Fotografia che servì da studio per "The Painter Surprised by a Naked Admirer" (2004-2005)

Le regole di don Freud

Camillo Langone
L'arte, come il sacerdozio, non è un mestiere ma una vocazione: sette consigli per diventare come il pittore inglese Lucian Freud, il più grande di tutti. 

Giovani, carini, disoccupati, sono, citando un film anni Novanta, gli artisti italiani nati negli anni Novanta e magari anche negli anni Ottanta (ma non nel 1980: mi rifiuto di considerare giovane un trentaseienne). Giovani, carini, mosci, sono, citando il critico Luca Beatrice intervenuto sul Giornale, alcuni nomi blandamente emergenti come Santo Tolone (“minimalismo nella versione Ikea”), Alek O (“pittura astratta senza dipingere”) e Luca Monterastelli (“sculture stanche, afflosciate su se stesse”). Un antidoto alla spossatezza, al carinismo, alla decorazione venduta per arte potrebbe essere l’eccitante biografia del massimo pittore inglese del ventesimo secolo e dell’inizio del ventunesimo (è morto nel 2011): “Colazione con Lucian Freud. Ritratto di una vita nell’arte” di Geordie Greig (Mondadori).

 

Freud non fu carino, sinonimo di innocuo, bensì, per tutto l’arco della sua lunga vita, affascinante, ossia al contempo attraente e pericoloso. Anche per questo è riuscito a diventare il ritrattista dei più grandi inglesi del suo tempo, dalla regina Elisabetta a Kate Moss, ad avere cinquecento amanti e a venire pagato anche oltre un milione di sterline a quadro. Oggi gli artisti italiani (sia nati dopo il 1981 che prima, tanto non è che abbondino i quarantenni di successo) devono imparare più dal Freud nipote che dal Freud nonno (Sigmund oltre che della psicanalisi fu il padre del padre di Lucian) e per questo ho ricavato dalla biografia una serie di preziosi consigli per fare della propria vita un’opera d’arte e quindi delle opere d’arte la propria vita.

 

1. Strozzare il gatto e comprar poiane

 

Molti pittori, alcuni perfino bravi, si fanno stoltamente fotografare insieme a gatti finendo col somigliare a poeti pubblicanti a proprie spese. Non c’è nulla di più dozzinale della foto col gatto: internet ne è rigurgitante. A carezzare animali carini si diventa carini, ossia irrilevanti. In uno dei quadri freudiani più memorabili, “Girl with a kittin” del 1947, la prima moglie del pittore sembra strangolare il felino del titolo. Personalmente Freud prediligeva animali feroci o schifosi. In “Naked man with rat” il modello stringe nella mano un topo la cui coda si distende sulla coscia e gli sfiora il membro (durante le lunghe pose il topo veniva ubriacato di Veuve Clicquot, per farlo star fermo). Sulla copertina della biografia Freud maneggia, con apposito guanto, un falco. Possedette inoltre poiane e una coppia di sparvieri “cui dava da mangiare i topi che cacciava egli stesso, con il suo fucile, lungo il canale di Regent’s Park”.

 

2. Non fare beneficenza mai.

 

Chi gli chiese un pezzo da devolvere in favore di Save the Children ottenne un urlaccio: “Vada via!”. Non sprecò altre parole perché “Lucian non chiedeva mai scusa, e raramente dava spiegazioni”. Questo atteggiamento ricorda il dandistico motto di un altro gigante d’Inghilterra, anch’egli nato ebreo e morto cristiano (funerali in chiesa per entrambi), e sto parlando di Benjamin Disraeli: “Never complain, never explain”. A differenza del nonno, Freud nipote scrisse pochissimo, solo due articoli centrati sulla propria idea di pittura. Nel primo si legge: “Sono assolutamente egoista. Non lo dico vantandomene, ma come un dato di fatto”. Mentre gli artisti carini non sanno dire di no e anzi non vedono l’ora di regalare pezzi alle aste di Emergency. Pur essendo mediamente alla fame non si tirano indietro nemmeno se c’è da fare beneficenza a un ricco, ad esempio a Luciano Benetton che per la sua collezione chiede (e quasi sempre ottiene) quadri gratis, sfruttando l’insicurezza, la carinaggine, la dabbenaggine dei malcapitati.

