regionali ci sono riflessioni da fare, non poche e non semplici.

 

IL CARROCCIO ALLA BATTAGLIA - Matteo Salvini, con le schede ancora calde nell’urna e la sconfitta già in saccoccia - rispetto alle troppo alte aspettative (quando mai la destra ha vinto in Toscana?) ha messo i puntini sulla road map delle prossime scadenze. La battaglia ora si sposta al nord. Perché se Roma sarà cosa di Fratelli d’Italia, a Milano l’obiettivo è una candidatura leghista tra gli ormai mitici “mister X” da tempo annunciati ma finora senza volto, il mistero meglio custodito dai tempi di Fatima. Certo, c’è da dire che gli uomini di Meloni, pur sapendo di non poter imporre un proprio nome, vorranno contropartite più alte rispetto a tre giorni fa. E poi c’è quel mondo “riformista” (non è bestemmia usare l’aggettivo per una parte della Lega) e nordista di Giorgetti & Zaia che per ora non sfiduciano il modello Salvini, ma un candidato “da comizio” anche no. E potrebbero convincerlo a giocare a Milano una partita sui contenuti di governo e non identitaria. Non immigrazione, ma economia. Non sicurezza, ma riforma fiscale. C’è poi una riflessione che si sta facendo strada nei corridoi di via Bellerio, quasi un indovinello semplice semplice: che cosa unisce Puglia, Toscana, Liguria e Veneto? Il fatto che si va alla riconferma dell’uscente, che parte sempre e comunque avvantaggiato. E a Milano l’uscente è Beppe Sala, che seppur tra mille dubbi potrebbe verosimilmente essere ancora una volta il campione della sinistra. Come sconfiggerlo? Su quale terreno dare battaglia? Senza dimenticarsi di Forza Italia, che con il consigliere Alessandro De Chirico fa un faticoso tentativo di risollevarsi: “Il candidato decidiamolo con le primarie”. Vien difficile crederlo, visto che quando gli azzurri erano maggioranza non è mai avvenuto, ma al tentativo va l’onore delle armi. Una cosa è certa, per il centrodestra: anche in questo quinquennio non si potrà prescindere da Arcore e dal baricentro del Cavaliere.

 

BEPPE SENZA BIVIO - Per Beppe Sala la vicenda è più semplice, quasi lapalissiana. Se avesse mai pensato – ma mai l’ha confermato, neppure agli intimi – di sentirsi pronto per un ruolo di governo, non è questo è il momento. Pare proprio che Mario Draghi non arriverà a breve, e a questo punto ci si chiede se mai arriverà, considerato che il treno Conte vede ormai il capolinea della legislatura senza fermate intermedie. Su Draghi si può ragionare per il Quirinale, se si vuole. Il più grande potere dello Stato, con il quale Sala ha una interlocuzione aperta e costante. Giuseppe Conte, in secondo luogo, difficilmente varerà rimpasti. Perché mai dovrebbe agitare le acque dopo il riuscito effetto Xanax di regionali e referendum? Rivedere i ruoli sarebbe aprire il vaso di Pandora e l’assunzione di un rischio, l’unico peccato davvero mortale per un notabile neo democristiano come l’avvocato pugliese. Quindi, la Capitale pare preclusa a Sala. C’è Milano, però. E non è poca cosa, ma bisogna convincersene. Dovrà decidere se vuole provare un altro giro, magari rinfrancato dal modello Veneto: dove si governa bene, il popolo non cambia. Il resto sono scelte di vita. Ma la politica si ferma fuori dall’uscio di casa.

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