(foto Ansa)

GranMilano

Provaci ancora, Brera

Paola Bulbarelli

“Libertà è partecipazione”. Nasce Brera Plus, la card abbonamento per un museo (anche web) tutto diverso

Con il gilet turchese si è presentato per raccontare le novità, intuibili già dal claim prescelto, “Libertà è partecipazione”, un prestito da Giorgio Gaber per “un bimbo dell’Illuminismo e degli anni Sessanta”, come si è definito chiacchierando a lato dell’incontro James Bradburne, il poliedrico direttore di Brera che Milano ama di creativo amore. Idee nuove, ma anche certi concetti suggeriti dall’amico Philippe Daverio, che qui a Brera pochi giorni fa è stato salutato dai milanesi, e di cui si sente parecchio la mancanza. Serve un museo nuovo per un mondo nuovo, “perché tutto è cambiato, guardiamo Brera e il suo futuro post Covid”.

 

L’anno è stato horribilis, con Brera rimasta chiusa dal 23 febbraio al 9 giugno. “Il bilancio reale è di 14 milioni, 8-9 vanno al personale, 180 persone. Nel bilancio preventivo avevamo previsto 2 milioni e 500 mila euro di ricavo dai visitatori e siamo a meno di centomila, già questo dà un’idea della grandezza del problema. Siamo vicini a una perdita di 3 milioni di euro”. Serve un’idea forte. E Brera ce l’ha. Il punto di partenza è la realtà: essere un un museo è una cosa, ma ci sono esperienze online che non sono possibili nel museo. E i numeri parlano chiaro: da tremila accessi al giorno a 300 mila, grazie alla rete. Nasce così “Brera Plus”, l’insieme dei contenuti che Brera offrirà per valorizzare le sue collezioni online, un plus rispetto all’esperienza fisica. Nella pratica, il biglietto sostituito da un abbonamento, che però sarà gratis fino al 31 dicembre, che consentirà l’ingresso, o più ingressi, alla Pinacoteca ma anche ai contenuti digitali di Brera Plus. Una sorta di modello Netflix applicato a un museo, in modo che anche chi è lontano possa avere l’interesse e la possibilità digitale di “entrare” a Brera. “E’ un esperimento davvero eccezionale. Nessun altro museo è partito con una iniziativa del genere. Ci siamo chiesti: come possiamo offrire online l’esperienza che mancava quando siamo stati chiusi?”. Significa guardare al museo da una prospettiva diversa, dice con entusiasmo Bradburne. “Uno dei punti più deboli dell’esperienza del museo in presenza era sempre l’accoglienza, e non perché non abbiamo persone ben formate. La prenotazione obbligatoria ci permette ora di intercettare chi vuole visitare Brera. E con Brera Plus posso scegliere le opere e chi me le spiega. e in più, chi vive a New York o in Cina, senza venire a Milano, può usufruire di Brera Plus. Vedo un aumento già iniziato già con la Brera Card”. Una sperimentazione, non soltanto una esigenza dettata dall’emergenza. “Questo è il frutto del mio lavoro in tutti i musei dove sono stato. In questi progetti incontri persone che ti dicono ‘no’, e questa è una parola che odio. Io non dico mai ‘no’. Volevo avere il potere di dire sì per poter fare. Quello che ho proposto ora è il frutto di trent’anni di lavoro dedicato a diversi problemi, dal turismo all’autonomia del museo”.

 

Una parte di questo lavoro è stato ed è anche recuperare la memoria dei grandi direttori di Brera, ci tiene a sottolineare il direttore. “Io non sono la voce di Brera. La sua voce ha duecento anni. Brera è stata fondata nell’Illuminismo, con la Rivoluzione francese, ma aveva bisogno di essere riscoperta. Iniziando da Franco Russoli, da Fernanda Wittgens, da Ettore Modigliani, dalla loro grande visione”. Così parte per la nuova stagione la scommessa di una Brera più grande, anzi accessibile a tutti con i suoi contenuti digitali. Nonostante il Covid. Pensa che i milanesi si sentano lontani da Brera?, gli chiediamo. “Questa era la situazione quando sono arrivato. Il 21 gennaio 2016 ho annunciato il programma dei miei primi cento giorni, trasformare il museo in due punti fondamentali: rimettere Brera nel cuore della città e rimettere l’utente nel cuore del museo. E includo anche la Biblioteca Braidense. Quello che ho percepito quando sono arrivato era un grande distacco di Brera dalla città, considerato un luogo in degrado, con gli studenti sdraiati per terra, la lotta tra l’Accademia e la Pinacoteca. L’autonomia ha permesso di rimettere Brera nella sua città e che le decisioni fossero prese qui. Ho cominciato con il riallestimento. Ma la riforma non è stata ancora completata, manca l’autonomia sulle risorse umane. Non possiamo assumere, non possiamo licenziare, non possiamo mettere le persone giuste al posto giusto. Senza questo, siamo zoppi”. Ma innanzitutto a un grande museo servono le idee, la consapevolezza della propria missione: “E’ paradossale che un anglo-canadese abbia ridato memoria a Fernanda Wittgens, dimenticatissima! Sto lavorando su Corrado Ricci, direttore di Brera prima di Modigliani, uno che ha scritto il primo libro sull’arte per bambini nel 1887”. Cosa distingue Brera dagli altri musei? “La grande differenza è il suo valore illuministico. Altri musei hanno altri passati, penso agli Uffizi, ma non hanno la forza di un museo complesso creato per esprimere le idee rivoluzionarie dell’educazione popolare. Napoleone è venuto come il più giovane generale dell’esercito francese ed è venuto con l’idea di Brera come il Louvre d’Italia, ha creato tre accademie con la loro collezione al servizio dei giovani artisti contemporanei. Questa visione del museo reso accessibile a tutti nella maniera migliore è inzuppata nei suoi valori illuministici: apertura, tolleranza, cooperazione, libertà di pensiero. Libertà è partecipazione”

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