Un mondo senza Israele

Giulio Meotti

“Gli ebrei sono stati espulsi da tutto il medio oriente. Ora l’islam politico cerca di scacciarli anche da Israele, con l’aiuto dell’Unesco e dell’Europa silente”. Vogliono fargli fare la fine di Palmira. Inchiesta sulla grande opa della mezzaluna. “E’ in corso l’islamizzazione della cultura occidentale”

Nel 1929 un gruppo di archeologi inglesi fece una scoperta sensazionale: il diluvio descritto nella Bibbia era una catastrofe culturale che aveva sconvolto l’attuale Iraq. Gli archeologi rinvennero una sorta di strato di terra pulita fra due di straordinari reperti archeologici. Due differenti presenze umane erano state divise da quella terra vergine. Era come una spaccatura nella civiltà. Ninive, la capitale della civiltà mesopotamica, era stata ridotta in macerie da babilonesi e persiani. Se quegli archeologi visitassero oggi l’Iraq, scoprirebbe un altro stato di terra gettata sopra alcuni dei più antichi culti a Ninive. Una guerra ai figli di Abramo, di Gesù, di Zarathustra e di Gilgamesh.  Lo Spectator parla della “terra degli dèi perduti”. Come ha detto Louis Sako, a capo della più grande congregazione cattolica irachena, “questo non era mai successo nella storia. Neppure Gengis Khan arrivò a tanto”. Non solo i cristiani e gli yazidi sono stati uccisi e scacciati. Tutti i più antichi culti non islamici del medio oriente sono minacciati di estinzione: i kakai, i sincretisti noti per i loro baffoni rituali che gli islamisti considerano “blasfemi”; gli shabak, i cui antenati erano adoratori del fuoco; gli alawiti e i drusi, la cui tradizione è ancorata nella filosofia greca; i mandei, gli ultimi gnostici, gli eredi dei nestoriani e dei giacobiti; gli zoroastriani e i sabei, i figli delle civiltà sudarabiche e della regina di Saba. Di fronte a questa impresa senza precedenti, qual è la preoccupazione dell’Unesco, dedita alla preservazione dei siti patrimonio dell’umanità, che ha fatto della cultura occidentale e dei suoi riferimenti storici e politici l’anima dell’organizzazione delle Nazioni Unite per la scienza, la cultura e l’educazione? Cancellare la storia dell’unico paese, fra Rabat e Rawalpindi, dove chiese, moschee e sinagoghe sono protette e piene di fedeli. Israele, dove il 24 per cento della popolazione è non ebreo (1,8 milioni di persone). Dove gli stessi palestinesi spiccano fra gli arabi più fortunati del medio oriente. Dove il terrorismo islamico usa i luoghi santi per attaccare Israele, come è successo venerdì a Gerusalemme sulla Spianata delle Moschee, dove due poliziotti israeliani sono rimasti uccisi in un attentato senza precedenti. L’Unesco sta cercando di cancellare la storia di un popolo il cui testo sacro, la Bibbia, rimane anche il libro più attendibile per chi visita le città dissepolte fra il Tigri e l’Eufrate, Ur dei Caldei, Babilonia e Ninive, di cui “si dimenticherà anche il nome”. Una sterminata distesa desertica e, in quel giallo allucinante, un solo punto di riferimento, la ziggurat, la torre sacra comune a tutte le città mesopotamiche, distrutta dall’Isis nella sua furia iconoclastica. A sud di Israele, c’è l’apartheid dell’Arabia Saudita wahabita, che ha distrutto tante tombe islamiche e separa musulmani e non musulmani; nel nord-ovest, i domini dello Stato islamico e la devastazione della guerra siriana; a est l’Iraq e l’Iran, terre di persecuzione. L’Unesco avrebbe potuto parlare con i drusi (un decimo della popolazione mondiale vive in Israele), con i beduini, con i musulmani della moschea Ahmadi di Haifa, con i Bahai che hanno in Israele la sede del loro movimento religioso perseguitato dal regime iraniano e con tutte le altre minoranze religiose israeliane. Eppure, è a questo piccolo stato, pegno della cultura occidentale in una terra che la sta espiantando, come le tombe dei profeti biblici Daniele, Giona e Seth distrutte dall’Isis, che l’agenzia della cultura dell’Onu ha dichiarato guerra.

 

L’Isis ha raso al suolo
le tombe dei profeti ebrei a Mosul. L’Unesco ha sradicato la storia dei patriarchi ebrei in Israele

A ottobre, l’Unesco ha cancellato la storia ebraica di Gerusalemme, regalando all’islam e ai palestinesi il Muro del pianto. La scorsa settimana, a Cracovia, in una risoluzione voluta da Libano, Kuwait e Tunisia, l’Unesco ha islamizzato poi la tomba di Hebron, dove riposano i patriarchi della Bibbia. Un anno fa, a meno di una settimana dall’inaugurazione, l’Unesco aveva cancellato una mostra che documenta i 3.500 anni di legami ebraici con la Terra d’Israele. Due anni prima, l’Unesco aveva inserito “con urgenza” la Basilica della Natività di Betlemme, luogo sacro per i cristiani, fra i siti a rischio. Ma la stessa “urgenza” non venne dimostrata dall’Unesco quando la chiesa venne profanata da terroristi palestinesi nel 2002. Allora, solo silenzio. Come quando i palestinesi distrussero il terzo luogo santo dell’ebraismo, la tomba di Giuseppe a Nablus.