 


Da sinistra a destra: "Girl with a White Dog" (1950) ritrae la moglie con un cane; "Girl with a kittin" dove la moglie sembra strangolare il felino


 

3. Boicottare le aste con qualsiasi mezzo.

 

La swinging London non era certo l’Italia pidocchiosa degli anni Dieci, eppure anche allora e lassù le aste danneggiavano quotazioni e carriere degli artisti. Freud anziché piagnucolare si attivò per sabotarle, commettendo reati. Protetto dalla prescrizione, al biografo racconta: “Mettiamo che dessi un quadro a uno e poi quello venisse a sapere che qualcosa di mio era stato venduto per un sacco di soldi. Lo metteva all’asta, e io lo facevo rubare o cose del genere”. Freud aveva amici nella malavita di Paddington ma all’occorrenza sapeva fare da sé, non disdegnando lo scontro fisico: “Era frequente che papà prendesse a pugni un tassista”, ricorda una figlia. (Grand’uomo! Grande maestro! Anch’io avrei voluto prendere a pugni l’ignobile tassista romano che fece finta di non conoscere Via del Gesù, per farmi fare un giro assurdo e spendere il doppio). Grazie alle risse passò più di una notte in cella, in compenso ottenne un’utilissima cattiva fama. Per peggiorarla raccontava che da ragazzo aveva incendiato una scuola, e per combinazione alcune case di aspiranti venditori presero misteriosamente fuoco. Quando non erano indispensabili le maniere forti si limitava a non rilasciare le autentiche e a dichiarare il falso ossia che i quadri erano stati modificati, facendone crollare il valore. Ammaestrati da questi metodi i collezionisti si guardarono bene dallo svenderlo alle aste e alla sua morte poté lasciare novantasei milioni di sterline nonostante una vita di lussi e disastrosi sperperi.

 

4. Frequentare i ricchi.

 

Un imbianchino può permettersi amici poveri perché anche un trilocale periferico necessita di essere periodicamente imbiancato, un pittore deve avere amici ricchi perché solo costoro possono concedersi il superfluo indispensabile dell’arte. Specie se questo pittore è troppo superbo per seguire le mode: nel periodo in cui Freud non piaceva ai critici l’importantissima galleria Marlborough lo teneva nella propria scuderia, in cui spiccavano nomi come Bacon, Moore e Sutherland, solo perché amico di un azionista, il duca di Beaufort. Oppure se ha il vizio delle scommesse: “A convincere Heinrich Thyssen-Bornemisza, allora l’uomo più ricco del mondo, a commissionargli un ritratto, precipitandosi da lui nel cuore della notte, era stato lo stesso Lucian. In quel periodo i debiti di gioco minacciavano di mandarlo completamente in rovina e quella commissione era stata un’ancora di salvezza”. Le accademie di Belle arti non insegnano né a dipingere né a diventare amici di un Ferrero, di un Del Vecchio, di un Berlusconi: inutili.

 

5. Frequentare le ricche.

 

