Antonin Scalia (1936-2016) era stato nominato giudice della Corte suprema americana dal presidente Reagan nel 1986

Il beato Scalia

Lo descrivevano come un oltranzista della fede e della Costituzione. Ma il giudice della Corte suprema era solo un grande cattolico. Lo fece infuriare l’insinuazione che i voti dei giudici cattolici su aborto e matrimonio fossero derivati dalla dottrina cattolica.

Antonin Scalia era cattolico. Obama ha detto che era un “devoto cattolico”, Il National Catholic Reporter ci ha tenuto a precisare che era un cattolico “molto tradizionalista”, per Crux – il giornale diretto da John Allen – era addirittura “un campione del cattolicesimo tradizionalista”, molti articoli dopo la sua morte ricordavano che quando abitava a Chicago andava alla messa tridentina, mentre a Washington si accontentava del rituale ordinario latino di Paolo VI, e per raggiungere la chiesa di Santa Caterina da Siena a Great Falls, in Virginia, faceva appositamente molte miglia ogni domenica. “Abbiamo sempre viaggiato molto per trovare chiese che avessero una messa davvero riverente, il tipo di chiesa in cui entri e c’è silenzio, non quelle chiese che sembrano sale riunioni e tutti parlano”, aveva detto alla sua biografa, Joan Biskupic. Tutti hanno ricordato che uno dei nove figli del giudice, Paul, è un prete cattolico, ma non un prete qualunque, è un prete tradizionalista promotore di riti tradizionalisti presso parrocchie tradizionaliste che ospitano seminari in cui lui, superando a destra la tradizione, dichiara che l’omosessualità non esiste. Non è un orientamento, non è un’identità, è uno stato di confusione. Il giudice della Corte suprema è andato nella scuola più elitaria dei gesuiti di New York e poi nell’università più elitaria dei gesuiti di Washington, la forma di contraccezione che praticava era la “roulette vaticana”, non guardava con particolare simpatia alle riforme liturgiche del Vaticano II, credeva addirittura nel diavolo, come aveva scoperto, affettando l’ironica sorpresa di chi si sente meno arretrato del suo interlocutore, una giornalista del settimanale New York.

 

Il cattolicesimo esageratamente retrogrado di Scalia aveva interrogato molti cultori degli intrighi da sagrestia. Un giornalista gli aveva anche chiesto se tutto questo incenso e queste formule latine da baciapile d’altri tempi non l’avessero in qualche modo danneggiato, lui aveva risposto fregandosi le dita della mano sotto il mento, gesto che un italiano afferra subito. Il Boston Herald, che credeva di aver fatto un grande scoop inducendo il giudice a fare una cosa oscena, aveva interrogato i peggiori esperti di gestualità su piazza per montare un piccolo caso. Scalia, più semplicemente, se ne infischiava di chi lo criticava per il suo tradizionalismo, anzi si pronunciava cattolico mainstream, generico, con una sua sensibilità particolare, certo, ma i carismi sono molti e lo Spirito è uno. E’ ironico soltanto fino a un certo punto che per decenni abbia dovuto spiegare pubblicamente che lui non era un certo-tipo-di-cattolico, ma soltanto un cattolico. La stessa intervistatrice che ironizzava sul diavolo cercava di fargli dire qualche malignità contro Francesco, che nella logica della politica religiosa dovrebbe essere dall’altra parte della barricata, e non aveva ottenuto niente: “E’ il vicario di Cristo”, è “il boss”, “non sta cercando di cambiare il dogma” e anzi, diceva il giudice, trattato come un Trump qualsiasi, ben venga se il Papa riuscirà “a riportare lo spirito evangelico” che s’è un po’ appannato.

 

Scalia era cattolico, ma in vita e in morte è stato presentato come una specie di crociato, un integralista, un tipaccio più a destra di Ratzinger, un irriducibile rappresentante della famosa “religious right”, qualunque cosa voglia dire, un oltranzista della fede, e questo oltranzismo ha investito qualunque aspetto della sua esistenza, in primis il modo di interpretare la Costituzione. Altri cinque giudici cattolici gli sedevano accanto, ma lui era quello cattolicissimo, praticamente scriveva le opinioni in latino, consultandosi prima con il Vaticano e poi usando l’arguta idea originalista per giustificare a posteriori i suoi argomenti. Erano articoli di fede contrabbandati per inappuntabile disciplina giuridica. Il giornalista Bruce Allen Murphy ha avuto la bontà di dirlo chiaramente, facendo della sospetta lealtà di Scalia verso il metodo interpretativo costituzionale la tesi portante della sua biografia, “Scalia: a Court of One”: “Il cattolicesimo preconciliare e l’originalismo/testualismo sono a tal punto paralleli nel loro approccio che Scalia non ha potuto non rendersi conto che usando la teoria originalista avrebbe ottenuto, come giudice, tutto quello che la sua religione comandava senza dover mai ammettere che stava usando la sua fede”. Era, insomma, un abile propalatore di filosofie giuridiche coerenti che servivano a mascherare la verità: che era in missione per conto di Dio.