 

“L’Unesco è diventato Ionesco”, dice al Foglio Ruth Wisse, accademica a Harvard e massima studiosa al mondo di yiddish. “E’ una caricatura di se stessa. Questo teatro dell’assurdo dimostra soltanto quanto sia importante preservare la storia ebraica”. All’Unesco-Ionesco la settimana scorsa l’ambasciatore tedesco, Stefan Krawielicki, ha osservato un “minuto di silenzio” per le vittime palestinesi chiesto dalla delegazione cubana dopo quello ufficiale per le vittime ebree della Shoah. Shimon Samuels, direttore internazionale del Centro Wiesenthal presente a Cracovia, ha scritto ad Angela Merkel: “Collegare l’Olocausto alle cosiddette ‘vittime palestinesi’ è una forma di revisionismo illegale in Germania”. Succede all’Unesco, il palazzo dell’incultura. Nelle stesse ore da Parigi, sede dell’Unesco, duecento ebrei facevano le valigie per andare a vivere in Israele. A causa dell’antisemitismo.

 

Mentre in Polonia, tomba dell’ebraismo, si attaccava Israele, 200 ebrei francesi partivano per Tel Aviv a causa dell’antisemitismo

“L’Onu, l’Unesco, il Consiglio di Ginevra, questi combattono Israele da quando è diventato un paese forte, avanzato e supermoderno”, dice al Foglio Noah Klieger, veterano del giornalismo israeliano e reduce dei campi di concentramento nazisti, insignito della Legione d’onore da François Hollande. “Molti di loro hanno abbracciato l’islam. Ma noi israeliani sopravviveremo”.

 

La Tomba dei Patriarchi a Hebron meritava l’inclusione nella lista dell’Unesco. Con migliaia di anni di storia, è il luogo di sepoltura di Abramo, Isacco, Giacobbe, Sara, Rebecca e Lea della Bibbia. Includendola tra i siti patrimonio dell’umanità, l’Unesco ha trattato Hebron come alcune zone di Città del Messico o il centro storico di Cordoba presenti nella stessa lista. Tuttavia, l’Unesco nota che “nel Tredicesimo secolo, sotto Ferdinando III il Santo, la Grande Moschea di Cordoba è stata trasformata in una cattedrale”. A Città del Messico non c’è alcun tentativo di negare l’eredità azteca. A Hebron e Gerusalemme, invece, l’Onu ha eliminato la storia ebraica, come se la tomba o il Muro del pianto non fossero stati costruiti in origine come luoghi ebraici, migliaia di anni prima dell’avvento dell’islam. L’Autorità palestinese ha sfruttato l’Unesco per dichiarare tutti i suoi siti “in pericolo”, come altri in Libia, Mali, Iraq, Congo, Siria e Yemen. Come l’Isis che ha demolito Hatra e ha fatto saltare parti di Palmira.

 

“Il ‘segreto opprimente’ della Shoah, col suo senso di colpa, negli europei genera aggressività contro lo stato ebraico”, dice al Foglio il grande storico Bensoussan

“Le recenti risoluzioni assunte dall’Unesco su Gerusalemme e su Hebron si iscrivono in un lungo filone di degiudaizzazione della storia ebraica ”, dice al Foglio il grande storico francese di origini marocchine  Georges Bensoussan, direttore  editoriale del Mémoral de la Shoah di Parigi e autore in Italia di una “Storia del sionismo” (Einaudi) e della “Storia della Shoah” (Giuntina). “Era già vero, ad esempio, nel corso della Seconda guerra mondiale, quando Mosca rifiutava di nominare la nazionalità ebraica delle vittime. Una cancellazione che si perpetuerà e si estenderà al di là dell’Unione sovietica, in tutte le nazioni che le saranno sottomesse all’inizio della Guerra fredda. Sarà il caso, in particolare, della Polonia, epicentro del genocidio quando, nel mese di aprile del 1967, in occasione dell’inaugurazione del monumento internazionale ad Auschwitz, alla fine del suo discorso il primo ministro polacco non pronunciò una sola volta la parola ebreo. Eppure si sapeva già che il 90 per cento delle vittime di Auschwitz erano ebree. Questa cancellazione del segno ebraico ha, tuttavia, delle radici più antiche. Nel mondo cristiano come nel mondo musulmano, il giudaismo è il segno dell’origine ed è appunto questa origine e questa discendenza che genera il problema. Si parlerà, nel cristianesimo, di una sostituzione di Israele secondo la carne con Israele secondo lo spirito (verus Israel) e la cancellazione del segno ebraico marchierà il cristianesimo con continuità fin dai primi secoli. Oggi fa parte della matrice culturale dell’occidente, al di là del processo di secolarizzazione degli ultimi tre secoli. In questa negazione della legittimità ebraica sulla sua storia e sulla sua terra c’è tuttavia un’altra radice, quella della colpevolezza legata alla Shoah, che si è riversata in aggressività. Se ne vuole a colui che vi ricorda ciò che Vladimir Jankélévitch chiamava il ‘segreto opprimente’. Questa colpevolezza nata dal crimine induce un astio anti-israeliano che prende di mira l’esistenza stessa dello Stato ebraico, al di là di questa o di quella sua politica. Con, alla base, questo refrain che vuole vedere nelle vittime di ieri i nazisti di oggi. Propositi insulsi sul piano storico ma importanti perché svelano un certo sottofondo mentale e intellettuale”.

