Frantisek Kupka, “La ragazza di Gallien”, 1909-’10 (Praga, Galleria Národní. L’opera è esposta ora alla mostra allestita al Museo Van Gogh di Amsterdam)

Lucciole per modelle

Maurizio Stefanini
Piacevano a Manet, Van Gogh, Picasso. L’arte moderna è nata anche con le prostitute della Belle époque. Una mostra ad Amsterdam e una su Toulouse-Lautrec a Roma.

La “Donna al Café Le Tambourin”, del 1887, è di Vincent van Gogh. Conservata al Van Gogh Museum di Amsterdam, mostra una donna seduta al tavolo di un caffè davanti a un boccale di birra, con una sigaretta abbandonata tra le dita, in testa uno stranissimo cappello che evoca quasi la cresta di un centurione romano e lo sguardo perso nel vuoto. Quasi certamente si tratta di Agostina Segatori: l’oriunda italiana, per la precisione nata ad Ancona, che con Van Gogh all’epoca del quadro ebbe una relazione tempestosa. Se si tratta veramente di lei, in realtà è il ritratto di quella che all’epoca era una donna di successo. Era infatti una modella ricercata dai più famosi pittori che all’epoca operavano a Parigi: da Eugène Delacroix a quell’Edouard Joseph Dantan che le diede un figlio, passando per Jean-Baptiste Camille Corot, Jean-Léon Gérôme, lo stesso Van Gogh e Edouard Manet. E il famoso Café du Tambourin era suo, anche se molti anni dopo, nel 1910, lo avrebbe perso in un rovescio finanziario. Secondo la critica, però, van Gogh in quello sguardo vuoto, in quella sigaretta e in quel boccale volle comunicare la sensazione di abbandono e di confusione di numerose donne che, arrivate nella capitale di Francia con effimeri sogni di successo, si ritrovavano perse nella prostituzione o nell’alcol.

 


“Donna al Café Le Tambourin”, Vincent van Gogh (1887)


 

Insomma, è un’icona piuttosto ambigua. Ma forse proprio per questo motivo lo stesso Van Gogh Museum l’ha piazzata al primo posto tra i quadri più emblematici della mostra che ospita dal 19 febbraio al 19 giugno: “Easy Virtue. Prostitution in French Art, 1850-1910”. Una “facile virtù. La prostituzione nell’arte francese, 1850-1910” che forse casualmente ma in modo simbolico termina proprio nell’anno del fallimento di Agostina Segatori. Mentre il punto di partenza sembra descritto in una lettera di Gustave Flaubert a Ernest Chevalier del 25 giugno 1842. “Ciò che più mi piace di Parigi sono i boulevard. Quando i lampioni iniziano a riflettersi negli specchi e i coltelli a tintinnare sui tavoli di marmo, io me ne vado a passeggio, in pace, lasciandomi avvolgere dal fumo del mio sigaro e scrutando le donne che passano. E’ quella l’ora in cui si sparge la prostituzione, l’ora in cui brillano gli occhi!”. L’illuminazione a gas e il nuovo sistema viario a grandi boulevard nel lungo periodo avrebbero dato a Parigi la reputazione ancora sfavillante di Ville lumière, ma nell’immediato erano state volute essenzialmente in chiave antisommossa, e nel medio termine fu soprattutto un’opportunità per una moltitudine di lavoratrici del sesso di meglio mostrare al pubblico la propria “mercanzia”.

 

Miseria o splendore? La mostra di Amsterdam, in realtà, è la continuazione di un’altra che si è tenuta al Musée d’Orsay di Parigi dal 22 settembre al 17 gennaio, e che si intitolava proprio così: “Splendeurs et misères. Images de la prostitution, 1850-1910”. L’ambiguità del destino di Agostina Segatori serve forse proprio a evitare di rispondere alla domanda. Ma che comunque la prostituzione fosse un simbolo della Belle époque in una città simbolo della Belle époque come Parigi è dimostrato appunto dall’attenzione che vi riservarono gli artisti. Abbiamo già ricordato Flaubert: ma anche Henri de Toulouse-Lautrec amava dire: “Tutti a parlare dei bordelli. E allora? In nessun altro posto mi trovo come a casa”. Appartenente a una delle famiglie più aristocratiche di Francia, Toulouse-Lautrec aveva però ricevuto in eredità assieme al blasone un nanismo da troppi matrimoni tra consanguinei. Era stato quel metro e mezzo scarso però a spingerlo a cercare un riscatto a un tempo nell’arte e nell’affetto delle prostitute, nei bordelli ci viveva, le prostitute erano uno dei suoi soggetti preferiti, e di sifilide morì alcolizzato ad appena 37 anni.

