Chiara Ferragni, l’influencer da 5,6 milioni di follower instagram (nella foto è a Parigi). L’anno prossimo inaugurerà la sua prima boutique a Milano

La nuova influenza

Fabiana Giacomotti
Una moda parallela. Due milioni di fashion blogger nel mondo, e chi sfonda determina stili e fatturati

Per le pr della moda milanese, il più grande smacco delle ultime sfilate è stato vedere che i capi inviati a Chiara Ferragni – 5,6 milioni di follower instagram e una posizione fissa nella classifica di Forbes che le permette di esigere la qualifica di influencer al posto di quella, ben più comune e meno monetizzabile, di blogger – venivano sfoggiati non da lei ma dalla sorella minore, la semi-sconosciuta Valentina. La sola idea che la stella del firmamento social nazionale, punto di riferimento per milioni di ragazze che comprano un magazine femminile sì e no due volte all’anno ma compulsano più volte al giorno i suoi look su Instagram e Snapchat, avesse distribuito marchi che evidentemente riteneva di seconda scelta fra collaboratori e parenti, le ha mandate ai pazzi per tutta la settimana. Sbagliano. Avendo seguito per qualche giorno le avventure della ragazza sui social, dai cambi frenetici di look alle boccacce di gruppo con la mamma ex venditrice di campionari Blumarine, dicono bravissima, mi pare piuttosto evidente che la ventottenne Chiara abbia piani più vasti e articolati rispetto a quello di fare sgarbi che in ogni caso non le gioverebbero, e che stia invece guardando avanti, diciamo nell’ottica del network Kardashian. All’indirizzo societario “Chiara Ferragni official”, è evidente che la sola Chiara non basti più, per cui non mi stupirei se presto ritrovassimo l’intera schiatta Ferragni su blog, Instagram, Facebook, feste e forse anche un reality benché certamente non trasmesso in televisione perché, come disse un paio di anni fa il suo fidanzato Riccardo Pozzoli che nel frattempo è diventato un ex ma ne è rimasto il manager, a chi fa moda frequentare la tv fa malissimo.

 

Sono passati ormai dodici anni da quando Gala Gonzales, modella e dj madrilena, il filippino Bryan Grey Yambao, nickname BryanBoy, più un manipolo di altri ragazzini innamorati della moda ma privi di qualifiche o di contatti per accedervi, intuirono le opportunità del web e, grazie agli scatti di guardaroba presi in prestito, affittati e combinati con ingenua sapienza e ai commenti postati sui propri blog, attirarono l’interesse delle più importanti griffe mondiali e la protezione affettuosa dei direttori più in vista, al punto che una delle poche foto di Anna Wintour sorridente note a memoria d’uomo la riprendono appunto accanto a quel ragazzino asiatico alto, magrissimo e con la passione per i tascapane a tracolla e i tacchi alti. Di quella prima, pionieristica generazione di blogger ambiziosi ma spontanei che non si sapeva bene di che cosa campassero e ai quali proprio per questo motivo le giornaliste dei giornali titolati prodigavano la sbadata sollecitudine che si riserva a un cucciolo, ben pochi sono ancora attivi: qualcuno si è fatto cooptare nelle redazioni delle suddette riviste, ora sempre più periclitanti a prescindere dalla spocchia che mostrano per dovere di rappresentazione, imboccando dunque una strada che già si intuiva piuttosto comoda nel senso sbagliato e nella direzione del cul de sac; altri, come la francese Alix Bancourt che tutti volevano per la sua frangetta così parisienne, è diventata mamma e posta penosissime foto della sua piccola in tutina sponsorizzata, lasciando intuire un presente ben poco eccitante in un universo che vive soprattutto di apparenza e di presenza costante, ossessiva e isterica a feste, eventi e sfilate di cui il resto del mondo sbircia e condivide pochi coriandoli e sogni spesso solamente ben inquadrati. Un piccolissimo gruppo, però, è diventato milionario, e con loro “the blonde salad”, l’insalata bionda di origine e coltivazione cremonese.

 

