Ferdinand Georg Waldmüller, “Dopo la scuola”, 1841 (Berlino, Alte Nationalgalerie)

Una scuola bella da morire

Annalena Benini
Dalla pizza di classe al gruppo Whatsapp. Bambini felici, genitori al massacro. Povere mamme. “Cari genitori, che bella occasione per dimostrare che siamo una comunità: una gita a soli ottanta chilometri da qui”.

C’è una bella gita da fare, un parco avventura con spazio picnic, possiamo portare tutti i bambini domenica mattina. Chi è d’accordo? Sono solo ottanta chilometri, giusto un po’ di tornanti alla fine. Ah, Stella soffre l’auto? Genitori, che cosa consigliate? Travelgum, Cocculine omeopatico, caramelle, no meglio solo il finestrino aperto e un sacchetto pronto, una banana a piccoli morsi, mia figlia Erica veramente sta benissimo da quando viaggia guardando i cartoni sull’iPad, nooo Giovanni se vede un’immagine in movimento vomita, devo bendarlo e cantargli “Il Piave mormorava”, cara guarda che forse non è nausea ma un problema psicologico, forse rifiuta l’idea del viaggio, hai provato a parlarci?, ma insomma chi viene? Cerchiamo di essere una classe per una volta, stiamo uniti, mandate le adesioni entro domani, dobbiamo prenotare. Sarebbe bello che ognuno portasse qualcosa per il picnic, ma tutti tutti, non i soliti, e non i soliti pezzi di pizza magari (abbiamo tre allergici al glutine, in classe, rispettiamoli), sarebbe importante che partecipassero anche quelle mamme un po’ latitanti, vabbe’ non facciamo i nomi. Questa è una bella occasione per stare insieme. Cari genitori, rispondete qui. Ripeto, è importante per i nostri figli sentire di far parte di una comunità. Serve un piccolo sforzo da parte di tutti.

 

Questi messaggi arrivano sul gruppo Whatsapp della scuola, il più importante e pericoloso mezzo di comunicazione dentro la società civile scolastica. Chi ha più di un figlio è tenuto a possedere più di un gruppo Whatsapp, e ogni gruppo Whastapp può creare, per partenogenesi, altri mini gruppi Whatsapp d’occasione: Compleanno Deborah, Halloween, Regalo Maestre, Allarme Pidocchi, Compiti di Matematica, ma a volte anche gruppi malvagi, o almeno pettegoli, creati da alcune madri più affiatate, gruppi nati anche per segnare una distanza, una ribellione allo spirito collettivo e alla benevolenza; in questi sottogruppi di solito si parla male del grande gruppo, con insinuazioni anche pesanti sulla rappresentante di classe, sui dodici euro scomparsi dalla cassa comune, sugli sbagli educativi di Carmen, “non ditemi che non avete notato che quella bambina ha dei problemi”, e una volta una di queste madri, in una sera di stanchezza (dopo una riunione a scuola particolarmente faticosa, in cui un padre entusiasta l’aveva presa da parte per dirle che sua figlia aveva fatto piangere il suo bambino di dodici anni a Halloween dicendogli “frocetto o scherzetto?”), una di queste madri si è confusa e ha scritto nel grande gruppo una cosa segreta e destinata al mini gruppo: “Ma da uno a cento quanto sono patetiche Lucilla e quell’altra con l’ossessione della mensa rispettosa del cibo arabo? (Non avere niente da fare tutto il giorno genera altri mostri oltre a quei mostri dei mariti)”. Dopo un minuto dall’invio sventurato si è scatenata una guerra nucleare in chat: chi aveva il telefono acceso – tutti – ha dovuto chiuderlo in un cassetto, silenziarlo, spegnerlo, lanciarlo nel fiume, chi ha capito che esisteva un sotto gruppo esclusivo si è sentito ferito a morte, le madri oggetto di derisione hanno minacciato di andare dalla preside (“vai a piangere dalla maestra come fa sempre tuo figlio?”, le ha scritto di nuovo la madre sciagurata, decisa a non retrocedere), i padri erano finalmente entusiasti del gruppo Whatsapp (uno anche arrapato dalla violenza, che gli sembrava avere un sottofondo molto erotico), quelli che stavano cenando, lavorando, divorziando, impazzendo sui compiti per casa hanno interrotto ogni yoga, ogni doccia, ogni tradimento per fare il tifo, per esultare o per prendersi il merito di una eventuale pacificazione, una madre specializzata nei mercatini di beneficenza ha scritto: “Questo è lo specchio della società della sopraffazione, è così che vogliamo crescere i nostri figli?”, ed è stata totalmente ignorata, il neoeletto rappresentante di classe ha minacciato le dimissioni, una madre con cui era stato visto baciarsi due anni prima nel bar dietro la scuola ha risposto: “Finalmente una buona notizia”, Lucilla ha pianto, i figli di tutti sono rimasti completamente indifferenti e con gli iPad in mano, ma nel mondo degli adulti responsabili si è passati in pochissimi minuti dalla serena convivenza fra i genitori e anzi fra i popoli e dalla speranza di andare tutti insieme alla mostra di Chagall in nome del “potere pacificante della cultura”, alla rappresentazione via chat del Ku Klux Klan.