 

Intanto, la metà degli ebrei francesi intende lasciare la Francia. Uno studio dell’Università di Oslo pubblicato a giugno è una delle relazioni più metodologicamente complete che esplorano la crescita dell’antisemitismo europeo. Nel 2015, 10 mila ebrei dell’Europa occidentale sono partiti per farsi una nuova vita in Israele, “il più grande numero ad aver lasciato l’Europa dal 1948”. “L’Unesco ha attaccato gli ebrei come nazione, ripudiando la storia ebraica e delegittimando qualsiasi presenza ebraica su questa terra”, dice al Foglio Josef Olmert, docente alla South Carolina University e fratello dell’ex primo ministro israeliano. “Ma dimostra anche che il problema non è la politica israeliana, non sono gli insediamenti, ma la stessa esistenza dello Stato ebraico. Queste risoluzioni sono un passo verso l’islamizzazione e tutti conosciamo le conseguenze dell’appeasement. Può l’Onu decidere che la Mecca non è islamica? O che il Vaticano non è cattolico? L’antisemitismo viola tutte le regole quando si tratta di ebrei”.

 

“Queste risoluzioni riflettono l’influenza crescente della Organizzazione della conferenza islamica all’Onu, ma sono anche un passo significativo verso l’islamizzazione di tutto il medio oriente”, dice al Foglio Nina Shea, direttrice dell’Hudson Institute’s Center for Religious Freedom, una delle massime esperte e studiose di libertà religiosa negli Stati Uniti. “Gli ebrei sono stati espulsi dal resto del medio oriente e ora si fanno sforzi per cacciarli da Gerusalemme e Israele. Anche i cristiani sono spogliati dal medio oriente musulmano, paese dopo paese. E poi i mandei, gli yazidi, gli zoroastriani, i bahai sono tutti eliminati da questa regione che un tempo era un mosaico culturale”. Non è un caso che l’Unesco abbia dichiarato guerra alla storia di Israele, uno dei pochi stati nazionali realmente radicati nella storia, con alle spalle una tradizione millenaria.

 

 “Queste risoluzioni sono un passo verso l’islamizzazione e tutti conosciamo le conseguenze dell’appeasement. Può l’Onu decidere che la Mecca non è islamica? O che il Vaticano non è cattolico? L’antisemitismo viola tutte le regole quando si tratta di ebrei”

Fra i primi nella comunità accademica a scagliarsi contro il voto dell’Unesco è il giurista che insegna alla Northwestern University, Eugene Kontorovich, che al Foglio dice: “Questa risoluzione mostra la perversità dell’Unesco che ha scelto Cracovia, nota per essere una delle più grandi tombe di massa ebraiche in Europa, per negare la prima tomba ebraica della storia. Dove gli ebrei sono stati cancellati fisicamente, le nazioni del mondo li hanno cancellati dalla storia. Ciò dimostra che le agenzie delle Nazioni Unite sono facilmente manipolate dall’anti-scienza. Il fatto che alcune organizzazioni facciano anche bene non è un argomento rispettabile per la loro esistenza, non più del fascista che mandava i treni in orario. I paesi rispettabili dovrebbero tagliare i loro finanziamenti a queste organizzazioni o interromperli completamente. La pretesa europea di opporsi a queste risoluzioni astenendosi, consentendo di farle passare, è disprezzabile”. Israele, come annunciato dal premier Netanyahu, lo ha fatto.

 

“Queste risoluzioni fanno parte di una campagna molto più grande per negare qualsiasi connessione ebraica alla terra di Israele”, dice al Foglio l’islamologo americano Daniel Pipes. “E significa che c’è un blocco musulmano gigantesco presso le Nazioni Unite”. “La città di Hebron è citata diverse volte nella Bibbia”, ricorda David Gelernter, informatico con cattedra a Yale e fra i maggiori intellettuali ebrei americani. “Quando ero bambino, la Grotta dei Patriarchi era in mani arabe e agli ebrei era vietato andarci. Era nota per il massacro del 1929, in cui circa 70 studenti, insegnanti e bambini ebrei furono uccisi dai terroristi arabi a sangue freddo. Il massacro del 1929 fu un impulso per la creazione delle forze di autodifesa ebraiche che costituiscono la base delle forze di difesa israeliane. Gli ebrei erano orgogliosi del loro ruolo nella creazione della religione occidentale e, con essa, della cultura occidentale. Gli ebrei erano felici di pensare che la Grotta fosse santa non solo per loro, ma anche per i musulmani, e che Gerusalemme fosse santa per tutte e tre le religioni. Ma quando l’Onu decide che la Grotta è un sito religioso islamico e non ebraico – come se avessero annunciato che Roma è un sito storico etrusco senza rapporti con gli antichi romani e con gli italiani, o che Venezia è un sito commerciale sviluppato dall’Austria – gli ebrei e gli israeliani dovrebbero sorridere e ignorarlo. Noi ignoriamo le minacce di qualsiasi altro psicotico o lunatico, ed è giusto ignorare anche l’Onu. Vorrei che Israele e gli Stati Uniti (e l’Europa) si dimettessero dall’Onu e riprovassero a creare una seria organizzazione internazionale che cerca di creare la pace invece di distruggerla e (tra le altre cose) di sopprimere l’odio ebraico anziché promuoverlo”.