Attualmente il giro d’affari di Chiara Ferragni, che ufficialmente non viene pagata per indossare marchi di moda (“il suo gusto non si compra”, dice il solito Pozzoli), ma sviluppa progetti ad hoc, è pari a 10 milioni di euro, e comprende il blog, un contratto da testimonial di Pantene e di Amazon Fashion per il quale Jeff Bezos avrebbe staccato un assegno da trecentomila dollari e una linea di calzature sviluppate con Steve Madden piuttosto carine che valgono per il settantacinque per cento dei ricavi. Entro settembre aprirà la propria divisione e-commerce (per la quale, ça va sans dire, l’esperienza di mamma tornerà utile), entrando dunque in concorrenza non paritetica ma comunque diretta con colossi come Yoox Net-à-Porter. L’anno prossimo inaugurerà invece la sua prima boutique a Milano, a insegna Chiara Ferragni Collection, dando dunque e finalmente i punti a quel folletto dell’americana Tavi Gevinson, diciannove anni, sotto i riflettori da quando ne aveva dodici grazie a un blogger compulsato da Karl Lagerfeld e Iris Apfel che la ragazza, padre insegnante di liceo, madre di ebraico, nel tempo ha trasformato in un magazine in cui si mescolano temi sociali e istanze femministe a consigli e soprattutto geniali parallelismi con la storia della moda, che la rendono un unicum in un panorama dove la cultura non è la prima discriminante. Nel frattempo canta, recita a teatro e ha posato molto elegantemente vestita per il Calendario Pirelli 2016 firmato da Annie Leibowitz, probabilmente il primo della storia che le donne tengano volentieri esposto in ufficio.

 

Technorati calcola che attualmente nel mondo esistano due milioni di fashion blogger, disordinatamente catalogabili fra chi mette in rete quando capita il contenuto del proprio armadio e offre consigli di stile poco più che casalinghi, in buona sostanza dei derivati diretti degli scrapbooks vittoriani e senza alcuna speranza di ricavarne dei quattrini, chi tartassa le case di moda per ottenere inviti alle sfilate, omaggi, capi da indossare in cambio di post e possibilmente con assegno allegato, e infine l’élite che, al contrario, è ricercata, blandita, fatta oggetto di attenzioni e, in rarissimi casi, di veri e propri contratti come testimonial. Fra i peones che si agghindano per farsi fotografare per strada o ai photocall degli eventi e poi, una volta entrati, si siedono docili nelle ultime file o restano in piedi nella Siberia della cosiddetta “area standing” in attesa di un qualunque talent scout e il leader nazionale Mariano di Vaio, 4,6 milioni di seguaci ufficiali e una biografia instagram concentrata nello scioglilingua “babbdabubbi”, che a un amico fiorentino chiese quindicimila euro per presenziare trenta minuti a una conferenza stampa a Pitti Uomo, corrono dunque un fiume di denaro, una marea di accessori griffati gratis e la contiguità con le star del grande schermo, benché alcuni dei poverini del primo gruppo usino scatti e foto solo nell’attesa di terminare gli studi e nella speranza di ottenere un posto fisso nell’ufficio marketing di una multinazionale del lusso e Mariano di Vaio scriva invece post in un inglese irraggiungibile perfino dai personaggi dei Vanzina. Appena il giro d’affari si consolida e la fama per la fama sembra assicurata, questi personaggi a metà fra le celebrity e la stylist ingaggiano un agente, un assistente che li sollevi dall’incubo del selfie fotografandoli di continuo a comando e fissano il tariffario: sotto i centomila follower, che è il caso di Elisa Taviti e Paola Turani, la richiesta per la presenza alle sfilate e il post su Twitter, Instagram e Snapchat è di circa millecinquecento euro, che non sono neanche tantissimi se si pensa che, di quanto viene mostrato in passerella, in realtà le ragazze vedono poco e nulla perché passano tutto il tempo a scattare foto e a scrivere, fosse pure l’ubiquo “amazing!” o un emoji sbaciucchiante. Attorno ai duecentomila follower, che per l’Italia è un risultato di tutto rispetto, le richieste raddoppiano: è su questa cifra che, ipoteticamente, si assestano per esempio le quotazioni di Veronica Ferraro o di Candela Novembre, ex-It Girl di Grazia ed ex moglie del designer Fabio Novembre di cui ha conservato il cognome, modello Santanché, e uso l’ipotesi perché, come nella carta stampata e in omaggio alla stessa filosofia che un tempo permetteva a Enrico Cuccia di tener fuori dal salotto buono della finanza cafoni e arraffoni, anche nel mondo dei blogger le griffe e le relazioni non si contano ma si pesano, tanto che Giulia Valentina, fresca ex di Fedez che è un dettaglio da rotocalco però indispensabile a fini comparativi, avrebbe prestato volto e account instagram al colosso del retail MacArthurGlen durante le ultime sfilate milanesi per una cifra irrisoria. Vi assicuro che scatenare i flash pur essendo ignoti al mondo non è difficile come sembra e che la bellezza, pur essendo come ovvio una discriminante, non è neanche imprescindibile. L’altro giorno alla sfilata parigina del marchio John Galliano ho visto un’adorabile blogger di proporzioni realmente tascabili, diciamo attorno al metro e quaranta, incrociare con grazia le cortissime gambe nella posa tipica delle star sul tappeto rosso e fronteggiare con sguardo seduttivo i fotografi avvolta in una pelliccia di mongolia bianca. Come regola generale, alle signore basta mostrare uno spericolato spariglio estetico, infilando per esempio un paio di sandali a tacco altissimo sotto un cappotto maschile e/o trench, badando a tenere le gambe nude, un broncio ostinato e i capelli arruffati modello “quando mi hanno trascinata fin qui stavo facendo sesso con un figo pazzesco, che cosa volete da me”. Per gli uomini è quasi sempre sufficiente sfoggiare un panciotto damascato o una camicia di seta stampata di taglio settecentesco che l’inarrivabile stilista inglese Michael Fish vendeva a David Bowie ai tempi di “The man who sold the world” e che oggi il designer di Gucci Alessandro Michele ha riportato in auge, benché quasi tutti i blogger ignorino le ascendenze secolari di quanto indossano.