 

Si è arrivati a sfiorare il dio del massacro, come ha scritto Yasmina Reza nella commedia da cui Roman Polanski ha tratto il film “Carnage”, sulla nostra barbarie infiocchettata e mitigata dalla buona educazione (ne “Il dio del massacro” due coppie borghesi di genitori si ritrovano in un salotto con tulipani per risolvere civilmente il bisticcio dei loro figli ai giardinetti, e finiscono a insultarsi, ubriacarsi, vomitare), e si è sgretolato, ad anno scolastico appena cominciato, il clima di fratellanza, dirittura morale, correttezza, giovialità che faceva organizzare gite domenicali, pizzate di classe il sabato sera, tornei di calcetto padri contro figli, e permette anche di scambiarsi informazioni contrastanti sull’allerta meteo, fotografie di pagine di libri dimenticati a scuola, e di lamentarsi in modo compatto delle maestre. A parte un padre rappresentante di classe che, quando in una chat illuminata si è discusso del peso degli zaini, proponendo di lasciare i libri che non servono sotto il banco durante la settimana, ha risposto con il senso epico di una scelta dolorosa che la libertà di insegnamento è sancita dalla Costituzione e che lui preferisce dimettersi piuttosto che avallare un’ingerenza indebita. Ci sono più cose in un gruppo Whastapp di genitori che in un’aula di Parlamento (compresi gli innamoramenti, motivo per cui i numeri di telefono delle madri separate vengono spesso censurati, ma ci sono padri che improvvisamente insistono per accompagnare il bambino a scuola con lo skateboard anche quando piove, e decidono di raccogliere i soldi per il corso di rugby: puoi trovarli in piedi davanti al portone alle otto e quindici, con una cartellina di plastica in mano, un evidenziatore nell’altra, molto dopobarba addosso e lo sguardo acceso di speranza). Su Whatsapp si stringe o si rompe il patto della società dei genitori, si lotta per la leadership, guidando la rivolta contro la maestra che mette in punizione i bambini (“mio figlio è molto sensibile, ci rimane male”, “suo figlio è un teppista, ha lanciato i petardi sulla lavagna”, “maestra, lei non ha abbastanza empatia, ha un problema di affettività, lo dice anche la mia analista”), si esercita il potere, ci si oppone al potere (alcuni genitori dicono no alla Festa della musica perché non colgono “la finalità didattica dell’uscita”, la trovano “pensata per il compiacimento degli adulti e non per l’interesse dei bambini”, altri rifiutano di dare i soldi per il regalo di fine anno alle maestre, “con tutte le vacanze che si fanno”), si combattono battaglie di principio e si lotta perché vengano inseriti il menu tipico rumeno e quello vegano nella mensa almeno una volta al mese, si litiga con i padri musulmani che non vogliono dare il permesso per il corso di ballo, ci si mette in prima fila alle riunioni alzando la mano e rubando tutte le domande migliori per fare bella figura con gli insegnanti, si spiega con tolleranza ad altre madri inesperte che nelle gite bisogna portare il tesserino sanitario sia originale sia in fotocopia. Oppure si fa una scelta opposta ed estrema: ci si imbosca e si dice sì a tutto. Si silenzia il gruppo Whatsapp (“per un anno” è il massimo consentito). Con la consapevolezza di avere rinunciato un’altra volta alla possibilità di cambiare il mondo, migliorare la società: vergognandosene, quindi. E accettando le conseguenze di questo gesto: un graduale isolamento, sguardi di rimprovero, manifestazioni un po’ teatrali di stupore quando ci si incontra davanti a scuola, “ma dai incredibile ci sei anche tu”, “che avvenimento, è successo qualcosa?”, “vuoi che ti presenti la maestra?”, e l’eliminazione automatica dalle consultazioni per il governo esterno della classe. Succede di arrivare trafelati a scuola, fermarsi accanto a un gruppo di genitori che discute animatamente (geografia, la ricerca, il nuoto, e quella maestra che requisisce i telefonini, “con quello che costano”, e quanto è brava Vanessa a suonare il violino), e subito il gruppo smette di parlare, si volta infastidito e guarda l’emarginato come si guarda un piccione morto.