 

Mai una protesta dell’Unesco contro la Turchia che sta reislamizzando Santa Sofia, la cattedrale della cristianità orientale. Intanto al quartier generale dell’Unesco a Parigi si presentano volumi sui “differenti aspetti della cultura islamica” e programmi su “come combattere l'islamofobia”

Nei prossimi mesi l’Unesco potrebbe subire una ulteriore islamizzazione. Il Centro Wiesenthal ad aprile ha denunciato la possibilità che un politico del Qatar, Hamad Bin Abdulaziz al Kawari, prenda il posto di Irina Bokova come direttore dell’Unesco. Su nove paesi candidati, Francia, Cina e Qatar sono i favoriti. Tuttavia, la Francia e la Cina si trovano ad affrontare un ostacolo nel fatto che funzionari europei e asiatici hanno guidato l’organizzazione. Parigi è anche l’ospite della sede dell’Unesco. “L’ex ministro della cultura del Qatar, al Kawari, non ha nascosto la sua capacità di trovare i fondi per risolvere la crisi dell’Unesco, dato che gli Stati Uniti hanno chiuso i finanziamenti a causa dell’ingresso palestinese nel 2011”, dice Shimon Samuels, direttore delle relazioni internazionali del Centro Wiesenthal. Samuels aveva scritto due volte ad al Kawari quando era ministro della Cultura sulla fiera del libro di Doha. “Quella fiera era piena di testi antisemiti”, ha detto Samuels.

 

Un rappresentante del mondo islamico ci riprova dopo la candidatura nel 2011 di Farouk Hosni, ex ministro della Cultura egiziano, che rispose così alla domanda di un deputato preoccupato del fatto che potessero essere introdotti libri israeliani nella gloriosa biblioteca d’Alessandria: “Bruciamo questi libri; magari li brucerò io stesso davanti a voi”. Lo stato più ricco del mondo pro capite, il Qatar, ha da tempo fornito un enorme sostegno finanziario e politico agli estremisti palestinesi, tra cui l’organizzazione terroristica Hamas. La Freedom House classifica il Qatar, dove prevale la legge islamica della sharia, come “non libero”. Il Qatar è anche uno dei focolai di estremismo islamico sunnita nella regione. Eppure, questo non ha impedito che acquisisse un ruolo di primo piano all’Unesco: in ottobre il Qatar è stato tra gli sponsor della risoluzione che negava la storia ebraica di Gerusalemme.

 

I voti contro Israele all’Unesco, per Bensoussan, “indicano una doppia pressione: interna all’agenzia dell’Onu da parte dei regimi islamici; in Europa da parte di una sempre più grande popolazione islamica ostile all’esistenza stessa di Israele.
E i governi europei ne subiscono la pressione”

Lo scorso maggio, la direttrice dell’Unesco, Irina Bokova, ha espresso apprezzamento per il sostegno del Qatar che aveva stanziato un finanziamento di due milioni di dollari come parte di un impegno da parte del primo ministro Abdullah bin Nasser bin Khalifa al Thani a donare dieci milioni di dollari all’Unesco. Sono cifre strategiche per l’agenzia dell’Onu per la cultura. I regimi islamici hanno da tempo lanciato un’opa sull’Unesco e sulla cultura che essa dovrebbe rappresentare. Bokova di recente ha elogiato la cooperazione dell’agenzia con il Qatar, nominando la seconda delle tre moglie dello sceicco qatariota al Thani, Sheikha Moza bint Nasser, “Unesco Special Envoy for Basic and Higher Education and Advocate for the Un Sustainable Development Goals”. Bokova ha poi incontrato la figlia di al Thani, Sheikha Hind bint Hamad al Thani, portavoce della Fondazione qatariota per la scienza e l’istruzione. Esperti di ventuno paesi si sono riuniti a Parigi, alla sede dell’Unesco, in un meeting finanziato dai sauditi e focalizzato su come “garantire che il contenuto rivolto agli studenti rifletta sistematicamente la diversità culturale e religiosa”. Pochi giorni dopo, il re saudita Abdallah Ibn Abdul Aziz al Saud ha donato venti milioni di dollari al Fondo di emergenza dell’Unesco. L’ambasciatore Ziad Aldrees ha dichiarato che “questo contributo non è il primo e non sarà l’ultimo dal regno saudita”. Bokova ha ringraziato vivamente il re dell’Arabia Saudita “per questo importante annuncio che è un segno di profondo impegno e di leadership fatta in un momento difficile per l’organizzazione”. Il fondo saudita copre, infatti, di quasi un terzo i contributi degli stati membri al fondo, che ha un valore di 58,5 milioni di dollari. “I libri di testo sauditi sono estremamente odiosi e pieni di xenofobia”, ha denunciato Ali al Ahmed, il dissidente saudita direttore del Gulf Institute di Washington. Ahmed ha detto che l’Unesco sta tradendo il suo mandato a difesa del “valore dell’istruzione e della tolleranza” mentre ha avvertito che l’agenzia dell’Onu è “suscettibile agli acquisti finanziari provenienti da paesi come l’Arabia Saudita”. Ahmed ha fornito esempi di ciò che i bambini sauditi apprendono in quei libri: “Aderire all’islam è l’unico modo per entrare nel paradiso e sfuggire all’inferno; si devono amare i musulmani e odiare i non credenti e non imitarli; esempi di false religioni includono l’ebraismo e il cristianesimo”. Brooke Goldstein, direttore del progetto Lawfare, un think tank giuridico con sede a New York, ha poi detto che “lavorando con l’Arabia Saudita l’Unesco non solo legittima il sistema di educazione all’odio del regno, ma promuove condizioni educative favorevoli alla diffusione del terrorismo”. Anche gli Emirati arabi uniti hanno stanziato quindici milioni di dollari all’Unesco, rinvigorito da un altro assegno di sei milioni nel novembre 2015 da parte di Hamdan bin Rashid al Maktoum, ministro delle Finanze degli Emirati. Le donazioni hanno conseguenze. Così, Irina Bokova ha nominato la città di Sharjah, negli Emirati, “capitale della cultura nel 2019”, sebbene non si capisce quale contributo questa città abbia dato alla cultura (un quarto delle edizioni di questo appuntamento annuale sono state organizzate dall’Unesco in capitali del mondo islamico). Non solo, ma l’Unesco ha anche istituito un “Premio Sharjah alla cultura araba”, che si assegna dal 1998. Ora, l’Unesco ha sei premi intitolati a personalità culturali. Due, un terzo, portano i nomi di filosofi e città del mondo islamico. Il Kuwait sostiene l’Unesco con cinque milioni di dollari, mentre il Marocco con uno e mezzo. L’Unesco ha stretto un patto di ferro con l’Isesco, una sorta di Unesco dell’islam, il cui direttore, Abdulaziz Othman Altwaijri, ha siglato un accordo con Flavia Schlegel, vice direttrice dell’Unesco. Al quartier generale dell’Unesco a Parigi è stato presentato il progetto “Combattere l’islamofobia attraverso l’educazione”. Pochi giorni dopo, il ministro della Cultura dell’Oman, Madeeha bint Ahmed al Shaybaniyah, si è incontrato con Bokova per un altro accordo di collaborazione con il paese islamico. La direttrice dell’Unesco ormai non fa che presenziare a un grande evento di cultura islamica dietro l’altro. Il 27 marzo, a Parigi, Irina Bokova era invitata a presentare i volumi “The different aspects of Islamic culture”, in un evento dove figurava il fondatore dell’Oxford Centre for Islamic Studies, Farhan Nizami. Citando le parole del re saudita Abdullah bin Abdulaziz al Saud, Bokova ha dichiarato: “Gli esseri umani sono stati creati come l’uno pari all’altro su questo pianeta. O vivono insieme in pace e armonia o saranno inevitabilmente consumati dalle fiamme del malinteso e dell’odio”. Da quando è stata eletta alla guida dell’Unesco, Bokova non fa che visitare paesi islamici. E’ stata la prima segretaria a mettere piede in Iran nel 2014, dove ha incontrato tutti i vertici della Repubblica islamica.

