Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi e senatore di Forza Italia, in cima all’Hotel Bernini, in piazza Barberini a Roma, di proprietà della famiglia

Grand Hotel Bocca

Michele Masneri
Sarà un’estate fantastica”. Ne è convinto Bernabò Bocca, cinquantadue anni, rieletto per la quinta volta presidente di Federalberghi, l’associazione degli albergatori italiani.

Sarà un’estate fantastica”. Ne è convinto Bernabò Bocca, cinquantadue anni, rieletto per la quinta volta presidente di Federalberghi, l’associazione degli albergatori italiani. “Non vorrei essere cinico, né gioire delle disgrazie altrui, ma gli attacchi terroristici nel resto d’Europa e gli squilibri internazionali ci stanno portando un sacco di turisti”, dice Bocca, Bobo per gli amici, nel torrione dell’Hotel Bernini, in piazza Barberini a Roma, di proprietà della sua famiglia, tra turisti americani tipo Mr. Ripley e politici che parlottano sprofondati nei sofà damascati (Bocca è anche senatore, di Forza Italia).

 

Sarà un buon anno soprattutto il turismo di lusso. Suona il telefono. E’ la moglie (Benedetta Geronzi, figlia di Cesare), dalla Sardegna. “Ecco, in Sardegna si vedono maxi yacht che non arrivavano da tempo. Ho visto il Christina, la barca di Onassis che oggi viene dato in charter a super ricchi e che da anni non navigava in acque italiane. Capri uguale, piena di super yacht. Chi andava in Costa azzurra viene in Versilia o Liguria, chi andava in Grecia e Turchia oggi viene in Puglia e Sicilia”, dice Bocca. Insomma, stanno finalmente tornando i ricconi, e di varie nazionalità, perché “se gli americani l’anno delle elezioni statisticamente si muovono meno, crescono gli arabi, perché il ramadam quest’anno è finito presto, il 7 luglio”. “Crescita a doppia cifra anche degli asiatici” e “ripresina dei russi, che con le sanzioni erano scesi del 40 per cento”.

 

Bocca è contento: completo sartoriale grigio, crocetta di Cavaliere del lavoro al bavero, ciuffo biondo, scarpe car shoes, eleganza e modi romano-agnelleschi, infatti la famiglia è piemontese. Non c’entra con i Bocca giornalisti ma con un altro grande torinese, Carlo De Benedetti. I Bocca nascono infatti conciatori, “il mio bisnonno fondò l’azienda nel 1800, che arrivò fino a mio padre e si chiamava Concerie italiane riunite, Cir”. Nel 1976 De Benedetti cercava una società già quotata in Borsa da trasformare nella sua holding, scorporò le concerie e cominciò la nuova Cir”.

 

Nel frattempo il padre di Bocca “viaggiando molto per affari, nel 1957 si imbatté in un palazzo a Firenze, Villa Medici, e lo trasformò in albergo”. “Il business principale della mia famiglia diventò quello alberghiero”, dice Bocca, “abbiamo comprato questo hotel a Roma, poi a Milano”, e oggi Sina Hotels (il nome della compagnia di famiglia) conta dodici hotel di lusso sparsi tra Cortina, Milano, Venezia e la Francia, “dove abbiamo preso l’Hotel de Mirambeau a Bordeaux in partnership con il fondo Sorgente”. Bocca è presidente e amministratore delegato, una sorella è vicepresidente.

 

Ma che fine hanno fatto i grandi alberghi italiani? “La Ciga è stata comprata dagli americani della Starwood. Grosse catene non ce ne sono più”. E gli emiri che comprano dappertutto, in Italia vengono? “Eccome. Il fondo del Qatar ha comprato il Baglioni e l’Excelsior di Firenze, a Roma l’Excelsior e il St. Regis”. Vi dispiace? “Per niente. Io sono felicissimo. Comprano a certi prezzi che valorizzano molto il settore, e poi se ci comprano vuol dire che siamo fichi”.