 

Segno evidente di un forte interesse per quel peculiare cortocircuito tra vizio e alta cultura che si realizzò a Parigi tra Secondo Impero e inizio della Terza Repubblica, a Toulose-Lautrec sono state dedicate in Italia ben due mostre. Una si è appena conclusa: “Toulouse-Lautrec - Luci e ombre di Montmartre”, al Palazzo Blu di Pisa dal 16 ottobre al 14 febbraio, con un catalogo che ha raccolto tra l’altro per la prima volta in lingua italiana la sua opera grafica completa. L’altra è invece tuttora in corso all’Ara Pacis di Roma (fino all’8 maggio): “Toulouse-Lautrec - La collezione del Museo di belle arti di Budapest”, che ha prestato 170 opere tra manifesti, illustrazioni, copertine di spartiti e locandine risalenti al periodo 1891-1900: alcune, autentiche rarità.

 

Ad Amsterdam i quadri e disegni su carta sono invece un centinaio, e a parte i già citati Van Gogh e Toulouse-Lautrec, sono rappresentati artisti come Edouard Manet, Edgar Degas e Pablo Picasso. Manet, in particolare, merita un posto d’obbligo in una mostra del genere per il colossale scandalo che nel 1865 provocò presentando al Salon di Parigi “Olympia”. Come Manet si affannò a spiegare per difendersi, quella donna dai capelli rossi sdraiata e nuda che si copre il pube con una mano e guarda l’osservatore con espressione di sfida non era altro che la riattualizzazione di un classico da tutti ammirato come la “Venere di Urbino” di Tiziano, da lui copiato nel 1857 durante un soggiorno a Firenze. Ma, evidentemente, un conto era ammirare una dea dall’aspetto giunonico fatta nel Rinascimento. Un conto era trovarsi davanti agli occhi un corpo che nel suo biancore contro il triplice nero dello sfondo, di una servitrice di colore e di un gatto, aveva l’aggressività di una fotografia, e portava per di più uno dei nomi più diffusi tra le prostitute parigine. Qualcuno sostiene che perfino la sua magrezza era considerata una provocazione, verso un gusto che all’epoca preferiva le donne in carne. Se così è davvero, vorrebbe dire che “Olympia” è un’opera che dà inizio non solo all’arte moderna, ma anche alla moderna mania delle modelle anoressiche.

 


"Olympa", Manet (1863)


 

Edgar Degas è poi il punto di riferimento da cui impara a occuparsi di prostitute Toulouse-Lautrec. Ma mentre l’uno le osserva con crudeltà analitica, l’altro, come spiega la curatrice Maria Teresa Benedetti nel suo saggio introduttivo al Catalogo della mostra di Pisa (edito da Skira), “ha un suo particolare modo di far trasparire un sentimento di solidarietà al di là della crudezza trasmessa dalle sue immagini”. Agostina Segatori a parte, anche Van Gogh aveva un approccio del genere. Della “Testa di una prostituta” realizzata nel 1885, un’altra delle opere che la mostra di Amsterdam mette come presentazione dell’evento, resta una lettera in cui l’artista spiega la cura con cui si è dedicato a quel particolare soggetto. “Ho introdotto toni più leggeri nella carne – bianco tinto con carminio, vermiglio, giallo e un fondo luminoso in grigio-giallo, da cui la faccia è separata solo dai capelli neri”. La “Donna agli Champs-Elysées di notte” realizzata da Louis Anquetin tra il 1890 e il ’91 mostra appunto una “bella di notte” che cerca di valorizzare le proprie grazie sotto la luce artificiale. “L’adescamento, proibito durante il giorno, è autorizzato per le filles en carte al calar della notte, quando si accendono i lampioni”, ricordava la presentazione della mostra di Parigi. “Questo momento coincide con l’ora in cui le operaie, alcune delle quali si prostituiscono saltuariamente, lasciano le botteghe. Se durante il giorno le donne venali coltivano sembianze equivoche, il loro atteggiamento muta di pari passo con il paesaggio urbano, dove l’illuminazione a gas sarà presto sostituita dall’elettricità”. “Che si tratti di prostitute di basso livello o di cortigiane in vista”, “esse scelgono volontariamente di sostare nei pressi di una fonte luminosa per usufruire della ‘luminosità magica dei lampioni’ o dei fasci di ‘luce cruda’ che fanno risaltare al buio i loro volti truccati. Esibendosi dunque sotto gli occhi dei passanti, la prostituzione diventa visibile di notte là dove è discreta di giorno, e sembra allora invadere lo spazio pubblico come testimoniano numerosi scritti dell’epoca”.

