“Niente da rivendicare, se non un po’ di buona sorte…”, ha detto il presidente del Consiglio mercoledì mattina al Senato (foto LaPresse)

Che culo 'sto Renzi

Stefano Di Michele
Bravo bravissimo il premier. Ma anche fortunatissimo. Basta vedere come si sono sfarinati i potenziali avversari: da Landini al Cav., da Alfano alla premiata Ditta di Bersani & C.

“Assai ben balla a chi fortuna suona” (Giuseppe Giusti, “Proverbi toscani”, edizione Acquaviva)

 

Culo, il ragazzo ne ha da vendere. “Un culo che fa provincia” – mormora, ammirato e mortificato, a ragione della dismisura della sua buona sorte, qualche oppositore interno nei recessi di Montecitorio. Ove una volta l’ammirazione era rivolta alle natiche degli anni andati – da ripetuta citazione della famosa maîtresse americana (pure da Enzo Biagi spesso ripetuta) sul passato che ha sempre “il culo più roseo” – ora l’attenzione si fissa sulle chiappe del presente. Sulla poltrona di Palazzo Chigi saldamente calate. Sulla segreteria del Pd stabilmente posate. Sull’Italia politica tutta tenacemente collocate. Come, oltre un ventennio fa, Gene Gnocchi ebbe a pubblicare adeguato manufatto a celebrazione del fondoschiena dell’allora commissario tecnico della Nazionale, “Il culo di Sacchi”, quale luogo dell’italico immaginario, si potrebbe benissimo oggi dare alle stampe un aggiornamento degno di non sfigurare con l’originale: “Il culo di Renzi”. Che ne ha, stratosferico e a strafottere – il Presidente Fortunello, quasi ritratto nel famoso monologo di Ettore Petrolini: “Sono un uom grazioso e bello – sono Fortunello. / Son un uomo ardito e sano – sono un aeroplano. / Sono un uomo assai terribile – sono un dirigibile”. Pure, e innanzi tutto, grazie ai suoi avversari interni, tutti di larghissima sapienza e quasi ognuno di vastissima insipienza – che scontenti e dolenti e vocianti sul deretano del Compagno Maggiorato, con espressione da cui traspare ora lo sdegno ora lo spaesamento, lo sguardo calano e allora forse un pensiero li assale: che culo! “Avé più culo che anima!”, direbbero dalle sue parti – ché ben si sa del cinismo di quello, che manco per i baffi sale e pepe di D’Alema ha avuto rispetto (il quale comunque fu almeno presago: “D’Alema: ‘Renzi? Ha avuto fortuna’”, vecchio titolo sull’Unità), che il povero Bersani ogni giorno spinge al rimpianto della pompa di benzina di famiglia di Bettola (oh ragassi, putòst che gnente l’è mei putòst!), che la domenica finge persino che non ci sia l’editoriale di Eugenio Scalfari su Repubblica, scansando il pensoso elaborato per concentrarsi piuttosto su “Fiorentina.it / Il sito dei Tifosi Viola”. Roba, una volta, da farsi raggiungere da fulmini e saette e vastissimo disdoro sociale – un “peste lo colga!” senza riparo – e invece se ne sta lì, sfacciato e irridente e impunito, l’Ercolino Sempre in Piedi del Nazareno. Di cotanto deretano certo consapevole, così che mercoledì mattina, al Senato, ne ha fatto preciso riferimento: “Niente da rivendicare se non un po’ di buona sorte…” – corretto modo istituzionale per dire culo.

 