 

Bocca è il grande Gatsby dell’hotellerie italiana. Si accende una sigaretta di quelle che non hanno combustione, ultimo ritrovato dell’industria del tabacco. Cos’è rimasto dei grand hotel dell’immaginario cinematografico e letterario? “E’ scomparso il concetto di villeggiatura, la vacanza è spezzettata, al massimo una settimana”. E poi “è scomparsa o quasi la figura del vecchio agente di viaggio, e per noi non è che sia una manna, le agenzie si prendevano il 10 per cento, siamo passati al 15-25 per cento che gli alberghi danno ai grandi portali internet, e se non paghi molti soldi non finisci tra i preferiti”.
Contro il logorio della vita moderna i grandi alberghi si attrezzano: spezzettando le giornate, “siamo stati i primi in Italia a offrire pacchetti orari: se io vado a Milano – l’alta velocità ci ha svantaggiato, nessuno si ferma più a dormire nelle città – e magari ho una serie di appuntamenti, avere un punto d’appoggio per fare un riposino o farsi una doccia, pagando poco, mi sembra un’idea intelligente. Invece ci hanno massacrato, ci hanno detto che facevamo gli alberghi a ore, in Italia è ancora visto come cosa peccaminosa, come quando si diceva che non potevi portare una signora in un ristorante d’hotel perché significava che avevi altre intenzioni”. Altro spezzettamento, la legge sui “condhotel”, cioè appartamenti che l’hotel si può vendere o affittare come normali abitazioni, legge portata avanti da Bocca in qualità di senatore, che dovrebbe entrare in vigore a breve.
Ma i suoi colleghi del Senato non vengono a scroccarle ospitalità? “Ma no, pagano sempre tutti, qui è venuto anche Renzi, veniva già da sindaco e presidente della provincia di Firenze, e poi nei primi mesi da premier abitava da noi”.

 

Il suo hotel preferito? (suo, non di Renzi). “Non ce n’è uno preferito, però è sempre il servizio a fare la differenza; mi ricordo a Bali, un Aman Resort, a un certo punto mi annoiavo tra le risaie, panorama bellissimo ma niente da fare, due palle, allora chiedo al concierge se c’è un maestro di tennis per allenarmi un po’, a un certo punto arriva uno con un vassoio d’argento con una busta, pensavo fosse un fax dall’ufficio, oddio mi rompono le palle dall’Italia anche in vacanza, invece era il curriculum del maestro di tennis, che era uno dei primi 120 del mondo, ha giocato contro Yannick Noah; arrivo al campo e la scena era la seguente: c’ero io, il maestro, un raccattapalle e un addetto che stava vicino a un frigo e durante il cambio campo prendeva dei panni gelati dal frigo e mi asciugava la faccia: è stata l’ora di tennis più costosa della mia vita, ma è anche la dimostrazione che quando il servizio è come si dice ‘outstanding’ uno magari si incazza però dice ne valeva la pena”. Altri lussi sibaritici: “A Dubai, al One and Only, c’erano degli addetti con delle salviettine per pulire le lenti degli occhiali da sole che uno impiastriccia sempre con la crema solare: sono cose minime ma che ti migliorano la giornata. Tornato al nostro hotel Villa Medici, a Firenze, ho preso il bagnino che tanto non ha niente da fare se non aspettare che affoghi qualcuno, e l’ho messo coi tovagliolini a pulire gli occhiali”. Sarà stato contento. “Ma certo, prende anche le mance adesso”.

 