 

Sui volti truccati si soffermano “La donna in camicia o Ballerina” di André Derain e “La ragazza di Gallien” di Frantisˇek Kupka. Il soggetto diventa un pretesto per creare un’orgia di colori anche nei dipinti di Kees Van Dongen e Georges Rouault, fino a quelle “Demoiselles d’Avignon” in cui Pablo Picasso nel 1907 rappresenta cinque prostitute nude del bordello di calle Avignon a Barcellona. Stravolgendone le forme secondo i criteri di quell’arte cubista con cui porta al suo estremo compimento la rivoluzione visuale iniziata con “Olympia”.

 

Insomma, l’arte moderna nasce dalle prostitute della Belle époque. Che peraltro, ricorda appunto la presentazione alla mostra di Parigi, era tutt’altro che un realtà omogenea. Le pierreuses, le più umili, a notte fonda lavoravano clandestinamente in luoghi abbandonati come ex fortificazioni o edifici in costruzione. Le filles en carte erano schedate e iscritte nei registri della questura come prostitute. Le filles insoumises adescavano i clienti nei luoghi pubblici. Le verseuses versavano da bere ai clienti nelle brasseries à femmes, dove si poteva aggiungere alla consumazione alimentare ufficiale anche una consumazione sessuale sotto banco. C’erano poi le inquiline delle case chiuse. Al top, le grandi cortigiane che ricevevano i propri ammiratori in lussuose residenze private, e che si accompagnavano ai grandi personaggi dell’epoca. Come la Bella Otero o la Cléo de Mérode compagna del re Leopoldo II del Belgio. Questa stratificazione suscitò addirittura l’interesse di Vilfredo Pareto, in una famosa pagina del suo “Trattato di sociologia generale”. “Supponiamo dunque che, in ogni ramo dell’umana attività, si assegni a ciascun individuo un indice che indichi la sua capacità, all’incirca come si danno i punti negli esami delle varie materie in una scuola. Per esempio, all’ottimo professionista si darà 10, a quello a cui non riesce d’aver aver un cliente daremo 1 per poter dare 0 a chi è proprio cretino. A chi ha saputo guadagnare milioni, bene o male che sia, daremo 10, a chi guadagna le migliaia di lire daremo 6, a chi riesce appena a non morire di fame daremo 1, a chi sta in un ricovero di mendicità daremo 0. Alla donna politica, che, come l’Aspasia di Pericle, la Maintenon di Luigi XIV, la Pompadour di Luigi XV, ha saputo cattivarsi un uomo potente e ha parte nel governo che egli fa della cosa pubblica, daremo una votazione alta come 8 o 9; alla sgualdrina che soddisfa solo i sensi di certi uomini e non opera per niente sulla cosa pubblica, daremo 0”.

 

Ma quando il “Trattato” fu pubblicato, nel 1916, quel mondo era ormai alla fine. “Il mondo di ieri”, lo definiva Stefan Zweig nella sua autobiografia del 1941.“La generazione di oggi riesce ad avere a stento un’idea dell’enorme diffusione che la prostituzione conobbe in Europa fino alla Prima guerra mondiale”, ricordava. “Mentre oggi incontrare una prostituta nelle strade delle grandi città è raro tanto quanto vedere una carrozza trainata da cavalli, all’epoca i marciapiedi erano talmente affollati di donne a pagamento che era più difficile evitarle che trovarle. In più c’erano le numerose ‘case chiuse’, i locali notturni, i cabaret, le sale da ballo con le loro sciantose e ballerine, i bar con le loro entraîneuse. La merce femminile veniva offerta apertamente a qualsiasi ora e a qualsiasi prezzo, e procurarsi una donna per un quarto d’ora, un’ora o un’intera nottata a un uomo non costava più tempo e fatica che comprare un pacchetto di sigarette o un giornale. Nulla mi pare confermi meglio la trasparenza e la naturalezza delle attuali forme di vita e di amore quanto il fatto che per la gioventù di oggi è stato possibile, e quasi ovvio, rinunciare a questa feconda istituzione, e che non siano state né le leggi né la polizia a eliminare la prostituzione dal nostro universo, bensì che questo tragico prodotto di una pseudomorale si sia annullato da solo, fatta eccezione per un misero residuo, proprio per mancanza di richiesta”. Un ruolo, probabilmente, lo hanno avuto l’apertura alle donne del mondo del lavoro e la liberalizzazione sessuale dovute alla Prima guerra mondiale. E un ruolo lo ha avuto proprio quell’opera di denuncia cui anche questi artisti avevano contribuito.

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