Il posteriore di Renzi ha tanto una dimensione nazionale, quanto una dimensione internazionale. Trattasi dunque, come in pochi altri casi di storia patria, di culo a dimensione continentale, quasi planetaria. Per il momento. Certo. Si vedrà. Ché il culo, per sua natura, è mobile – oggi ce l’hai, domani te lo devi andare a ricercare in discarica, come avvertiva Beppe Grillo quando faceva ridere e non doveva dar retta persino a Di Battista: “La vita è una tempesta, ma prenderlo nel culo è un lampo”. Ma intanto lì sta: saldo e sodo, come di ballerina caraibica, e politicamente inattaccabile. Mandolino e grancassa, che codesta stagione politica suona. Queste settimane di (altrui) Quaresima, a Matteo hanno regalato soddisfazioni da anticipo di pasquale resurrezione: ogni lettura di giornale quasi un ovetto Kinder con gradita sorpresa dentro, dalle macchinine ai soldatini a Landini. Chissà quanto deve aver goduto, leggendo le cronache di quella sorta di “Sfida all’O. K. Corral” tra Cgil e Fiom, tra il Maurizio e la Susanna, intenzionati a mettere sottosopra il ranch del pistolero di Pontassieve e finiti col darsele di santa ragione tra di loro – una sceneggiatura che manco gli scrivani della Leopolda avrebbero saputo gettare giù, tanto l’assoluta perfezione. Botta: “I lavoratori diventano ancora più indifesi”. Risposta: “Se la Cgil non cambia rischia di essere cancellata”. Botta (Camusso al Corriere della Sera): “La scelta di Landini indebolisce i lavoratori”. Risposta: “La Cgil si attivi con la Fiom”. Botta: “Io e i lavoratori cambieremo il paese più di Renzi”. Risposta (della Camusso, non dei lavoratori): “Non ci ha informato”. Basta poi gettare un’occhiata ai titoli del Manifesto, per capire appieno la goduria renziana: “La sinistra ‘sbullonata’ dalla scelta di Maurizio”, “La Cgil si abbatte sulla coalizione”. Un piccolo tsunami fatto in casa (Corso d’Italia). Non ha dovuto neppure dire “beh?”, Renzi: dall’accusa di opprimere i lavoratori col Jobs Act al parapiglia tra i suoi due solidissimi avversari su chi di loro fa più male ai lavoratori. Capolavoro.

 

Ove l’apoteosi è totale, ove il trionfo va in carrozza, è però dentro il Pd. Qui è stato un insospettabile come Pippo Civati (dopo ferrea denuncia degli accadimenti degni di via Tasso nel renziano maniero del Nazareno: “Renzi è abilissimo a torturare i dissidenti”) a confessare al Corriere della Sera: “Se io fossi Renzi sognerei una opposizione così”. Per l’appunto: quello se la sognava, loro gliel’hanno data. Sogno esaudito. Culo, al solito, più che gentile concessione. Un po’ capponi a testa in giù di Renzo (oltre che di Renzi, si capisce), un po’ ardimentose e parecchio irrisolute comparse dell’“Aida”, i suoi avversari. Al giornaliero “partiam! partiam!” mai un passo segue: né avanti né indietro, né a est né a ovest, a battere il piedino sempre dove stanno. Insieme, marcianti e immobili. Le cronache che li riguardano sono aggrovigliate come le scale di Escher: né si capiscono da dove partono né si comprende dove arrivano. Stanno là, pendenti e indecifrabili, col passare dei mesi sempre più suggestivi come un cantiere edile in disuso, sempre alla cavillosa ricerca di “un cece in domo”. C’è chi narra di D’Alema contro Bersani, di Bersani contro Speranza (che di suo mostra sul viso un velo di barba e lo stupore perenne del sacrestano che vede arrivare a sorpresa il vescovo in sacrestia), di Cuperlo stremato, di Fassina scontento (l’insoddisfazione fassiniana è costanza assoluta, l’espressione ormai come quella del Marcello Mastroianni de “La dolce vita”: “Siamo rimasti così pochi ad essere scontenti di noi stessi”), di Civati sempre il più glorioso Ringo che Rambo fra tutti, “sulla legge elettorale sarà un duello western” – bang! bang! bang! E il resto della solita parata, tutta una scena e una pena, che s’incontra e si scontra e si separa e avverte e riavverte e dibatte e chiacchiera e si adegua e si duole, manzoniano coro dell’“Adelchi” – “un volgo disperso repente si desta; / intende l’orecchio, solleva la testa / percorso da nove crescente romor”. Come al solito, il culo di Renzi: ciò che più lui desidera, sono i suoi più accesi avversari a procurarglielo. “Il Pd non può diventare un club di anarchici e liberi pensatori” – diceva mesi fa. Pronti, lo hanno soddisfatto. Persino un lettore del Manifesto, Augusto Giuliani, a sicura caratura antirenziana, scrive per far sapere. “Su una cosa sola mi ritrovo con Renzi: che questa gente andasse rottamata e asfaltata è indiscutibile. Se Renzi gli lascia lo strapuntino è solo per pietà”. Capolavoro.