Bocca è disintermediatore anche sulla ristorazione: “Avevamo questa terrazza bellissima qui al Bernini, e tutti mi dicevano ‘cercati uno chef stellato’, ma tutta ’sta nouvelle cuisine, mezzo raviolo, ’na foglia di insalata, non mi ha mai convinto”. Quindi decide un esperimento democratico-pasoliniano: “Una giornalista gastronomica mi dice che c’è questo ristorante a Roma buonissimo, si chiama Giuda Ballerino, sta a Cinecittà”. Spiegazione ai lettori non romani: Giuda Ballerino era noto a Roma, a partire dal nome, perché lo chef Andrea Fusco nutriva grande passione per Dylan Dog; era un esperimento di buona ristorazione, una stella Michelin, in periferia. “Allora una sera parto per questo posto nello sprofondo, si è perso pure il navigatore, sulla Tuscolana, una stradina, con l’autista che mi diceva, ’dottò ma la posso lasciare qua, è sicuro’?”. “Mangio in incognito, benissimo, chiamo lo chef e gli dico, senta, io e lei dobbiamo parlare”. Il Giuda Ballerino va in città, si trasferisce a piazza Barberini, senza perdere l’anima quasi-proletaria (“non facciamo ’sti ristoranti da duecento-trecento euro, con gli chef fenomeni, dove uno va una volta nella vita; voglio un posto dove stai sotto i cento euro compresi i vini, dove la gente ritorna”. Risultato, “con un ristorante gourmet avrei perso un sacco di soldi, invece così dopo un anno di apertura il ristorante fa tre milioni di fatturato e siamo già in utile”.

 



Bernabò Bocca, presidente Federalberghi (foto LaPresse)


 

Ma come funziona il bilancio di un grand hotel? “Il fatturato è fatto da un 60-65 per cento dalle camere, il restante 30-35 dalla ristorazione e dagli extra”, dice Bocca. “Gli extra sono importantissimi, noi italiani spendiamo un sacco, tedeschi e orientali poco, magari prendono una suite da 800 euro e poi vanno a bere al bar di fronte all’albergo per risparmiare”. “Una voce che non esiste più era quella del telefono, su cui avevamo dei ricarichi altissimi”. “Le racconto una cosa sugli extra: nel 2006, alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Torino, nel nostro hotel Villa Matilde, in Piemonte, ci dicono che veniva la nazionale di slittino americano, ci fanno pure costruire un box esterno per questi maledetti slittini. Prenotano l’albergo in blocco per quindici giorni. Ma pochi giorni prima arrivano squadre dell’Fbi con i cani antiesplosivo e tutto, e alla fine arriva Laura Bush, moglie del presidente in carica, insieme a Rudolph Giuliani e tutte le famiglie. Stettero tre giorni e poi se ne andarono, ecco, lei direbbe: che fortuna, albergo usato tre giorni e pagato per quindici, invece nei restanti dodici giorni io non ho avuto un euro di extra”.
Avviamo a questo punto, credendo di fare anche servizio pubblico, una serie di domande sul mondo alberghiero. Per esempio, le stelle come si decidono? A tutti è capitato di dormire in cinque stelle fatiscenti e tre stelle meravigliosi. “Lei non ci crederà, ma la classificazione è regionale, dipende dalle regioni italiane, io ho alberghi in sei regioni e sei parametri diversi”. “Le stelle per un hotel a Genova per esempio le decide un funzionario della regione Liguria”. Con criteri fantozziani: “Per accedere alle quattro stelle in camera devi avere due sedie e una poltroncina, ma nessuno ti dice come dev’essere la poltroncina, può essere anche pieghevole di plastica. Poi alcune regioni hanno le cinque stelle L, altre non ce l’hanno. E qualcuno se le inventa pure le stelle, a Milano c’è un albergo che se ne è date spontaneamente sette, così, da solo”.

 

Altra questione fondamentale: perché hotel anche di lusso bestiale continuano a far pagare il wi-fi, e normalmente questo funziona malissimo, sempre peggio che a casa propria? “Guardi, a me personalmente è una cosa che fa incazzare, noi non lo facciamo pagare più da quattro anni, anche se il direttore finanziario mi ha sgridato, è una voce che era tutto margine, tipo 150 mila euro di utile all’anno”. Come il vecchio centralino? “Esatto”. “Poi, il fatto che funzioni male è un problema di linea, se non hai la fibra ottica è un delirio. E c’è il problema dei meeting. Spesso negli hotel ci sono riunioni, con trenta-quaranta accessi in contemporanea, e lì il segnale crolla”.