 

Si può trarre grande vantaggio dalla condizione di piccione morto, a patto di accettare l’invisibilità, dare sempre i soldi puntualmente e non dire mai al padre di un selvaggio che ha un figlio selvaggio (se il selvaggio a una festa di compleanno dice a un padre non suo, tirandogli un calcio negli stinchi: “Testa di cazzo”, il padre non suo deve contare fino a mille e legarsi le mani dietro la schiena con una corda), oppure si può cercare di stare nel mezzo, fra libertà e partecipazione, lontano dalla luce ma non totalmente in ombra. Fuori dal governo ma non all’opposizione.

 

[**Video_box_2**]Alcuni genitori giocano d’astuzia: il Nokia. Il Nokia è un colpo basso e ci vuole molto cinismo per servirsene. I genitori che non vogliono dare il proprio numero di telefono e venire inseriti nel gruppo Whatsapp della classe, (spesso sono padri) spiegano che no, purtroppo loro hanno un Nokia senza internet. Un telefono che telefona soltanto. Sospirano, agitano questo vecchio telefono come a dire: non mi starai giudicando per il fatto che non ho uno smartphone, sarebbe discriminatorio, classista, sarebbe scorretto; a volte invece spiegano che è una scelta, perché internet sempre in mano brucia il cervello, fa venire il cancro, oppure dicono soltanto: è il telefono aziendale, mi dispiace. Chi può accusare di indifferenza un padre o una madre che usa diligentemente il vecchio aggeggio fornito dal datore di lavoro? Chi può avere qualcosa da ridire sulla scelta di un adulto di non mangiare carne e non drogarsi di Facebook e comprare ai figli soltanto giocattoli di legno? Così, quando un marito ha detto: mi dispiace, ho solo un Nokia, non posso dare il mio numero di telefono, ma tanto ci sei tu, la moglie ha taciuto. Ha aspettato. Non si è lamentata, non ha detto: te ne freghi dei tuoi figli. Ma dopo una lite su chi dovesse andare alla riunione per le attività extrascolastiche, ha agito. Ha scritto una email a tutti i genitori nella mailing list della classe (le comunicazioni, i litigi, la vita vera dei pomeriggi post scuola passano anche attraverso le email, e anche in modo piuttosto dilagante perché chiunque scriva anche solo: mio figlio non ha i pidocchi, lo controllo ogni sera con il pettinino elettrico che fulmina le uova con piccole scariche di elettricità, scatena una serie lunga di “rispondi a tutti”). Questa moglie vendicativa ha scritto: cari genitori, vi prego di aggiungere l’indirizzo di mio marito al nostro prezioso indirizzario, lui purtroppo ha un Nokia, ma ci tiene a restare aggiornato attraverso la posta elettronica. I figli sono tre, vanno tutti a scuola, quindi lei ha inviato lo stesso messaggio a tre diverse mailing list, lui è stato accolto con molti emoticon e molti benvenuto fra noi, gli hanno subito chiesto la disponibilità a fare il rappresentante di classe, a unirsi a un gruppo di padri per imbiancare le classi il sabato pomeriggio (“uno sforzo collettivo perché i nostri figli passino le loro giornate in un ambiente migliore”), a partecipare al torneo di calcetto dei genitori (sulla maglietta della divisa c’è una foto di classe con la scritta: we are the world, we are the children), e a firmare una lettera di rimprovero per la maestra con poca affettività. Così, quando una madre della scuola materna (esistono i gruppi Whatsapp anche per la scuola materna, in cui si discute tantissimo del pisolino pomeridiano), ha scritto a tutti: cari amici, che cosa fareste se vedeste un genitore davanti all’ingresso della scuola dei nostri figli gettare un mozzicone di sigaretta per terra?, questo padre, forse nervoso o forse definitivamente entrato nello spirito della collettività scolastica, ha risposto: se è un mozzicone ancora acceso, lo raccolgo e ricomincio a fumare.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.