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EDITORIALI
La giusta stretta sulle intercettazioni
Il Senato approva il ddl Zanettin che mira a evitare le captazioni infinite. Nei giorni scorsi, il provvedimento è stato criticato dalle opposizioni e da alcuni pubblici ministeri come Nino Di Matteo: "Salteranno pure le indagini di mafia"
Con 83 voti favorevoli, 49 contrari e un astenuto l’Aula del Senato ha approvato il disegno di legge sulle intercettazioni proposto da Pierantonio Zanettin (Forza Italia) che fissa un tetto di 45 giorni alla durata massima delle captazioni, “salvo che l'assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione”. Sono esclusi i reati di criminalità organizzata e terrorismo. Il provvedimento, criticato dalle opposizioni (esclusa Italia viva, che ha votato a favore), è stato fortemente contestato negli ultimi giorni anche da diversi pubblici ministeri, come Nino Di Matteo: “Salteranno pure le indagini di mafia”, si sostiene. E questo sulla base della solita logica dei “reati-spia”: poiché spesso le procure arrivano a contestare reati di mafia partendo da intercettazioni che riguardano altro, come spaccio o corruzione, qualsiasi limitazione della possibilità di intercettare questi reati equivale a limitare la lotta contro la mafia. Una “logica” del tutto incompatibile con una concezione liberale del diritto penale (anche perché bisognerebbe dedurne che non esiste alcuna differenza tra la mafia e gli altri reati). La verità è che il provvedimento cerca di tutelare il diritto dei cittadini a non essere intercettati per un tempo indefinito e senza reali motivi di indagine. Al momento, infatti, in Italia non esiste alcuna durata massima per le intercettazioni, che possono essere effettuate anche per tutta la durata delle indagini: al pm basta chiedere al gip una proroga ogni 15 giorni indicando l’esistenza di “sufficienti indizi” di reato, cioè di fatto nulla. La riforma approvata dal Senato, e che ora passerà alla Camera, non fa che ristabilire un principio basilare: la violazione della riservatezza dei cittadini non può essere la norma, ma l’eccezione, e quindi deve basarsi su regole precise e concrete.

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