 

[**Video_box_2**]Né ha da dolersi, Renzi, neppure dei suoi alleati. Si dirà: neppure dell’Ncd? Perbacco, per primo va elogiato l’Ncd, a voler al meglio intendere il culo renziano! Tra i patimenti e i dimissionamenti di Lupi (ormai evocativo, più che dell’Alta Velocità, dell’alta poesia pascoliana: “Oh! Valentino vestito di nuovo, / come le brocche dei biancospini!”), e i tormenti di Alfano (l’unico ministro di Polizia che bisogna scortare politicamente, per evitare che finisca debellato da qualche mozione di sfiducia), chiaro che nessuna grandeur (si fa per dire) da quelle parti può oscurare o minacciare o solo indebolire il sole renziano: nelle cronache, il notabilato ennecidì dà l’impressione di stare al Pd più o meno come il Partito dei Contadini stava al Poup nella Polonia di Gomulka. E figurarsi quali tormenti possono mai recare a Renzi gli altri sparuti alleati, quieti e acquattati come leprotti che sfuggono il pericolo – assenti dai giornali, assenti dai pensieri renziani. Pure i più gloriosi tra gli avversari esterni sembrano chetati. I professori (professoroni e gufi, nell’intento sempre un po’ sbruffonesco di Matteo) ormai in ombra, i raccoglitori di copiose firme a difesa della Costituzione e/o Democrazia – di solito attivi come spigolatrici di Sapri, che ogni mattina se ne andavano a spigolare e a firmare – hanno posato penna e calamaio, comici e cantanti molto divertono ma poco impressionano. Beppe Grillo, che armato di apriscatole arrivò, che dell’epica dello streaming si gloriò, che lo Stretto di Messina vigoroso attraversò, pure lui pare assestato nella spelonca del web, “un po’ stanchino”, pur avendo ancora da portare a termine il referendum sull’euro e la temibile lotta contro il Quarto Reich merkeliano proclamata dal Di Battista, “dobbiamo staccarci dal nazismo centrale” – da mettere spavento pure al “Professor Kranz tedesco di Germania” caro a Paolo Villaggio. Cazzo, Beppe, che fine hai fatto? “Sono un rompicoglioni”, assicurava – e adesso Matteo sta qui, solo soletto, che fa gli origami con Quagliariello! Ma addirittura MicroMega – dicasi: MicroMega! – di ogni mejo battaglia democratica er mejo alfiere, ha l’ultima sua copertina occupata dall’annuncio del gravoso “dialogos” tra il sempreverde Paolo Flores d’Arcais e Maurizio Ferraris: “Controversia sull’essere. Primo scambio: nuovo realismo o empirismo esistenziale?” – valutato il quale, Renzi ha deciso di mandare in avanscoperta la Bonafè: daje, Simo’, va a vede’ che roba è, che poi magari ne parli da Floris. Capolavoro.
Ovunque giri lo sguardo, nella politica italiana, al momento Renzi pare il Mazzarò di Verga davanti ai suoi possedimenti, alla roba sua, “pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia”. Berlusconi, pur in gloria di assoluzione, e nonostante i più ferventi intendimenti, ha certo più possibilità di migliorare la vita dei buoni ospiti di Cesano Boscone (che con bel gesto, di sua iniziativa, è tornato a visitare) che di rimettere insieme i cocci del centrodestra che fu – ridotto a gioiosa macchinetta da guerra pure esso. L’altro Matteo, il Salvini padano, non meno benevolo risulta agli occhi renziani – quando nel passaggio capitolino recluta quelli di CasaPound e parecchi altri vispi contendenti sociali, così da assorbire tutto ciò che non serve e lasciare mano libera su tutto ciò che può venir buono. Poi, le notizie che sono ancora meglio – e parecchio più importanti, che allargano l’orizzonte e il cuore e la fortuna delle terga renziane ben oltre il percorso della Pedemontana. Così, il presidente dell’Inps, Tito Boeri, annuncia che “ben 76 mila imprese hanno fatto richiesta di decontribuzione per assunzioni”, cara la legge di Stabilità. Il petrolio che va giù, e l’euro più debole, a un passo dalla parità col dollaro, così tutti a dire: oh, che bella occasione!, oh, che possibile miracolo! oh, Matteo! E soprattutto, e prima di tutti, Mario Draghi, col suo santissimo “Quantitative easing”, cara pure la Bce e il suo super piano di acquisto di Bond. L’Eurozona “ha invertito la rotta”, dice il banchiere. “Cambiare verso”, diceva Renzi – quando era ancora solo temerario, e il culo tutto da dimostrare. Sempre cose che gli girano per il verso giusto (giusto verso di chiappe). Capolavoro.