 

  “Il silenzio dei cristiani e persino il consenso sulla distruzione della propria storia e dei propri valori interiori dimostrano la portata della disintegrazione morale e culturale dell’occidente. Inoltre, questi voti all’Unesco confermano l’islamizzazione della cultura occidentale”

“Le risoluzioni dell’Unesco che cancellano la storia ebraica stanno cancellando anche i cristiani, visto che il cristianesimo si basa sulla storia ebraica, la Bibbia, che è la storia del popolo d’Israele” dice al Foglio la storica ginevrina di origini egiziane Bat Ye’or, la studiosa della dhimmitudine, ovvero le minoranze nell’islam. “Poiché ci sono più di due miliardi di cristiani, il loro silenzio e persino il consenso sulla distruzione della propria storia e della maggior parte dell’identità e dei valori interiori, dimostrano la portata della disintegrazione morale e culturale dell’occidente. Inoltre, tale voto conferma l’islamizzazione della cultura occidentale, fingendo che i patriarchi ebraici fossero profeti musulmani come affermato dal Corano. La gente dovrebbe rispondere a questa offensiva dell’infamia rifiutando di pagare i burocrati volgari dell’Unesco che mostrano tale ignoranza e rapacità”. Nel 2012 durante la sua visita in Arabia Saudita, la direttrice Bokova incontrò il ministro degli Esteri Saud al Faisal, che ringraziò l’Unesco per essere stata la prima agenzia dell’Onu ad ammettere la “Palestina” come membro a pieno titolo, decisione che aveva spinto l’Amministrazione Obama a tagliare i fondi all’Unesco. Quell’anno, l’Arabia Saudita aveva donato cinque milioni di dollari all’Unesco per attuare un programma internazionale di tre anni destinato a costruire una “cultura della pace e del dialogo” (gli eufemismi abbondano nei comunicati dell’Unesco). L’Unesco ha poi ospitato un evento di tre giorni presso la sede di Parigi intitolato “Saudi Cultural Days”, con arte, piatti, costumi e danze saudite. L’allora ministro dell’Informazione e Cultura saudita, Abdul Aziz Khoja, aveva denunciato “l’ignoranza dell’occidente sull’islam”.

 

Va da sé che tutta la preoccupazione dell’Unesco per i “siti in pericolo”, come nel caso della tomba di Hebron, non si manifesti per le grandi chiese e cattedrali nel mondo islamico. E’ il caso di Santa Sofia, la grande cattedrale della cristianità a Istanbul, reislamizzata dal presidente Erdogan (il canto del muezzin ha risuonato per la prima volta in 85 anni, da quando Atatürk ne fece un museo). Il silenzio si compra. La Turchia nel 2012 donò cinque milioni di dollari al fondo di Emergenza dell’Unesco “a seguito della sospensione dei contributi da parte degli Stati Uniti e di Israele”. La Turchia è diventata uno dei principali finanziatori dell’Unesco. E Ankara è stata eletta nel Comitato per il patrimonio mondiale che resta in carica quattro anni. L’ambasciatore turco della buona volontà all’Unesco, Zulfu Livaneli, romanziere, regista, compositore, si è dimesso per il silenzio dell’agenzia dell’Onu sulle distruzioni perpetrate da parte del suo stesso paese. “Pontificare sulla pace rimanendo in silenzio su tali violazioni è una contraddizione degli ideali fondamentali dell’Unesco”, ha affermato Livaneli.