Innanzitutto le donne ricche posano gratis. E le pose di Freud erano lunghissime, estenuanti, duravano settimane se non mesi, e si svolgevano sia di giorno sia di notte: erano quindi incompatibili con qualsivoglia forma di lavoro dipendente, forse con qualsivoglia forma di lavoro. Spesso le donne ricche perfino pagano: “Si era fatto prestare dei soldi anche da Jane Willoughby e quando si era trovato davvero in cattive acque le aveva venduto alcuni dei quadri che possedeva, per esempio Two Figures di Francis Bacon. Anche se essi diventavano di proprietà di lei, restavano a casa di Lucian”. La prima musa, la bellissima Lorna, quando non cavalcava guidava la Bentley del tollerante marito: Bentley e mariti tolleranti furono due costanti, direi anzi due necessità, della vita di Lucian Freud. La seconda moglie, la bellissima Caroline, era l’erede della fortuna Guinness. Fra le centinaia di amanti il numero di baronesse, contesse, marchese, duchesse è strabiliante, i doppi cognomi frequentissimi (non per nulla Evelyn Waugh lo definì “parassita ebreo”). In vecchiaia non si piegò, come succede, a similbadanti dispensatrici di cure in cambio di conforto economico: l’ultima musa, ovviamente amante (arte e vita per Freud coincisero sempre), la donna immortalata nuda nel formidabile “The painter surprised by a naked admirer” del 2005, si chiamava Alexandra Williams-Wynn, aristocratica gallese di oltre mezzo secolo più giovane.

 

6. Non fare bambini o, ancor meglio, farne tantissimi.

 

Un figlio distrae dalla pittura (quante artiste anche brave ho visto eclissarsi causa poppate e appagamento fornito dalla maternità, quanti artisti ho visto trasformarsi in mammi premurosi e tralasciare i pennelli), invece quattordici figli sono semplicemente una manifestazione di grande vitalità. Specie se prodotti con sei donne diverse come è capitato a Freud, che in verità di figli ne ebbe forse trenta o quaranta, come hanno calcolato gli amici, solo che gli eccendenti il numero di quattordici vennero dalle madri adultere addebitati agli sposi legittimi. Ingravidava di continuo perché “per Lucian ogni precauzione era terribilmente squallida”. E poi andava sempre di fretta. “A volte bussavano alla porta dello studio” racconta un modello “ed entrava una donna che andava dritta in bagno. Lucian mi diceva: Mi prendo una pausa, ma non ci metterò molto. Poi sentivo il bang, bang, bang di lui che la scopava, ma non sul letto, sempre dietro la porta”. A questo inarrivabile esteta nel 1961 nacquero tre figli da tre donne diverse, e il groviglio lo dispensava da fastidiose coabitazioni. “Il suo amico Cyril Connolly ebbe a scrivere che il passeggino in corridoio è nemico dell’arte”. Freud prese sul serio l’amico scrittore e non visse coi figli e a molti di loro non concesse nemmeno il numero di telefono. E’ carino un simile atteggiamento? Non è carino affatto, è però indispensabile per concentrarsi sulla tela. Perché l’arte come il sacerdozio non è un mestiere, è una vocazione che richiede un impegno totale.

 

7. Non seguire le mode artistiche bensì, a volte, le mode extra-artistiche.

 

“Negli anni Settanta i suoi dipinti erano per lo più giudicati assolutamente orrendi, le cose più brutte che si potessero avere in casa”. Fino al 1992, quando già settantenne finalmente esplose a livello internazionale, fuori della sua cerchia Lucian Freud veniva considerato artista obsoleto, in quanto pittore figurativo. Lui contraccambiava considerando spazzatura l’astrattismo e l’arte concettuale “convinto che al cuore dell’attività di un artista dovesse esserci l’osservazione della figura umana”. Era però tutt’altro che un passatista: sfrecciando sulla sua Bentley ascoltava i Blondie a tutto volume (peccato non abbia mai ritratto Debbie Harry), vestiva Issey Miyake e arrivò a fare un tatuaggio (a bordo di un taxi!) a Kate Moss. Le foto dell’amicizia tra superpittore e supermodella dimostrano la grandezza di entrambi, e l’immagine di Kate che abbraccia Lucian sul letto di morte rappresenta il degno coronamento di una vita spericolata e stupenda. Fossi un pittore italiano vivente non mi darei pace fino a quando Bianca Balti non posasse nuda per me. Gratis. Anzi pagandomi. Anzi anzi: pagandomi e amandomi.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).