 

Altro tema spinoso: perché non c’è mai abbondanza di prese di corrente vicino al letto, che uno deve stare con l’orecchio attaccato al comodino per parlare all’iPhone in ricarica, tipo posizione del loto? “Ha ragione, e le stiamo mettendo, è che una volta le prese erano concentrate sulla scrivania, dove ce ne sono tre-quattro. Oppure le mettevano a terra, ma giustamente il cavo dell’iPhone è troppo corto. Però a me personalmente la presa a vista non piace, così le mettiamo nascoste dietro ai comodini. Oppure, a Venezia, al nostro Centurion, abbiamo un oggetto di design che nasconde al suo interno delle prese”.
“Su queste cose litighiamo sempre con gli architetti”, sospira Bocca. Altro tema tragico, le regolazioni della luce e i termostati. “Non me ne parli. Sempre a Venezia l’architetto ci ha convinto a mettere dei termostati con duecento funzioni, talmente complicati che il direttore per disperazione li ha smurati e messo al loro posto dei pulsanti on/off e alza/abbassa la ventola, perché i clienti impazzivano, cominciavano a premere ogni bottone, sprogrammavano il sistema, poi morivano di caldo o di freddo”.

 

Altre questioni: perché c’è sempre una bibbia nel comodino, tutte uguali, in più lingue? Esiste un editore mondiale di bibbie per hotel? “Ah, è vero, nel terzo cassetto del comodino. Me lo sono sempre chiesto anch’io. Aspetti che chiamiamo il direttore”. Arriva il direttore, aria da direttore, si chiama Lorenzo Vivalda. “Sì sì, c’è sempre, ce l’abbiamo anche noi”, conferma. Non sa dire chi sia il fornitore, “erano già lì quando sono arrivato.” Permane il mistero.

 

Il direttore però ci aiuta anche a sanare un altro dubbio che ci attanaglia. Perché anche negli alberghi più lussuosi, con i set di qualunque cosa (retina per capelli, cotton fioc, lime per unghie, balsami, lustrascarpe) non c’è mai il dentifricio? “Uno lo va a chiedere al concierge”, dice Vivalda. Eh, ma non è la stessa cosa. Ti danno il Colgate piccolino. “Forse perché ognuno usa il suo, ognuno ha il suo preferito”, interviene Bocca. “Comunque non abbiamo molta richiesta”, dice il direttore.

 

E per finire un grande classico: le cose più strane che vi rubano? “A Villa Medici, un aspirapolvere” dice Bocca. “La cameriera al piano segnala che è sparito un aspirapolvere, e il concierge nota un filo che fuoriesce dal bagaglio di un signore al check-out. Allora il vecchio concierge diplomaticamente gli dice: ‘Ha mica visto un aspirapolvere?’ Lui dice: ‘Ah, forse ho dimenticato una cosa in camera’, va su e lo rimette a posto”. “Rubano non per avere un tornaconto”, riflette Bocca, “rubano per avere un ricordo, ecco perché noi brandizziamo tutto, pure la carta igienica”. Così sono più contenti. “Gente che paga 1000 euro per una stanza e ti ruba il lenzuolo, che costerà 12 euro. Federe, asciugamani, posate”. “Anche un tappeto persiano”, precisa il direttore. E voi cosa fate? “Niente”. Ma non c’è un modo per inchiodarli alle loro responsabilità? “Solo sui lunghi soggiorni, dove possiamo controllare giorno per giorno, ma se uno sta una notte, non c’è modo, non ci sono i tempi tecnici”.

 

In ultimo, tragico capitolo frigobar. “Ormai sono dei professionisti”, sospira Bocca. “Bevono e richiudono le bottigliette proprio come se fossero nuove, noi ci mettiamo pure il sigillo ma loro lo rimettono a posto. Una volta, ero in albergo a Milano, volevo bermi una bella vodka, apro una bottiglietta ed era acqua di rubinetto. Mi ci vorrebbero cento persone solo per controllare i frigobar”. E’ una resa. Noi si era sempre stati onesti, pensando a misteriosi controlli. “Lei ha paura” conclude il grande Gatsby degli hotel italiani. “C’è gente che non ha paura. Lo faccia tranquillamente”. E Renzi, ha mai riempito d’acqua qualche bottiglietta di vodka? “Ma no, per carità, pagava sempre tutto e non si lamentava mai. Un cliente ideale”.