La copertina del nuovo numero del Foglio Review, raccontata dal suo autore, Giorgio Carpinteri

Gaia Montanaro

"È un’immagine in split screen. Da una parte il conflitto e la distruzione dall’altra un parco cittadino dove un uomo corre per tenersi in forma. La guerra è uno sconfinamento, riguarda anche la nostra parte"

Giorgio Carpinteri ha dentro di sé tanti mondi. Dal fumetto alle illustrazioni, passando per i lavori come autore televisivo e pubblicitario, fino al ruolo di art director, ha attraversato la scena artistica degli ultimi decenni con compagni d’avventura d’eccezione e sempre in ricerca del nuovo. L’arte è il suo strumento, ciò che utilizza per capire cosa pensa del mondo, di ciò che gli accade attorno e dentro. È un’occasione per restituire attraverso la sua sensibilità uno sguardo sulle cose.

 

Carpinteri ha illustrato la copertina del sesto numero del Foglio Review, la rivista mensile del Foglio che trovate da sabato 26 marzo in edicola assieme al quotidiano.

 

Gli abbiamo chiesto di raccontarci dell’illustrazione per la Review e di come si fa a racchiudere il mondo in un’immagine.

 

Qual è stato il processo creativo che l’ha portata a illustrare la cover del Foglio Review, “Sconvolgimento”?

Per realizzare la cover si parte dal disegno che è prima di tutto ricerca di una sintesi, più o meno felice. Tutto nasce da una visione che viene sintetizzata in un’immagine. L’innesco iniziale è quindi poco pensato, arriva come per illuminazione e ci si lascia guidare dalla voglia di creare un’immagine significativa. Il tema che mi è stato proposto mi ha suscitato una domanda: “cosa provo di fronte alla guerra in Ucraina?”. La sensazione dominate per me è quella di sentirmi vicino e distante allo stesso tempo. E l’immagine che sintetizza in modo estremo questo concetto è lo schermo televisivo. Essere dietro un vetro che ci separa da quell’immagine, un diaframma sottile attraverso il quale possiamo vedere le persone che corrono per salvarsi dalle bombe. Una sorta di “qui e là”, separati e allo stesso tempi tenuti insieme grazie all’informazione. Sono due realtà parallele che si toccano e si guardano, dolorosamente. È un’immagine in split screen, da una parte c’è la guerra, l’atmosfera satura dal fumo delle bombe, dal coprifuoco e dalla desolazione; dall’altra c’è la luce che irradia un parco cittadino dove un uomo corre per tenersi in forma. Sono giustapposte le sensazioni del sentirsi in una situazione di normalità e il fatto che a un passo da te questa normalità non esista più. Un dolore enorme che è allo stesso tempo vicino e lontano. È un’immagine che nasconde infondo, anche tramite l’ironia, una sorta di senso di colpa, di disagio. E poi c’è quell’uomo al centro. Ho ragionato molto sulla figura del cecchino, del soldato che è un po’ a metà strada, punta il fucile verso la parte in guerra ma ha anche una spalla nella nostra area, quella solare. Ho voluto tenere il fuoco sull’immagine di un uomo - minaccioso e in guerra - che sconfina. Perché la guerra è uno sconfinamento, riguarda anche la nostra parte.

 

L’illustrazione come diceva è una forma di sintesi. Data anche la sua ampia esperienza con il linguaggio del fumetto, si è immaginato un prima e un dopo di questa immagine, una storia che sta dietro a quest’uomo che imbraccia il fucile?

Il fumetto per me è sempre stato il mio giocattolo. L’ho frequentato molto negli anni Ottanta, poi mi sono dedicato più ad altro ma per me è sempre rimasto un mezzo di comunicazione libero, utilizzabile per raccontare storie di diversa lunghezza. Il lessico lo puoi inventare tu all’interno del linguaggio fumettistico. È molto fluido, libero, duttile e adattabile alle tue esigenze e convinzioni. È ciò che più mi diverte perché è libero. Partendo da questo retaggio, per me un’immagine contiene sempre delle storie, anche la più astratta ha la possibilità di accendere in chi la guarda una domanda, una fame di un prima e di un dopo di quel fermo immagine. Qualsiasi immagine, che lo si voglia o no, fa parte di una storia, afferra ciò che lo spettatore ha dentro.

 

E la graphic novel è l’esempio di questa dinamica, in potenza.

La graphic novel è l’evoluzione del fumetto, una narrazione lunga (anche centinaia di pagine). Personalmente, sto lavorando e mi sento più vicino a ciò che chiamo “telegraphic novel”, un tipo di fumetto dove ogni graphic novel è lunga una pagina, è autoconclusiva, dove ogni immagine è una storia a sé stante. Secondo questo principio, ogni copertina è una telegraphic novel che contiene al suo interno una narrazione più complessa e stratificata. Chi l’ha detto che bisogna fare una storia che è lunga tante pagine? Ognuno guarda sé e io mi trovo bene nell’idea di utilizzare immagini singole, che abbiano la possibilità di contenere un racconto, un mondo intero. Creo un universo narrativo fatto di tante singole immagini che hanno a che fare con la mia sensibilità, passano attraverso il mio filtro interpretativo della realtà. Raccontano il mio pensiero, anche minimale. Sono tasselli senza un confine.

  

Nel suo percorso professionale, lei ha utilizzato tanti strumenti diversi (fumetto, illustrazione, scenografie etc). Quali sono le differenze nella potenzialità di racconto?

Sono partito facendo fumetti che sono rappresentazione visiva e parola. Arrivato in tv, ho lavorato come autore di format, poi anche in pubblicità. Ogni specifico strumento ha una serie di regole che però tutte rimandano al “cosa si vede e cosa si dice”. Sono queste le due domande di partenza – la stessa matrice del fumetto. Cosa dice il personaggio e cosa c’è in scena. Io ho semplicemente cercato di declinare il mio mondo all’interno di vari media ma facendo tesoro che ciò da cui partivo era la passione di mettere in scena qualcosa visivamente ma anche con un contenuto da raccontare. Tentare sempre di dire qualcosa, di mostrare un contenuto emotivo da far esplodere. Faccio mia un’espressione usata da Roman Polanski in un’intervista in cui gli chiesero: “Qual è il film più bello che hai fatto?” e Polanski rispose: “Il film più bello è quello che mi ha richiesto il minor numero di compromessi”. Tutto è sempre compromesso rispetto agli strumenti che hai. Sono campi di battaglia in cui puoi esprimere, affinare e trasferire il tuo pensiero. Andare più a fondo.

  

L’illustrazione però è di per sé un compromesso perché parte dall’innesco di un committente.

Il grande compromesso per un illustratore è infatti quello di accettare il tema. Per la cover della Review non è stato facile perché il tema mi sta così tanto a cuore che avevo quasi delle titubanze nell’avvicinarmene. Era doloroso provare a metterlo in scena. Ma è stata una grande occasione perché mi ha permesso di mettere a fuoco il mio pensiero su quanto sta accadendo, di dare la mia visione delle cose. Più il tema ti sta a cuore più l’illustrazione diventa un’occasione per andarci a fondo. Per scoprire come guardarlo e raccontarlo.

  

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