 

Lo stesso vale per la cattedrale di Cordoba, una chiesa cattolica da sette secoli, ma “la grande moschea di Cordoba” per l’Unesco, che vorrebbe vi si officiasse nuovamente il culto islamico. E chi c’è dietro il tentativo di decristianizzare la cattedrale di Cordoba? Lo ha appena spiegato Emilio Sanchez de Rojas, analista del ministero della Difesa spagnolo. Ha accusato il Qatar e l’Arabia Saudita di condurre “campagne d’influenza in occidente”, e di essere “una fonte di finanziamento per la campagna di reislamizzazione della Cattedrale di Cordoba”. I paesi islamici sono spalleggiati a Cordoba dall’ex direttore dell’Unesco, Federico Mayor Zaragoza.

 

“Questa risoluzione mostra la perversità dell’Unesco che ha scelto Cracovia, una delle più grandi tombe di massa ebraiche in Europa, per negare la prima tomba ebraica della storia. Dove gli ebrei sono stati cancellati fisicamente, le nazioni del mondo li hanno cancellati dalla storia” (Kontorovich)

A cosa servono tutti questi fondi? Dei 195 stati membri dell’Unesco, 35 sono nazioni completamente islamiche, altre 21 sono membri dell’Organizzazione per la cooperazione islamica e quattro ne sono osservatori. Questo comporta 60 membri che rappresentano un blocco favorevole alle risoluzioni ispirate all’islam. Questo blocco riesce a condizionare l’elezione del comitato di ventuno paesi chiamato a votare e a condannare Israele e il popolo ebraico come un capro espiatorio, proprio mentre il volto di quei paesi diventa sempre più islamico. Questo voto traduce, prima di tutto, un rapporto di forze. “Esterno, quando l’occidente deve vedersela con i 57 stati musulmani del pianeta e la ventina di stati della Lega araba”, continua con il Foglio lo storico della Shoah Georges Bensoussan. “All’interno delle grandi organizzazioni internazionali, l’Onu, l’Unesco, l’Oms e alcune altre, questo rapporto di forze, banale in sé, spiega la comicità involontaria di alcune risoluzioni e di alcune nomine. Come quando l’agenzia dell’Onu specializzata per i diritti dell’uomo porta alla sua guida l’Arabia Saudita alcuni anni dopo averne affidata la presidenza alla Libia di Gheddafi. Comicità involontaria quando, dagli anni 2000, lo stato di Israele concentra su di sé una cifra vicino all’80 per cento delle condanne per violazioni dei diritti dell’uomo. Rapporto di forze interno, anche, perché l’occidente, e in particolare l’Europa occidentale, deve ormai fare i conti con la presenza di una numerosa popolazione di origine arabo-musulmana, sovente anti israeliana, addirittura, a volte, ostile all’esistenza stessa di Israele, e che trova nell’estrema sinistra i suoi alleati più efficaci. Questa popolazione partecipa ai rapporti di forza politici locali come in Francia, per esempio, dove in questi ultimi anni numerosi politici hanno avuto la tendenza di acconsentire a degli accomodamenti con alcune pratiche religiose musulmane in vista di ‘preservare la pace sociale’, ma anche di preparare la propria rielezione”.

“Bisogna per questo parlare di islamizzazione della società? – si chiede Bensoussan – Io penso piuttosto che una soglia di equilibrio demografico si stia oltrepassando così come lo aveva mostrato già, alcuni anni fa, Christopher Caldwell. Coniugato alla matrice culturale evocata più sopra, questo ribaltamento demografico rischia di accrescere la frequenza dei voti anti israeliani. Quando Gerusalemme viene decretata essere ‘senza legami col popolo ebraico’, questa demolizione del racconto ebraico costituisce, sul piano della legittimità, la tappa antecedente alla distruzione dello Stato ebraico. Anche se molti si rifiutano ancora di sentirlo, è proprio la sparizione dello stato di Israele che ci si augura in molti ambienti”.

 

Lo scorso gennaio, la direttrice Bokova ha incontrato il direttore dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, Yousef al Othaimeen. Funziona dunque così l’opa islamista sulla cultura occidentale, ebraico-cristiana: si inizia con un finanziamento, si ottengono le poltrone che contano, si costituiscono maggioranze in seno a commissioni e comitati, e da lì si riscrive la storia di Israele.

 

 “Sono a rischio i valori occidentali derivanti da Gerusalemme, Atene e Roma: il razionalismo, l’autocritica, lo stato di diritto, l’uguaglianza, la libertà di espressione, i diritti umani, la democrazia liberale. Ma tutto questo forse è andato perduto a causa della paura dell’islam”