 

Nel mare dell’ignoranza non naviga di certo solo l’esilarante Di Vaio e il suo “for the series”, ed è forse per questo motivo che, per molti anni, le croniste della moda hanno osservato divertite le evoluzioni di questa torma di improvvisati, dedicando loro con magnanimità servizi interi. Adesso che lo spazio sui giornali è contingentato a causa della crisi irreversibile della carta stampata e che le case di moda guardano con maggiore attenzione a quei milioni di follower, ridono decisamente meno. Vendere moda è diventato difficile almeno quanto piazzare le riviste che la raccontano, e chiunque contribuisca almeno alla fama di un marchio merita considerazione. Abbiamo già analizzato qualche settimana fa sul Foglio le tecniche che quasi tutti i blogger usano per moltiplicare contatti e quotazioni, dei villaggi indiani dove famiglie molto diverse da quelle di Chiara Ferragni o di Giulia Valentina ma fortunatamente provviste delle stesse ambizioni creano profili fakes al ritmo di uno al minuto e li vendono a pacchetto, ma il dato vero, nuovo e incontrovertibile è che a nessuna delle aziende pronte a pagare pochi o tanti denari per un post interessa granché che talvolta fino alla metà dei follower sia stata data origine in una baracca del Tamil Nadu. Per decenni, dopotutto, hanno pagato i dati di vendita palesemente truccati delle riviste e lo fanno tuttora, senza alcuna garanzia di ritorno nelle vendite e in notorietà per puro goodwill, cioè per tenere buoni direttori e casa editrice nel suo complesso, che talvolta purtroppo comprende anche approfondite pagine dedicate all’economia. Di alcuni di questi blogger, invece, i post sono misurabili come le raccolte delle figurine Liebig di epoca fascista: ogni volta che si fa fotografare con una borsetta nuova, l’americana Olivia Palermo, professione sconosciuta oltre al regolamentare “attrice e modella” che compare sul suo profilo e a dispetto dell’evidenza che abbia interpretato giusto una parte in un reality, insomma meno di quanto abbiamo fatto in televisione e nel cinema voi e io, manda la suddetta borsetta sold out su tutti i siti di e-commerce, al contrario di quanto faremmo voi e io, per cui è facilmente comprensibile che Rochas o Max&Co. l’abbiano voluta come testimonial.

 

Come dice una delle comunicatrici più famose della moda italiana, Giulia Masla, non sempre è il numero dei follower a determinare la scelta di chi verrà beneficiato con contratti e inviti (“è sempre utile avere ospiti ben vestiti e interessanti a una sfilata”), quanto la passione per la moda che la qualità dei commenti degli stessi follower permette, sebbene con scarsa precisione, di valutare. “Piuttosto”, osserva, “mi pare che rispetto alla prima generazione, i blogger abbiamo perso di autenticità e freschezza”. Pochissimi fra i blogger di successo, ovvero gli “influenzatori” di stili e di fatturati, possono permettersi scelte totalmente autonome e di non monetizzare ogni singolo cerchietto per capelli. Una di queste è Anna Dello Russo, simpatica oltre le pose, grazie però al contratto di consulenza creativa per Vogue Giappone e a una vera, profonda conoscenza dell’industria della moda che le permette di indirizzarla non solo davanti, ma anche dietro le quinte. E d’altronde, quale freschezza e spontaneità si può ritrovare in riviste che non sostengono un giovane stilista privo di budget pubblicitario a meno che, per complicate alchimie di ordine diplomatico ed economico fra pr, distributori e produttori, venga concesso ai loro direttori di farlo da reparti marketing che ormai parlano direttamente con le redazioni, scavalcandoli? Se non altro, i blogger o gli influencer che dir si vogliano, mostrano nei loro post un’allegria che le vecchie vestali della moda, invariabilmente vestite di nero e sempre, dichiaratamente affette dal male di vivere, hanno perso da anni, se mai l’hanno avuto. E la moda, di allegria ha molto bisogno. Una delle più recenti iniziative della solita Ferragni è la divisione “talent”, che gestisce il profilo di alcuni personaggi oltre a quello, tutto da costruire, della sorellina. Per chiederle di valutare le vostre chance, basta mandarle una mail.

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