La copertina del Foglio Review raccontata da Camilla Falsini

Gaia Montanaro

L'illustratrice che l'ha disegnata ci presenta "Estate", la cover del nuovo numero del magazine del Foglio. "Uso le forme come fossero concetti, o parole di un discorso, o lettere"

“Accostare, comporre e scomporre forme visive. Per me disegnare è questo”. Le illustrazioni di Camilla Falsini sono un’esplosione di forme e colori che danno vita ogni volta a un contenuto diverso. Contrasti spesso sorprendenti che restituiscono con la loro semplicità e immediatezza un sentire, una percezione delle cose.

  

Abbiamo chiesto a Camilla Falsini di raccontarci dell’illustrazione della Review e di un’estate all’insegna di luce e colori.

   

Qual è stato il processo creativo che l’ha portata a illustrare la cover del Foglio Review, “Estate”?

La copertina è scaturita da una delle parole usate per descrivermi il contenuto del numero “Estate”: “patchwork”. Si tratta di un numero particolarmente ricco di contenuti diversi, anche per il tono: da temi più seri come le recenti leggi antiaborto negli Stati Uniti, a racconti leggeri, estivi, legati alle vacanze e al relax. La chiave per riuscire a contenere in una sola immagine elementi così diversi era raccordarli in una composizione armonica, trattandoli allo stesso modo, cercando di avere una chiave comune, colorata e immediata, anche se i temi erano così in contrasto tra loro.

 

Mi divertiva anche l’idea di intervenire sulla testata, così ho fatto volare un piccolo aereo (rimando a un racconto sui voli low-cost) tra le lettere e ho sostituito il pallino della “i” con un sole giallo, il sole che splende costante su questa estate senza pioggia.

   

Nelle sue illustrazioni, la scelta compositiva e quella cromatica vanno di pari passo o c’è una “gerarchia”?

L’aspetto cromatico è fondamentale. Però la gerarchia cambia da lavoro a lavoro. In questo caso ho prima realizzato una bozza abbastanza accurata ma monocromatica.

 
Sono poi partita dal giallo del sole e a quello ho aggiunto una palette non ricchissima ma di colori forti e a contrasto, che è un po’ la mia costante. Amo i colori primari, rossi, verdi, gialli, blu e la loro forza. È difficile per me non usarli. A volte, ancora prima di avere chiaro il contenuto di una illustrazione, ho in mente quali colori vorrei usare. Altre volte, invece, faccio prove infinite, anche molto diverse tra loro, finché non trovo l’accordo cromatico che mi convince.

   

Lei ha lavorato spesso bell’ambito della street art. C’è un approccio creativo differente quando si lavora su formati medio-grandi?

Sì. Sia perché un’immagine grande come un palazzo per forza di cose viene composta in maniera diversa sia perché una parete dipinta si impone alla vista di tutti e quindi in un certo senso ha piùù “responsabilità”. Inoltre si tratta proprio di due approcci diversi; nel caso di immagini create per l’editoria o per la pubblicità - ad esempio - si parte da un contenuto da illustrare (a cui dare la propria interpretazione, ovviamente, ma comunque partendo da un testo, da un oggetto, da una storia o da uno slogan di una campagna). Un muro, perfino quando viene commissionato magari da un’azienda, è un’opera che deve riuscire a parlare anche a chi lo vede senza sapere da cosa sia nato e inoltre spesso resta molto visibile per anni. Non è mai “pubblicitario” in senso stretto. Sono quindi approcci molto diversi nel creare un’immagine.

 

Nella sua ricerca artistica – esclusi i lavori su commissione – ci sono dei temi che le stanno particolarmente a cuore trattare?

Amo usare le forme come fossero concetti, o parole di un discorso, o lettere. Le lettere sono in fondo pochissime ma possono combinarsi creando milioni di parole.

  
Ad esempio, se devo parlare di diversità, utilizzo poche forme semplici per dare vita a composizioni diversissime tra loro. Ho da poco dipinto alcuni muri in una scuola in Emilia e dovevo parlare di stereotipi di genere: ho creato, usando forme geometriche, una serie di creature bizzarre, molto diverse tra loro, inaspettate, tanto che i bambini della scuola non riuscivano a collocarle in immagini precostituite. Ma mentre gli adulti spesso non andavano oltre, i più piccoli non restavano bloccati da questo spaesamento. Al contrario, le loro interpretazioni di ogni creatura (o pianta) erano fantasiose e imprevedibili. In passato ho dipinto muri - il cui tema era il viaggio - in cui ho rappresentato questo aspetto come un processo di metamorfosi di forma e colore che alcuni poligoni subivano nel passaggio aereo tra due personaggi, oppure il dialogo come una forma complessa sospesa tra due creature... Questo ridurre la complessità a moduli, che poi possono ricomporsi dando vita e mille forme diverse, è sicuramente collegato al mio interesse per l’evoluzione delle specie, soprattutto intesa come connessione forte di tutto l’esistente, che si è diversificato, ma partendo da una base comune, reagendo ad ambienti e necessità diverse. E questa base comune è lampante e visibile, pur nelle differenze a volte estreme tra forme di vita. Lo stesso processo lo vedo nello sviluppo delle lingue. Mi affascina trovare parole che si somigliano in lingue diverse, spesso mi ritrovo a cercare l’etimologia di una parola misteriosa oppure a scomporre le parole che usiamo ogni giorno ritrovandoci termini del greco antico. Ovviamente mi riferisco a lingue che hanno una stessa radice anche se lontana nel tempo.

 

Accostare, comporre e scomporre forme visive, per me disegnare è questo. Utilizzare queste forme in modo modulare, vedendo come possono cambiare significato a seconda del loro posto in una immagine, penso derivi proprio da questo mio cercare la base comune di forme viventi o di parole.

 

 

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