“L’Unesco dovrebbe incoraggiare la comprensione interculturale e preservare il patrimonio culturale di tutti i popoli e non cancellare la storia e il patrimonio culturale degli ebrei e più di duemila anni di presenza a Gerusalemme” dice al Foglio Ibn Warraq, studioso dell’islam, maestro di tanti dissidenti come Ayaan Hirsi Ali, autore del celebre “Why I am not a Muslim” e che ha appena scritto un nuovo libro, “The Islam in Islamic terrorism” (New English Review Press). “L’Unesco, negando così il legame ebraico con Gerusalemme, contraddice il proprio obiettivo dichiarato di far crescere la celebrazione culturale, l’illuminismo e la comprensione tra culture diverse. Ma sappiamo da settant’anni che sia l’Onu che l’Unesco sono diventati strumenti e piattaforme per i paesi islamici nel diffondere il loro odio contro l’occidente e Israele. Gli Stati Uniti dovrebbero assumere il comando e iniziare a disfarsi di entrambe queste istituzioni corrotte”. Per evitare il peggio: l’islamizzazione della cultura occidentale. “E’ la perdita di valori e istituzioni occidentali derivanti da Gerusalemme, Atene e Roma e che si sono formate lentamente in diversi secoli di discorso razionale. Quali sono questi valori e le libertà che costano la vita a tanti popoli coraggiosi, le libertà che assumiamo come scontate? Le grandi idee del razionalismo occidentale, l’autocritica, la ricerca disinteressata della verità, la separazione della chiesa e dello stato, lo stato di diritto, l’uguaglianza davanti alla legge, la libertà di coscienza e di espressione, i diritti umani, la democrazia liberale, che sono il migliore e forse il solo mezzo per tutte le persone, non importa a quale razza o credo appartengano, di vivere in libertà e raggiungere il loro pieno potenziale. I valori occidentali – la base del successo sociale, politico, scientifico e culturale dell’occidente – sono chiaramente superiori a qualsiasi altra serie di valori elaborati dall’umanità. Quando i valori di Westminster sono stati adottati da altre società, come il Giappone o la Corea del Sud, i loro cittadini ne hanno beneficiato. La vita, la libertà e la ricerca della felicità: questo trittico di successi definisce l’attrattiva e la superiorità della civiltà occidentale. In occidente siamo liberi di pensare a ciò che vogliamo, di leggere ciò che vogliamo, di praticare la nostra religione, di vivere come vogliamo. La libertà è codificata nei diritti umani, che trascendono valenze locali o etnocentriche, conferendo pari dignità e valore a tutta l’umanità, indipendentemente dal sesso, dall’etnia, dalla preferenza sessuale o dalla religione. Allo stesso tempo, è in occidente che i diritti umani sono più rispettati. Eppure, in occidente sembriamo troppo pronti ad abbandonare questi principi, valori e libertà, in una forma di ecumenismo sentimentale e sotto la perniciosa influenza del relativismo culturale e soprattutto della paura di offendere i musulmani. La libertà di espressione, il nostro principio fondamentale è sotto minaccia e forse è già andato perduto a causa della nostra paura dell’islam”.

 

Questo forse ci dice la sottomissione delle potenze occidentali all’Unesco, le astensioni, i pilatismi. Ma tutto questo, giova ai palestinesi, ad esempio? “Non vi è assalto maggiore alle possibilità di pace che negare la radice del popolo ebraico nella terra d’Israele”, spiega al Foglio Yossi Klein Halevi, intellettuale israelo-americano e collaboratore di molte testate liberal fra cui il New York Times. “Non ci sarà la soluzione a due stati se la parte palestinese non accetta la legittimità della presenza ebraica nella terra che condividiamo. Negando la presenza ebraica a Gerusalemme e a Hebron, l’Unesco rafforza il rifiuto e l’estremismo palestinese. L’impatto sul pubblico israeliano è stato devastante, approfondendo il nostro senso di isolamento. I vincitori sono i politici israeliani duri, che ci hanno avvertito che ‘il mondo è contro di noi’. Se i leader europei pensano di poter indulgere nella delegittimazione della storia ebraica e mantenere la credibilità dell’Europa come un arbitro equo e bilanciato, allora non capiscono le dinamiche delle società israeliana e palestinese”.

 

La risoluzione dell’Unesco ha allarmato anche i musulmani liberali, pochissimi, che vivono in occidente. Come Salim Mansur, giornalista e intellettuale musulmano di origine indiana che scrive oggi per alcune testate in Canada. “Il voto dell’Unesco di dichiarare la città di Hebron come luogo di eredità del mondo palestinese è notevole in quanto coronato di sentimento antiebraico, come lo fu il voto dell’Unesco lo scorso ottobre che si riferì al Monte del Tempio a Gerusalemme solo in arabo come ‘al-Haram al-Sharif’. Settant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la piena divulgazione dell’Olocausto come politica della Germania nazista di Hitler per la soluzione finale del ‘problema ebraico’ in Europa, stiamo assistendo al ritorno dell’antisemitismo europeo nella veste della concezione della difesa dei palestinesi contro gli ebrei. L’antisemitismo europeo non si è mai davvero estinto ma rimane latente e ora rivive nella giudeofobia arabo-musulmana. Le Nazioni Unite e le sue agenzie, come l’Unesco, hanno ripreso l’antico fervore contro gli ebrei”.

 

Ma secondo Mansur, questi voti indicano anche una offensiva islamista all’interno dell’occidente. “L’appello agli stati arabi e musulmani alle Nazioni Unite da parte degli stati membri europei, come nei recenti voti su Gerusalemme e Hebron all’Unesco, è la leva con la quale gli stati europei stanno perseguendo la loro politica di tirannia ‘morbida’ simboleggiata dall’Unione europea. Nell’abbracciare l’islamizzazione, l’Europa rivela la sua nostalgia per i valori totalitari basati sui diritti collettivi, sul multiculturalismo, sull’autoritarismo come affidamento sulla potenza, sulla correttezza politica e sulla negazione dell’eredità culturale dell’occidente. L’islamizzazione è accentuata dalla negazione dei diritti ebraici e della storia ebraica nell’antica terra della Giudea e Samaria, e l’Europa nell’approvvigionamento della politica dell’islamizzazione sta facendo risorgere il suo passato totalitario trascinato nell’antisemitismo. Nessuno dovrebbe essere ingannato dalla falsità delle affermazioni europee che, sostenendo in modo non critico le richieste palestinesi, stanno difendendo i diritti umani di un popolo, in questo caso i palestinesi, votando contro i diritti del popolo ebraico e di Israele, quando in realtà tali voti alimentano gli incendi dell’antisemitismo nel bel mezzo del radicalismo islamista e del terrorismo”.