 

“Originalista quanto un uomo sulla luna”, ha detto l’ultra liberal Michael Dukakis, che era alla scuola di legge di Harvard insieme a Scalia. Eric Posner, professore di Diritto internazionale e figlio del giudice Richard, dice che l’originalismo è sulla via del tramonto, perché sulla via del tramonto sono i giudici conservatori cui la dottrina faceva comodo come paravento per loro inclinazioni teologico-politiche. Così, dopo il sabato mattina in cui non è sceso per la colazione al ranch di Cibolo Creek, in Texas, Scalia è stato soprattutto raccontato come arciconservatore e arcicattolico, più devoto al catechismo che alla Costituzione. Geoffrey Stone, il grande specialista del Primo emendamento dell’Università di Chicago, ha scritto a chiare lettere sul suo blog nel 2007 che i voti dei cattolici nella Corte suprema su aborto e matrimonio sono derivati dalla dottrina cattolica, insinuazione che ha fatto infuriare Scalia, che ha invitato a boicottare gli eventi della scuola di Legge. Cass Sunstein, altro giurista liberal che di Scalia ha ereditato la cattedra a Chicago, nel suo libro “Radicals in Robe”, del 2005, ha raccontato gli sforzi sostanzialmente politici di una falange di “radicali in toga” per riorientare la società in senso conservatore a suon di sentenze, giustificate strumentalmente dall’originalismo giudiziario. Al centro del complotto di destra c’era inevitabilmente Scalia, il primus inter pares dei conservatori. Dieci anni più tardi la società è stata riorientata in senso liberal a suon di sentenze, e Sunstein si duole sinceramente della scomparsa del suo radicale in toga preferito. Il professore George Kannar ha sublimato il cattolicesimo di Scalia fondendolo con la sua metodologia interpretativa. Ne è venuto fuori il “catechismo costituzionale”, modello emerneutico radicato nell’interpretazione dei testi religiosi nel cattolicesimo romano preconciliare. Il giudice, insomma, aveva imparato a interpretare il dettato costituzionale più che altro sul Denzinger.

 

“Il fanatismo anticattolico è il pregiudizio più profondo del popolo americano”, diceva Arthur Schlesinger in altri tempi, e Scalia non è sfuggito alla regola nemmeno in questi tempi. Certo, il personaggio era brillante e pittoresco, personalità difficilmente detestabile, ma faceva molta simpatia alla gente che piace quando, fuori dagli obblighi ufficiali, andava a teatro sottobraccio con Ruth Bader Ginsberg, mentre quando parlava dei criteri con cui la Costituzione andava interpretata, la stessa gente che piace solitamente era convinta che, in fondo, mentisse sapendo di mentire. Nella percezione collettiva era un giudice cattolico, non un giudice e un cattolico. In fondo era per questo che alla cerimonia di inaugurazione di Obama si era messo un cappello che era la copia identica di quello di Thomas More, e non si era persa l’occasione per ricordare le ultime parole dell’uomo per tutte le stagioni prima del martirio: “Muoio da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio”.

 

