Dietro la copertina del Foglio Review con Manuele Fior

Gaia Montanaro

Intervista all'illustratore del prossimo numero della rivista mensile del Foglio, che torna in edicola da venerdì 24 dicembre

Manuele Fior, illustratore e fumettista, ferma sulla pagina storie che contengono piccoli spaccati del mondo. Artista eclettico e viaggiatore, racconta tramite il disegno – nelle sue diverse declinazioni - ciò che vede accadere dentro e fuori da sé. Una realtà varia fatta di incontri, di volti e luoghi. Immaginari possibili che diventano disegno, racconto, arte. Fior ha illustrato la copertina del terzo numero del Foglio Review, la rivista mensile del Foglio che trovate da venerdì 24 dicembre in edicola assieme al quotidiano.

 

Gli abbiamo chiesto di raccontarci dell’illustrazione per la Review e dei diversi linguaggi che utilizza per raccontare il Mondo.

  

Qual è stato il processo creativo che l’ha portata a illustrare la cover del Foglio Review, “Incontro”?

Attraverso un lavoro di confronto con l’art director, siamo partiti da due direzioni possibili: la prima era più incentrata sull’aspetto professionale e aveva a tema un rincontro in un luogo di lavoro dopo un lungo periodo di attività da remoto. L’altra direzione invece seguiva una direttrice molto più personale e declinava l’incontro in un contesto famigliare. Portava a riflettere e illustrare l’incontro di generazioni diverse che per lungo tempo non hanno potuto ritrovarsi (in particolare i nonni e i bambini). E, visti i giorni che stiamo attraversando, questa seconda via scelta spero possa essere di buon auspicio.

    

Che cosa raccontano i personaggi raffigurati in copertina? Che cosa significa per loro incontrarsi?

Avendo abitato fino all’anno scorso lontano dalla mia famiglia, ho avuto poche occasioni di incontro reale. Ho voluto mettere in scena un incontro simile a quelli di cui ho fatto esperienza, quando vedevo i miei famigliari non più di una o due volte l’anno. Volevo che risultasse un incontro poco rituale, qualcosa che avesse un valore particolare, in cui si ritrovano bambini cresciuti e adulti invecchiati. Questa cover ha quindi un tratto personale per me, al punto che quell’entrata di casa è simile a quella dei miei genitori.

   

Il suo lavoro l’ha spesso portata a viaggiare: in che modo l’hanno influenzata i luoghi in cui ha vissuto l’umanità che ha incontrato?

Direi in modo totale. Da quando avevo vent’anni in poi ho vissuto in giro per l’Europa, dalla Francia, alla Germania all’Egitto. E tutti i posti in cui ho vissuto sono stati per me tante vite diverse. Paesi dove si parla una lingua che appartiene a quel luogo e dove si incontrano persone che ho conosciuto lì e poi non ho più rincontrato. Mi sembrano davvero vite diverse che ho vissuto e che alternativamente tornano in superficie, soprattutto nelle mie storie e nei fumetti. Proprio tramite i fumetti ho cercato di capire che cosa è successo all’Italia nei lunghi periodi in cui ho vissuto altrove, come fosse mutata la percezione dell’Europa e cosa era capitato a me e alla mia generazione. Tutte queste esperienze sono state e continuano ad essere come un enorme serbatoio a cui attingo quando devo fare copertine, disegni o quando devo realizzare le mie storie. Ho a disposizione tutti questi contesti, questi immaginari a cui guardare.

 

La sua è una formazione eclettica (prima come architetto, poi illustratore e fumettista): questa diversità di linguaggi e di approcci al raccontare immagino attivino delle istanze diverse in lei. Esistono però degli elementi comuni che fanno da fil rouge nel suo lavoro?

Il fil rouge è il disegno che non è per me solo un linguaggio ma una maniera di vedere e cercare di capire il mondo. Qualcuno lo fa con la telecamera o un block notes, altri con la leggi della fisica, io attraverso i disegni. Solo disegnando quello che vedo riesco ad appropriamene e tentare di farmi una ragione di ciò che accade sulla Terra.

I miei lavori servono per affinare questa visione, per avere uno strumento in più per raccontare e capire il Mondo, in modo sempre più preciso. Come diceva Andrea Pazienza, quello che cerco è di “annullare il più possibile la distanza tra me e il disegno”, fare in modo che il disegno sia istintivo, che avvenga quasi senza riflettere. Che diventi una capacità di esprimersi senza quasi pensarci. Tutti i miei lavori – siano essi illustrazioni o fumetti - concorrono a questo fine.

 

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