 

“Non vi è assalto maggiore alla pace che negare la radice del popolo ebraico in Israele. Negando la presenza ebraica a Gerusalemme e a Hebron, l’Unesco rafforza il rifiuto palestinese. L’impatto sul pubblico israeliano è devastante, approfondendo il nostro senso di isolamento” (Yossi Klein Halevi)

“Si vuole spazzar via l’esistenza passata di un popolo per eliminarne la legittimità attuale. Gettare il giudaismo (Israele) e il cristianesimo (l’occidente) nel cestino della spazzatura della storia vuol dire eliminare i diritti storici, religiosi, culturali e nazionali di ebrei e cristiani e optare per la dhimmitudine” (Bat Ye’or)

Non a caso, prosegue con il Foglio la storica svizzera Bat Ye’or, i due presidenti dell’Unesco e dell’Isesco firmarono un programma di cooperazione per gli anni 2008-2009 con un budget che copriva 128 progetti. Nel Report dell’Alleanza delle Civiltà si richiedeva di aumentare gli scambi tra giovani di paesi occidentali e dell’Organizzazione della cooperazione islamica. “L’obiettivo dovrebbe essere facilitare la diffusione della cultura islamica contemporanea nei loro paesi e, così facendo, promuovere la causa del dialogo e della comprensione. La palestinizzazione della storia nega l’identità, i diritti storici e culturali di Israele nella propria patria, comprese Giudea, Samaria e Gerusalemme. Questo contesto spiega l’islamizzazione dell’eredità religiosa giudaica e cristiana, un approccio che implica di negare l’identità di queste due religioni, dal momento che il cristianesimo si considera una derivazione del giudaismo, di cui ha adottato le Scritture. La negazione della storia biblica, a cui l’Europa si è convintamente allineata sostenendo che Israele è uno stato colonizzatore che ha invaso la propria patria ancestrale – vale a dire ricusando i diritti storici degli ebrei alla propria patria – nega anche la storia cristiana e avvalora l’interpretazione coranica che rifiuta la storicità della Torah e dei Vangeli. Pertanto, se non c’è mai stata una storia di Israele o dei Vangeli, ma soltanto la storia di Ibrahim, Ismaele e Isa – il Gesù del Corano –, se tutti i re e i profeti biblici erano musulmani, quali sono le radici dell’occidente? Non sarebbero forse coraniche? Se in passato Israele non è mai esistito, allora la sua moderna restaurazione è soltanto un abuso coloniale su un territorio su cui non può vantare alcuna pretesa storica, religiosa o culturale, e dunque la sua distruzione è giustificata. Ma se la storia testimonia il contrario, allora l’Europa diventa deliberatamente responsabile dell’abominevole crimine di genocidio: spazzar via l’esistenza passata di un popolo per eliminarne la legittimità attuale e i suoi diritti umani, religiosi, culturali e storici. Questo annullamento di identità è soltanto l’ennesima concessione all’islam e alla sua cultura, che è ostile a ebrei e cristiani, fatto che non è stato né ammesso né ripudiato. Gettare il giudaismo (Israele) e il cristianesimo (l’occidente) nel cestino della spazzatura della storia vuol dire eliminare i diritti storici, religiosi, culturali e nazionali di ebrei e cristiani e optare per la dhimmitudine”. Secondo Bat Ye’or, è questo che si persegue all’Unesco: “La guerra contro Israele, la de-giudaizzazione del cristianesimo europeo e la de-cristianizzazione dell’Europa”. E tutte sembrano passare per l’islamizzazione del medio oriente.

 

“I non musulmani – gli antichi cristiani, gli yazidi e le comunità ebraiche – sono scacciati dal medio oriente in attacchi mirati di vari gruppi islamisti”, conclude Nina Shea, che dirige il dipartimento per la libertà religiosa all’Hudson Institute. “A questo ora si aggiungono le risoluzioni anti israeliane all’Unesco, risultato delle campagne anti occidentali da parte delle lobby islamiste e di sinistra. Il risultato sarà la delegittimazione dello stato di Israele e l’eventuale sradicamento dei cristiani dal medio oriente, così che soltanto i musulmani saranno tollerati. Il risultato sarà una regione islamizzata, una gigantesca Arabia Saudita”. Israele non permetterà che sul Monte del Tempio di Gerusalemme o alla Tomba dei Patriarchi di Abramo vengano applicate le regole della Mecca e Medina. Lo ha detto Avi Dichter, presidente della Commissione esteri e difesa della Knesset, riferendosi alle città sante in Arabia Saudita nelle quali l’ingresso è vietato ai non musulmani. “L’idea – ha spiegato Dichter a Israel Radio – che venga fatto anche sul Monte del Tempio ciò che è stato fatto in Arabia Saudita, dove le due città sante dell’islam La Mecca e Medina sono luoghi in cui solo i musulmani hanno diritto di entrare, è un’idea totalmente sbagliata, e noi non permetteremo che si avveri”.

 

Dopo settant’anni, Israele è ancora nella fase di stabilire le condizioni per la propria esistenza e questa sua lotta per la sopravvivenza fornisce all’occidente la possibilità di salvare anche se stesso. Soprattutto nel momento in cui il mondo islamico si dà appuntamento a Parigi, la capitale della cultura occidentale, per eliminare gli ebrei dai libri di storia e dalla storia. L’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.