[**Video_box_2**]A chi era davvero fedele Scalia? E’ una domanda che i cattolici americani si sono sentiti fare per generazioni, e ci sono volute infinite esibizioni di lealtà alla patria per convincere l’establishment che il percorso di assimilazione era stato completato correttamente, la bandiera e la Costituzione venivano prima di ogni cosa. Non è per caso che l’Fbi è piena di cattolici, né che i poliziotti di New York sono per la stragrande maggioranza di origine irlandese e italiana: era il modo più semplice per dimostrare fedeltà al paese. Notoriamente Scalia diceva che l’unico comandamento che seguiva quand’era in aula era l’ottavo, non dire falsa testimonianza, mentre per il resto doveva rimanere fuori. “Se pensassi sinceramente che la Costituzione garantisse a una donna il diritto all’aborto, sarei dall’altra parte”, diceva, lui che ha sempre sostenuto l’illegittimità della Roe v. Wade del 1973 sulla base del solo testo. “Non ci sono giudici cattolici, ci sono soltanto buoni giudici e cattivi giudici”, dove il buon giudice, nella visione di Scalia, è quello che non aggiunge ciò che la Costituzione non dice. L’ancoraggio testuale, motteggiato da alcuni per alcuni suoi inevitabili anacronismi, era quello che gli permetteva di mantenere un atteggiamento – cattolico – di leggero distacco. Essere originalisti significava considerare la Costituzione un documento imperfetto, come tutte le cose umane, e infatti Nino Scalia diceva che l’America è piena di cose “stupide ma costituzionali”, e considerava una vittoria poggiarsi in modo certo e prevedibile – “predictability” è un concetto chiave del suo metodo testuale – su un emendamento fragile, tutto sommato effimero, una buona approssimazione. A un testo morto è difficile attribuire significati eterni. Poteva accettare l’imperfezione delle cose umane perché sapeva di avere sopra la testa un cielo divino: in questo era cattolico, non perché faceva la guerra all’aborto per via giudiziaria. Allo stesso modo, pensava dell’originalismo più o meno quello che Churchill pensava della democrazia: “Il mio scopo non è mostrare che l’originalismo è perfetto, ma che batte le altre alternative”. Il supercattolico che brandisce la croce rappresentato in questi giorni era anche in dialettica con certi insegnamenti della chiesa. La pena di morte la considerava “moralmente accettabile” e naturalmente costituzionale, anche se per ragioni completamente diverse. Aveva difeso strenuamente il diritto dello stato dell’Arizona a fare più o meno di tutto per tenere fuori dai confini i clandestini, e dopo la scomunica virtuale di Francesco a Trump, palazzinaro che si ricicla costruttore di muri, la decisione di Scalia appare aggravata. Ma non ci sono giudici cattolici. C’era un giudice che era anche cattolico, credeva nella Costituzione americana e nella bandiera che voleva permettere di bruciare per totale, definitiva fedeltà al testo, e intanto senza tema di contraddizione abbracciava l’ancestrale topos del folle in Cristo: “Dall’inizio Dio sapeva che il mondo avrebbe visto i cristiani come pazzi”, ha detto a una platea di studenti cattolici. “Se vi ho portato un messaggio oggi è questo: siate coraggiosi abbastanza da lasciare che la vostra saggezza sia considerata stolta. Siate folli in Cristo. E abbiate il coraggio di soffrire l’odio del mondo sofisticato”.

 

In un’altra occasione ha ricordato di una visione londinese, all’Hyde Park Corner: un prete in piedi su un fustino del detersivo che predica ai passanti, e un gruppo di ragazzi che lo beffeggia: “E ho pensato, mio Dio. Ho pensato che fosse ammirevole. E spesso ho lamentato il fatto che la chiesa avesse perso quello spirito”. Sono osservazioni sovrapponibili a una sensibilità francescana, piuttosto riluttante alla “culture war” contro la secolarizzazione, almeno quella fatta in modo frontale, corpo a corpo.

 

La mistica dell’ultracattolico tradizionalista è un buon modo per appiattire Nino Scalia su una sola dimensione. Ma c’è anche altro. C’è anche il giurista che cura maniacalmente il lessico e la sintassi delle sue opinioni, inchinandosi all’idea di Peguy che “un lavoro ben fatto è ricompensa a se stesso”; e c’è il fedele solitario raccontato da un ricercatore dell’Acton Institute di nome Jeffrey Tucker, che per caso lo ha notato mentre s’attardava all’ultimo banco dopo la messa. Quando si è alzato per uscire una donna gli si è fatta incontro. Aveva “ferite e piaghe sulla faccia e le mani. Aveva una brutta malattia, e non solo fisica. Si comportava in modo strano, come quelle persone con dei problemi che incontri nelle grandi città e dalle quali ti allontani rapidamente. Una persona da evitare e certamente da non toccare”. Lui le ha preso la mano, l’ha ascoltata, è stato con lei mentre lei scoppiava a piangere sulla sua spalla; che si sappia non ha fatto miracoli né le ha spiegato quant’è assurdo interpretare il quattordicesimo emendamento come fanno i suoi colleghi, ma è rimasto lì. Scalia era un cattolico normale.

Di più su questi argomenti: